Inizieranno l’11 settembre nel mar Baltico e si concluderanno a fine mese le manovre “Aurora 17”: le più grosse esercitazioni militari, scrive Gregor Putensen su Die junge Welt, su territorio svedese da 25 anni a questa parte. 19.000 soldati svedesi, insieme a truppe finlandesi, USA, britanniche, francesi, danesi, norvegesi, estoni e di altri paesi NATO. Ci si esercita a “difendere la Svezia”. Da chi? Non ci sono dubbi, scrive Putensen: negli ultimi tre anni l’Alleanza militare occidentale ha intensificato il riarmo contro la Russia. Al vertice NATO del 2014, fu deciso non solo di portare le spese in armamenti dei paesi membri al 2% del PIL; venne anche annunciato il dispiegamento di truppe NATO in Polonia e nei Paesi baltici. Altra particolarità di quel vertice, fu la partecipazione di Svezia e Finlandia, formalmente considerati Stati svincolati da patti e la stipula da parte loro del Host Nation Support Treaty (HNST), che dà alla NATO, e in particolare agli USA, ampio accesso al territorio nazionale e alle infrastrutture militari. Per la Svezia, equivale al piano “Aurora 17”: sull’isola di Gotland vengono dispiegati 2.400 soldati NATO, tra cui 1.500 paracadutisti USA, con relativi elicotteri d’attacco, che, secondo Svenska Dagbladet, debbono tenersi pronti “in caso di attacco armato durante le grandi manovre”. Anche il mar Baltico, conclude Putensen, è così divenuto un mare interno della NATO.
Da parte sua, il politologo statunitense Stephen Cohen afferma che un simile dispiegamento di forze ai confini russi non si registrava dall’attacco nazista all’URSS. Il riferimento specifico di Cohen è al sistema “anti”-missilistico “Aegis” in Romania e Polonia. E’ possibile che Washington, si chiede Cohen, non si renda conto che sta andando verso la guerra con la Russia? Oppure è proprio questo il piano: provocare la Russia ad azioni belliche? Nel primo caso, gli USA dovrebbero “svegliarsi”. Nel secondo, sono impazziti. E l’Alleanza ha la sfacciataggine di lamentarsi che la Russia “sposta le sue truppe vicino alla NATO”. Secondo Cohen, la crisi attuale è più pericolosa di quella caraibica del 1962: se allora si diceva che i missili sovietici fossero “a 90 miglia dall’America”, oggi quelli NATO sono a due passi dalle frontiere russe e se nel 1962 la crisi riguardava solo un punto del confronto, oggi sono i Paesi baltici, l’Ucraina, la Turchia e la Siria.
Proprio il segretario generale, Jens Stoltenberg, in un’intervista alla polacca Rzeczpospolita è tornato a ripetere che la NATO “non vuole una nuova guerra fredda” e una nuova corsa agli armamenti, ma che comunque continuerà a rafforzare la presenza in Europa. Stoltenberg ha detto anche che il dispiegamento dei battaglioni in Polonia e nei Paesi baltici rappresenta “una risposta proporzionale” alla Russia, che “allarga le proprie potenzialità belliche”. E la NATO “non ha ancora terminato il processo di modernizzazione, che riguarda sia le infrastrutture, sia la struttura di comando”. I reparti militari, ha detto, “non sono solo la fanteria. E’ necessario l’appoggio dall’aria, dal mare, l’intelligence, la difesa dai cyberattacchi”. Stoltenberg ha ammesso che l’Alleanza sta effettuando “il più esteso rafforzamento della difesa collettiva dalla fine della guerra fredda” e che la preparazione delle forze NATO è tre volte maggiore, che è stato aumentato il contingente, che nell’Europa orientale sono stati aperti 8 nuovi comandi delle forze di rapida reazione. Senza dimenticare che “Abbiamo inviato gruppi di combattimento in Polonia e nei Paesi baltici” – cui partecipa anche l’Italia – “e abbiamo rafforzato la presenza in Romania e nel sud-est dell’Alleanza”.
