Alla fine di novembre, la multinazionale tedesca Bayer, che nel 2016 si era fusa con la statunitense Monsanto e che produce il glifosato, è riuscita ad ottenerne l’autorizzazione all’uso in agricoltura ed in altri settori da parte della #CommissioneEuropea per altri cinque lunghi anni.
Ma già a settembre l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), competente a valutare i rischi per la salute, aveva dato il proprio assenso all’uso del glifosato copiando pari pari il dossier presentato da Monsanto. Dal confronto tra la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione che Monsanto aveva presentato nel maggio 2012 per conto della Glyphosate Task Force (un consorzio di oltre 20 aziende che commercializzano prodotti a base di glifosato in Europa) e la relazione dell’EFSA è emerso, infatti, che le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminavano gli studi pubblicati sul potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati di sana pianta dal dossier presentato da Monsanto. Peraltro, le 100 pagine copiate di peso sono proprio quelle relative alle sezioni più controverse: quelle sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità riproduttiva del glifosato.
La stessa Commissione Europea, tuttavia, ad agosto di quest’anno era stata costretta ad aprire un’indagine su quella repentina fusione tra la tedesca Bayer e la statunitense Monsanto a seguito del parere negativo dell’Antitrust comunitario che aveva ritenuto il nuovo colosso, nato in seguito ad una maxifusione da 59 miliardi di dollari, “dannoso per la concorrenza” nei settori interessati.
Ecco, è questo il punto che merita tutta la nostra attenzione: la Commissione interviene puntualmente se solo esiste il sospetto di una minima lesione di uno dei princìpi cardini della UE, cioè , la “concorrenza”, ovvero, il cosiddetto “libero mercato”. Quando invece c’è in gioco la tutela ed il diritto alla salute delle persone, in ambito comunitario, le cose vanno assai diversamente.
Ma innanzitutto, cos’è il glifosato? È un diserbante non selettivo, cioè, una molecola che elimina tutte le erbe infestanti, in uso dal 1974, e che è oggi l’erbicida più utilizzato in agricoltura, al mondo, perchè molto economico ed il più semplice da utilizzare. La Monsanto ha scoperto la sua azione come erbicida ad ampio spettro nel 1994 e lo ha, pertanto, brevettato e commercializzato con il nome di “Roundup”. Da allora l’uso del glifosato è aumentato globalmente di 15 volte. Dal 2001 il brevetto è scaduto, e il glifosato viene utilizzato da molte aziende nella formulazione di diserbanti utilizzati soprattutto in agricoltura.
Nel 2015, un gruppo di esperti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione ha reso pubblici i risultati dell’indagine sugli effetti che il glifosato produce sugli esseri umani e sugli animali. In esito a quell’analisi, lo IARC ha deciso di inserire il glifosato nella lista delle sostanze “probabilmente cancerogene” (categoria 2A). Inoltre, gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un aumento del rischio di linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori che ne fanno uso e gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo.
Come ampiamente documentato in un articolo del Prof. Roberto Suozzi, pubblicato su questo giornale il 16 febbraio 2017, un recentissimo studio condotto dagli scienziati del King College di Londra, i cui esiti sono stati resi noti il 9 gennaio 2017, ha dimostrato che, sperimentalmente nei ratti, a un dosaggio bassissimo, il glifosato provoca una steatosi epatica: cioè un fegato grasso su base non-alcolica (NAFLD). Questa situazione non solo può portare alla cirrosi epatica, ma può indurre anche altre patologie tra cui quelle cardiovascolari, come infarti e ictus. Si tratta del primo studio che dimostra, in maniera inequivocabile, il collegamento tra glifosato e gravi malattie.
Eppure sul glifosato, lo scorso settembre l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) non ci ha pensato due volte ad approvarne l’uso copiando pari pari il dossier presentato da Monsanto proprio sulle questioni più controverse. E non è bastato nemmeno quell’importante studio degli scienziati del King College di Londra a fermare la #CommissioneEuropea che a fine novembre ha votato a favore dell’autorizzazione all’uso del glifosato con il voto decisivo della Germania. Quella stessa Germania che nelle precedenti votazioni si era sempre astenuta ma che, a dicembre, per mezzo del suo ministro Schmdit, ha dato il suo voto positivo risultato determinante al rinnovo dell’autorizzazione. Certo, la cancelliera Angela Merkel si è subito affrettata a smentire l’operato del suo ministro dichiarando che “questa non era la decisione del governo” e, tuttavia, si è ben guardata dal chiederne le dimissioni.
E la salute dei cittadini comunitari? Se ne riparla fra 5 anni. Manco fosse la “concorrenza”.
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