di Roberto Prinzi
Si è concluso con tante
promesse e pochi risultati concreti il vertice sulla Libia tenutosi per
due giorni a Palermo. Nella conferenza stampa finale con l’inviato
dell’Onu Ghassan Salamè, il premier italiano Conte ha chiarito
che Roma “non intende intromettersi, ma solo contribuire e creare
opportunità di dialogo tra le parti [libiche]” perché la soluzione alla
crisi in Libia “non può essere imposta dall’esterno”. Salamé,
invece, ha ritenuto fruttuosa la due giorni palermitana in cui “abbiamo
verificato un buon clima sia tra gli attori libici sia nella comunità internazionale”. E se il prossimo obiettivo delle Nazioni Unite
è la convocazione di una conferenza nazionale tra i vari attori libici,
il ministro degli esteri italiano Moavero Milanesi ha fatto sapere
oggi che nello stato nordafricano, devastato dalla guerra Nato del 2011 e
dilaniato dalle successive divisioni politiche dopo la caduta del rais
Gheddafi, potrebbero avere luogo le elezioni politiche la prossima
primavera. Il condizionale è d’obbligo trattandosi di Libia:
già un piano Onu che avrebbe dovuto portare il Paese al voto il prossimo
mese è infatti saltato.
Per alcuni commentatori il successo del summit sarebbe stato
rappresentato dall’incontro tra i due principali rivali libici, il
premier riconosciuto internazionalmente al-Sarraj (sostenuto in particolar modo da Roma) e il capo dell’esercito nazionale libico, il generale Haftar
(appoggiato da Francia, Egitto, Emirati e nemico giurato dei Fratelli
musulmani sponsorizzati da Turchia e Qatar). Le due parti, che
rappresentano rispettivamente i due governi rivali della Tripolitania e
della Cirenaica, in effetti non si incontravano da cinque mesi e la
concessione di Haftar al rivale di rimanere al suo posto durante la fase
di transizione che dovrà portare il Paese al voto non è di poco
conto. La dichiarazione del leader della Cirenaica secondo cui “non è
utile cambiare il cavallo finché non si è attraversato il fiume”
potrebbe almeno alleggerire nel breve termine le tensioni che si
registrano nel Paese. Non solo: dopo ripetuti tentativi di entrare a
Tripoli per mano militare, il comandante dell’esercito nazionale
libico ha lasciato la conferenza di Palermo ieri mattina dopo aver
ricevuto un invito a visitare la capitale libica controllata dai rivali
del Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da al-Sarraj.
L’ottimismo dell’Onu sul processo di pace (“dopo 77 incontri preparatori si farà a gennaio” ha promesso ieri Salamé) appare però fuori luogo.
La
due giorni palermitana – definita un “successo” e un “passo nella
giusta direzione” dal premier Conte – non ha rappresentato in realtà
alcun cambiamento nello status quo attuale. Significativo il
fatto che il comunicato finale ricorda nei fatti quello dell’Accordo
politico libico del 2015 che ha formato una road map per porre fine alla
guerra civile e ha prodotto un governo unificato.
Le perplessità dei risultati del vertice sono tante: al di là
dei sorrisi, strette di mano e fotografie di rito, non è stato preso
alcun impegno concreto. Una situazione già vista in passato per esempio a maggio dopo il vertice Haftar-Sarraj tenutosi a Parigi.
Anche allora si parlò di elezioni e si profuse ottimismo per il futuro
del Paese. La realtà si è rivelata però subito diversa: le elezioni
programmate per questo dicembre sono saltate e sono continuati gli
scontri tra le varie milizie armate, 7 anni fa forze “liberatrici” per
gli occidentali perché impegnate contro il rais libico. Emblematico
quanto accaduto recentemente nella stessa Tripoli dove sono state uccise
più di 100 persone nel solo settembre. Inoltre, secondo alcuni
commentatori, il rifiuto di Haftar di partecipare ai lavori politici
ieri mattina potrebbe essere un segnale che, qualunque cosa concordata
al vertice, lui potrebbe non rispettarla.
Dubbi sui risultati positivi del vertice derivano anche dal ritiro della delegazione turca.
Ha fatto infuriare Ankara il mancato invito al meeting informale
avvenuto nella mattina di ieri in cui al-Sarraj, Salamé, Conte, il vice
presidente egiziano Ismail, il ministro francese Le Drian, la
delegazione russa, il presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk, il
premier algerino Ahmed Ouyahia, il presidente tunisino Essebsi, e Haftar
hanno discusso della road map stabilita dall’Onu per arrivare alle
elezioni libiche entro la primavera del 2019. Un’assenza ingiustificata
quella della Turchia se si pensa che era presente a Palermo con il vice
presidente turco Fuat Oktay. La marginalizzazione di Ankara
(sembrerebbe su preciso diktat dello stesso Haftar) manda un messaggio
politico chiaro: fare fuori l’asse turco-qatariota pro-Fratelli
musulmani così tanto disprezzati dal generale Haftar. Non a
caso nel motivare la sua partenza anticipata Otkay, citato dall’agenzia
turca filo-governativa Anadolu, ha affermato che alcuni parti “hanno un
approccio dannoso e ingannevole”.
Il vertice palermitano è stato fallimentare in quanto ha
escluso il tema dei diritti umani, non volendo affrontare la situazione
dei centri di detenzione dei migranti gestiti dalle milizie armate che
sono legate al premier libico Sarraj. Questa grave omissione è
stata confermata dallo stesso premier che, quasi con motivo di vanto, ha
detto che “sembrerà strano ma non si è parlato di flussi migratori, ma
solo di come aiutare a stabilizzare il Paese e ciò indirettamente
sarebbe utile anche ai migranti che hanno sempre lavorato in Libia e ora
da illegali potrebbero essere regolarizzati”. Anzi,
capovolgendo la realtà denunciata da tempo dalle organizzazioni dei
diritti umani, il primo ministro italiano ha ribadito come la Libia si
sia dimostrata “un valido partner per combattere le reti di trafficanti
di esseri umani”. Insomma complimenti a Serraj e alla guardia
costiera libica che non li fanno arrivare in Italia. Poco importa se
questa umanità di lingue e culture diverse viene picchiata, stuprata,
affamata, detenuta in luoghi putridi quando non addirittura venduta
all’asta al mercato come dimostrò una inchiesta della Cnn lo scorso
anno.
Si è chiusa la due giorni palermitana dominata dai capricci e
dai diktat di Haftar, “l’uomo forte della Cirenaica” che l’Italia sta
provando a strappare alla Francia così da poter rivendicare un ruolo di
assoluto protagonismo nella battaglia tutta coloniale con Parigi.
In attesa di assistere alle future mosse di Tripoli e Bengasi, una
fonte diplomatica ha già fatto sapere al portale egiziano Mada Masr che
sono in corso trattative per una nuova conferenza in Italia in cui
l’inviato Onu Salamé proverà a pianificare le (presunte) elezioni di
primavera dell’anno prossimo.
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