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15/11/2018

Libia - Il vertice di Palermo non modifica significativamente la situazione

di Roberto Prinzi

Si è concluso con tante promesse e pochi risultati concreti il vertice sulla Libia tenutosi per due giorni a Palermo. Nella conferenza stampa finale con l’inviato dell’Onu Ghassan Salamè, il premier italiano Conte ha chiarito che Roma “non intende intromettersi, ma solo contribuire e creare opportunità di dialogo tra le parti [libiche]” perché la soluzione alla crisi in Libia “non può essere imposta dall’esterno”. Salamé, invece, ha ritenuto fruttuosa la due giorni palermitana in cui “abbiamo verificato un buon clima sia tra gli attori libici sia nella comunità internazionale”. E se il prossimo obiettivo delle Nazioni Unite è la convocazione di una conferenza nazionale tra i vari attori libici, il ministro degli esteri italiano Moavero Milanesi ha fatto sapere oggi che nello stato nordafricano, devastato dalla guerra Nato del 2011 e dilaniato dalle successive divisioni politiche dopo la caduta del rais Gheddafi, potrebbero avere luogo le elezioni politiche la prossima primavera. Il condizionale è d’obbligo trattandosi di Libia: già un piano Onu che avrebbe dovuto portare il Paese al voto il prossimo mese è infatti saltato.

Per alcuni commentatori il successo del summit sarebbe stato rappresentato dall’incontro tra i due principali rivali libici, il premier riconosciuto internazionalmente al-Sarraj (sostenuto in particolar modo da Roma) e il capo dell’esercito nazionale libico, il generale Haftar (appoggiato da Francia, Egitto, Emirati e nemico giurato dei Fratelli musulmani sponsorizzati da Turchia e Qatar). Le due parti, che rappresentano rispettivamente i due governi rivali della Tripolitania e della Cirenaica, in effetti non si incontravano da cinque mesi e la concessione di Haftar al rivale di rimanere al suo posto durante la fase di transizione che dovrà portare il Paese al voto non è di poco conto. La dichiarazione del leader della Cirenaica secondo cui “non è utile cambiare il cavallo finché non si è attraversato il fiume” potrebbe almeno alleggerire nel breve termine le tensioni che si registrano nel Paese. Non solo: dopo ripetuti tentativi di entrare a Tripoli per mano militare, il comandante dell’esercito nazionale libico ha lasciato la conferenza di Palermo ieri mattina dopo aver ricevuto un invito a visitare la capitale libica controllata dai rivali del Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da al-Sarraj.

L’ottimismo dell’Onu sul processo di pace (“dopo 77 incontri preparatori si farà a gennaio” ha promesso ieri Salamé) appare però fuori luogo.
La due giorni palermitana
– definita un “successo” e un “passo nella giusta direzione” dal premier Conte – non ha rappresentato in realtà alcun cambiamento nello status quo attuale. Significativo il fatto che il comunicato finale ricorda nei fatti quello dell’Accordo politico libico del 2015 che ha formato una road map per porre fine alla guerra civile e ha prodotto un governo unificato.

Le perplessità dei risultati del vertice sono tante: al di là dei sorrisi, strette di mano e fotografie di rito, non è stato preso alcun impegno concreto. Una situazione già vista in passato per esempio a maggio dopo il vertice Haftar-Sarraj tenutosi a Parigi. Anche allora si parlò di elezioni e si profuse ottimismo per il futuro del Paese. La realtà si è rivelata però subito diversa: le elezioni programmate per questo dicembre sono saltate e sono continuati gli scontri tra le varie milizie armate, 7 anni fa forze “liberatrici” per gli occidentali perché impegnate contro il rais libico. Emblematico quanto accaduto recentemente nella stessa Tripoli dove sono state uccise più di 100 persone nel solo settembre. Inoltre, secondo alcuni commentatori, il rifiuto di Haftar di partecipare ai lavori politici ieri mattina potrebbe essere un segnale che, qualunque cosa concordata al vertice, lui potrebbe non rispettarla.

Dubbi sui risultati positivi del vertice derivano anche dal ritiro della delegazione turca. Ha fatto infuriare Ankara il mancato invito al meeting informale avvenuto nella mattina di ieri in cui al-Sarraj, Salamé, Conte, il vice presidente egiziano Ismail, il ministro francese Le Drian, la delegazione russa, il presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk, il premier algerino Ahmed Ouyahia, il presidente tunisino Essebsi, e Haftar hanno discusso della road map stabilita dall’Onu per arrivare alle elezioni libiche entro la primavera del 2019. Un’assenza ingiustificata quella della Turchia se si pensa che era presente a Palermo con il vice presidente turco Fuat Oktay. La marginalizzazione di Ankara (sembrerebbe su preciso diktat dello stesso Haftar) manda un messaggio politico chiaro: fare fuori l’asse turco-qatariota pro-Fratelli musulmani così tanto disprezzati dal generale Haftar. Non a caso nel motivare la sua partenza anticipata Otkay, citato dall’agenzia turca filo-governativa Anadolu, ha affermato che alcuni parti “hanno un approccio dannoso e ingannevole”.

Il vertice palermitano è stato fallimentare in quanto ha escluso il tema dei diritti umani, non volendo affrontare la situazione dei centri di detenzione dei migranti gestiti dalle milizie armate che sono legate al premier libico Sarraj. Questa grave omissione è stata confermata dallo stesso premier che, quasi con motivo di vanto, ha detto che “sembrerà strano ma non si è parlato di flussi migratori, ma solo di come aiutare a stabilizzare il Paese e ciò indirettamente sarebbe utile anche ai migranti che hanno sempre lavorato in Libia e ora da illegali potrebbero essere regolarizzati”. Anzi, capovolgendo la realtà denunciata da tempo dalle organizzazioni dei diritti umani, il primo ministro italiano ha ribadito come la Libia si sia dimostrata “un valido partner per combattere le reti di trafficanti di esseri umani”. Insomma complimenti a Serraj e alla guardia costiera libica che non li fanno arrivare in Italia. Poco importa se questa umanità di lingue e culture diverse viene picchiata, stuprata, affamata, detenuta in luoghi putridi quando non addirittura venduta all’asta al mercato come dimostrò una inchiesta della Cnn lo scorso anno.

Si è chiusa la due giorni palermitana dominata dai capricci e dai diktat di Haftar, “l’uomo forte della Cirenaica” che l’Italia sta provando a strappare alla Francia così da poter rivendicare un ruolo di assoluto protagonismo nella battaglia tutta coloniale con Parigi. In attesa di assistere alle future mosse di Tripoli e Bengasi, una fonte diplomatica ha già fatto sapere al portale egiziano Mada Masr che sono in corso trattative per una nuova conferenza in Italia in cui l’inviato Onu Salamé proverà a pianificare le (presunte) elezioni di primavera dell’anno prossimo.

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