Intanto, il Ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel ha parlato di “eliminazione degli armamenti atomici nel nostro paese”, sostenendo così le posizioni del candidato SPD alla cancelleria Martin Schulz, in contrasto con quanto affermato la settimana scorsa dalla portavoce governativa Ulrike Demmer, secondo la quale le armi nucleari USA sul territorio tedesco sono “necessarie alla difesa del paese”. La posizione socialdemocratica, nota Vzgljad.ru, coincide con quella di Mosca, che ha più volte invitato Washington a riportare negli Stati Uniti tutto l’armamento nucleare oggi dispiegato all’estero. Tuttavia, nota il Ministero degli esteri russo, gli USA stanno continuando a modernizzare il potenziale nucleare all’estero. In ultimo (cronologicamente) e “in risposta alla chiusura dello stretto di Kerč” per la costruzione del ponte che unirà la regione di Krasnodar alla Crimea e che collega il mar Nero al mad d’Azov, la rivista Atlantic Council propone di “inviare navi da guerra nel mar d’Azov per dimostrare il nostro impegno verso la sovranità e l’integrità dell’Ucraina e la libertà del mare, pietra angolare della politica estera statunitense dal 1789”.
Mosca non sta naturalmente a guardare: nei giorni scorsi, in corrispondenza con le manovre congiunte in Corea del Sud “Ulchi Freedom Guardian”, bombardieri lanciamissili dell’aviazione strategica russa Tu-95MS “Medved” (armato con missili strategici X-55 SM di 1500 kg, in grado di colpire bersagli a 3.000 km) hanno sorvolato gli spazi aerei internazionali sopra mar del Giappone, mar Giallo e mar Cinese Orientale, scortati da caccia Su-35S e aerei-radar di radiolocalizzazione A-50U. Inoltre, due Tu-95MS, accompagnati da Il-38 antisom, hanno sorvolato il mar del Giappone, mentre due Tu-142 antisom a lungo raggio volavano sopra il Giappone dal versante del Pacifico, in corrispondenza della maggiore base USA. “Un’armada di tali dimensioni come non si vedeva da tempo”, nota rusvesna.su e dato che il mar del Giappone è considerato un “mare interno” dalle due Coree, dal Giappone e anche dalla Russia, “Mosca non può ignorare le affermazioni americane di “venire a capo” dell’ennesimo regime scomodo, confinante (appena 120 km) con Vladivostok”, principale base russa sul Pacifico.
Così, mentre vede la luce il rapporto di Global Firepower sulle principali potenze militari, in Russia compaiono le notizie sulla prossima (ri)entrata in servizio del sistema missilistico su rotaia “Barguzin” (sempre in movimento e quindi di difficile individuazione) in grado di portare sei missili balistici intercontinentali “Yars” e sul prossimo varo del sommergibile nucleare strategico “Knjaz Vladimir”, capoclasse del progetto 955A “Borea-A”, modifica dei vascelli 955 “Borea”. Il “Borea-A” scenderà in mare nel cinquantesimo anniversario del varo del K-137 “Leninets” – che “progresso” nei nomi! – primo sommergibile atomico strategico sovietico, dotato di 16 tubi lanciamissili RSM-25; a differenza di quello, i 16 tubi del “Borea-A” porteranno razzi “Bulavà”, con gittata di 9.000 km invece di 2.500.
Dunque, Globalfirepower ha pubblicato la classifica dei 133 paesi militarmente più potenti. Sono considerati numero e varietà di armamenti, fattori geografici, effettivi in servizio e della riserva, bilanci militari, infrastrutture portuali, reti stradali e ferroviarie, aeroporti, riserve energetiche e “altri fattori che possono influire sul potenziale bellico”. I paesi NATO ricevono un bonus di classifica, in virtù della “teorica condivisione delle risorse”; un altro bonus anche ai paesi dotati di armi nucleari, escluse però dall’esame.
La graduatoria generale vede in testa USA, Russia e Cina, seguite da India, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Turchia, Germania, Egitto e Italia. Vengono poi Corea del Sud, Pakistan, Indonesia, Israele, Viet Nam, Brasile; al 21° posto l’Iran, seguito da Australia, RDPC, Arabia Saudita, Algeria, Canada, Spagna, Grecia. L’Ucraina, il cui presidente Petro Porošenko parla da tre anni del “più potente esercito d’Europa”, secondo Globalfirepower finisce al 30° posto. Siria e Venezuela occupano rispettivamente 44° e 45° posizione.
