di Pino Dragoni – Il Manifesto
Al-Sisi procede ormai senza
freni sulle tappe dell’austerity imposta dal Fondo monetario. L’ultima
stangata è arrivata proprio alla vigilia del quarto anniversario della
rivolta del 30 giugno 2013, che aprì la strada al golpe militare del 3
luglio.
Il 29 giugno infatti, senza preavviso, sono stati annunciati
nuovi pesanti tagli ai sussidi sui carburanti, dopo quelli già scattati a
novembre 2016. Così, quello che doveva essere un momento di
celebrazioni per la «Grande Rivoluzione» si è trasformato in un giorno
amaro per una popolazione già stremata dalla crisi economica. I
tagli riguardano benzina, gasolio e gas, ma colpiscono in maniera più
pesante poveri e classi medie, i principali beneficiari del sistema dei
sussidi. Gasolio e benzina 80 ottani (quelli più usati nei trasporti
pubblici e privati) hanno subito un aumento del 55%, mentre i carburanti
per le auto moderne e di lusso sono aumentati solo del 5%.
Il rincaro più drammatico riguarda le bombole di gas comunemente
usate in cucina da milioni di egiziani, soprattutto i più poveri. Il
prezzo, che già a novembre era salito da 8 a 15 lire egiziane, ora è
passato a 30 lire, triplicando di fatto nel giro di pochi mesi.
E non finisce qui. Perché per ottenere il prestito di 12 miliardi di
dollari dal Fmi l’accordo prevede che entro il 2019 l’Egitto elimini i
sussidi sui carburanti, che oggi costano allo stato 8 miliardi all’anno.
Per raggiungere l’obiettivo prefissato, si dovrà procedere a
nuovi tagli nel giro dei prossimi mesi. E tra luglio e agosto sono già
stati annunciati aumenti per elettricità e acqua.
Il regime promette che investirà in sicurezza sociale per favorire le
fasce più svantaggiate, ma per ora nessuna misura concreta è stata
approvata. Secondo una fonte citata da The New Arab, i servizi di
sicurezza avrebbero messo in guardia il governo dall’adottare misure
così pesanti, considerando il rischio di una rabbiosa reazione popolare.
Alla notizia dei tagli giovedì sera un improvvisato corteo di
automobili ha bloccato uno dei principali ponti del Cairo, con
striscioni e slogan contro il carovita. Il giorno dopo sei
giovani sono stati arrestati per la protesta. Altre sei persone
sarebbero state arrestate nel Delta, con l’accusa di essere Fratelli
Musulmani che «pianificavano di sfruttare gli aumenti di prezzi per
fomentare il dissenso». Sul piano economico e sociale i quattro anni di
al-Sisi sono stati devastanti, nonostante le aspettative create dal
golpe dopo un anno altrettanto disastroso di governo islamista.
Il malcontento ormai è forte e diffuso, ma grosse esplosioni
di protesta non se ne sono viste, e comunque gli apparati repressivi
sono in stato di allerta e pronti a soffocare sul nascere ogni
iniziativa. Eventuali sommosse (non improbabili) rischiano di
finire in bagni di sangue. Ma non è tanto la paura a frenare la
protesta. Milioni di egiziani hanno dimostrato negli ultimi anni di
essere disposti a sfidare le forze di sicurezza. Eppure la frustrazione
accumulata, l’incapacità del movimento di piazza di generare cambiamenti
sociali radicali e la mancanza di una prospettiva politica alternativa
scoraggiano nuove iniziative.
L’opposizione di sinistra, anche se indebolita da arresti e denunce,
si sta sforzando di compattare il fronte con appelli all’unità a partire
dalle misure di austerità e l’impoverimento. I principali partiti di
sinistra rilanciano la strada dell’opposizione sociale al regime e
promettono appoggio e solidarietà a tutte le iniziative sindacali,
operaie e popolari. Se è palese che la sinistra egiziana oggi
non ha quasi nessuna capacità di mobilitare e organizzare il dissenso, è
anche vero che su alcune questioni e intorno ad alcune figure
potrebbero catalizzarsi le energie per un nuovo slancio del movimento di
massa.
Non è un caso che la repressione abbia colpito anche figure di spicco
come Khaled Ali, avvocato che ha guadagnato enorme popolarità per la
causa vinta contro la cessione di due isole all’Arabia Saudita. Ali,
direttore del Centro per i diritti economici e sociali (impegnato sul
fronte delle lotte sociali e sindacali) e leader del partito Pane e
Libertà, ha da mesi annunciato la sua intenzione di candidarsi alle
presidenziali del 2018. E la visibilità ottenuta dalla vicenda delle
isole potrebbe dare non poco slancio alla sua corsa elettorale. Ora, per
colpa di una accusa ridicola (aver fatto un gesto osceno in tribunale)
rischia di restare escluso dalla candidatura. Prossima udienza per lui
fissata al 24 luglio.
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