Nei singoli segmenti, la Cina è prima per numero di forze militari effettivamente attive (2.260.000), seguita da USA (1.374.000), India (1.362.000), RDPC (945.000), Russia (799.000). L’Italia è al 21° posto, con 247.000 effettivi; l’Ucraina al 28° (182.000), seguita dalla Germania con 180.000 uomini. In aria, (sembra però che non siano stati considerati i bombardieri) gli USA hanno un totale 13.762 aerei, tra caccia, d’attacco, da trasporto e da addestramento, oltre a circa 7.000 elicotteri da trasporto e d’assalto. Per la Russia, 3.794 aerei e circa 1.490 elicotteri. La Cina ha un totale di 2.955 aerei, seguita da India, Giappone, Corea del Sud (1.477). Distanziate RDPC (944), l’Italia, al 14° posto con 822 aerei (79 caccia e 185 d’attacco). La Russia è tradizionalmente leader per numero di carri armati (20.216) seguita da Cina (6.457), USA (5.884) e RDPC (5.025). Corea del Sud, Israele e Ucraina sono rispettivamente al 9°, 10° e 11° posto (2.654, 2.620 e 2.449) mentre l’Italia è al 58°, con 200 carri. Gli USA sono in testa per blindati (41.062), seguiti da Russia (31.298), Egitto (13.949) e Israele (10.185). L’Italia è all’8° posto, con 6.972 veicoli. La Russia ha 5.972 pezzi di artiglieria semovente, contro 2.250 di RDPC, 1.990 di Corea del Sud, 1.934 di USA e 164 pezzi dell’Italia (28° posizione). L’India è in testa per artiglieria trainata (7.414), seguita da Cina (6.246), Corea del Sud (5.374) e Russia (4.625), con USA in 12° posizione (1.299) e Italia in 77° (92). Di nuovo la Russia in testa per lanciatori missilistici (3.793), seguita da RDPC (2.400), Cina (1.770), Egitto (1.481), Iran (1.474), USA (1.331); l’Italia è al 70° posto, con 21 pezzi.
La RDPC è leader per numero complessivo di unità navali (967), seguita da Cina (714), USA (415), Iran (398) e Russia (352); la Corea del Sud (166) è al 14° posto e l’Italia al 17°, con un numero di vascelli (143) quasi doppio rispetto alla Gran Bretagna, 32° con 76 unità. Ma delle 415 unità USA, ben 19 sono portaerei, mentre ne hanno 4 Francia e Giappone, 3 l’India, 2 Gran Bretagna, Spagna, Italia, Egitto e Australia; una ciascuno Cina e Russia. La Cina è in testa per numero di fregate (51), con Taiwan (20), Turchia (16), Italia (14), Gran Bretagna (13), USA (8) e Russia (6). Gli USA hanno 63 cacciatorpediniere, seguiti da Giappone (42), Cina (35), Russia (15), Corea del Sud (12), India (11), Gran Bretagna (6) e Italia (4). Prima in classifica la RDPC per sommergibili (76), con USA (70), Cina (68), Russia (63), Iran (33), Giappone (17), Italia al 15° posto con 7 unità. La Russia ha anche 46 posamine, la Cina 31, Polonia, RDPC e Giappone 25 ciascuna, USA 11.
Per risorse e consumo petrolifero, nel 2016 la Russia estraeva 10.110.000 barili al giorno, per un consumo di 3.320.000 barili. L’Arabia Saudita ne estraeva 9.735.000; gli USA 8.653.000 (con un consumo di 19.000.000); la Cina 4.189.000, consumandone 10.120.000. La Germania consumava 2.400.000 barili, la Francia 1.770.000, l’Italia 1.315.000 e l’Ucraina 317.000. Ma è il Venezuela a possedere le riserve più estese, con 300 miliardi di barili; seguono: Arabia Saudita (269 mld), Canada (171 mld), Iran (157 mld), Iraq (143 mld), USA (36,5 mld); l’Italia è 46° con 545 milioni di barili stimati. D’altronde, se Globalfirepower nota che la Russia detiene una riserva di 80 mld di barili di petrolio, non considera le sue riserve di 50 trilioni di mc di gas.
Gli USA sono ovviamente in testa per stanziamenti militari, con circa 588 miliardi di dollari; seguono, distanziati di molto: Cina (161 mld), Arabia Saudita (57mld), India (51 mld), Gran Bretagna (46 mld); la Russia è sesta, con 45 miliardi, seguita da Giappone e Corea del Sud (44 mld), Germania (39 mld), Francia (35 mld).
L’Italia, che secondo la valutazione Globalfirepower, è 11°, con 34 miliardi di dollari, spende più del doppio di Israele, 14° con 15,5 miliardi e quasi cinque volte più della “provocatoria” RDPC (26°, con 7,5 miliardi), contro cui l’italico ministro Alfano esprime da sempre “la più ferma condanna”. Vorrà dire qualcosa?
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