1. Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij detto Bogdanov (1873-1928) è stato il maggiore antagonista politico di Lenin negli anni precedenti la Grande Guerra e appena dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Biologo di professione e filosofo per vocazione, teorizzò l’empiriomonismo (stroncato da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo nel 1908) e la “tectologia”, ovvero «la scienza generale dell’organizzazione» giusto il convincimento che «ogni attività umana nel campo della tecnica, della prassi sociale, della ricerca scientifica e dell’arte» poteva esserestudiata «dal punto di vista organizzativo». Al tempo della rivoluzione d’Ottobre fu l’artefice del movimento di massa del Proletkult (contrazione di Proletarskaja Kultura) che sosteneva l’autonomia delle iniziative culturali operaie a prescindere dalle indicazioni di partito che alla fine del 1920 raccoglieva quasi mezzo milione di attivisti (ma il movimento venne ricondotto da Lenin nel 1923 nell’alveo delle organizzazioni partitiche).
Ma Bogdanov è stato anche l’autore di un romanzo utopico La stella rossa in cui si racconta come un tal compagno Leonid fosse volato su Marte, “pianeta rosso” per definizione, a scoprirvi che lassù vi avevano già realizzato il socialismo (il lavoro era solo “volontario” ed il consumo dei prodotti non era limitato “in nessun modo: ognuno prende ciò che gli serve e nella quantità che vuole”). Ritornato sulla terra, l’astronauta descriverà per iscritto la sua esperienza straordinaria che Bogdanov pubblicherà nel 1908 (con continuazione nel 1913 con L’ingegnere Menni).
Nel libro dei Wu Ming la storia di Leonid ha un seguito inaspettato perchè su Marte (in verità il pianeta non era Marte, bensì Nacun) il terrestre aveva lasciato incinta la “marziana” Netti, la cui figlia Denni sarà inviata nel 1927 sul nostro pianeta in una difficile missione di sopravvivenza per Nacun minacciato di estinzione. Comunque il 1927 non è un anno scelto a caso: a dieci anni dalla rivoluzione sovietica si stavano organizzando festeggiamenti solenni (i due registi Eisentein e Pudovkin giravano i loro capolavori Ottobre e La fine di San Pietroburgo), mentre l’opposizione guidata da Trotsky tenterà per l’ultima volta (ma fallendo) di spodestare Stalin dalla guida del partito. In questa particolare congiuntura storica Denni, alla ricerca del padre scomparso durante la rivoluzione, s’ingegna a contattare Bogdanov che, ormai estraneo alla lotta politica, dirige l’Istituto di Ematologia di Mosca dove si dedica ad azzardati esperimenti di trasfusione di sangue (e proprio a seguito di una trasfusione mal riuscita su se stesso morirà nel 1928, sebbene una ben differente e sconvolgente alternativa viene offerta nel romanzo che però qui non s’intende assolutamente svelare).
Però non è il 1927 che qui interessa, bensì gli anni successivi al fallimento della rivoluzione del 1905 e l’esilio dalla Russia zarista dei leader bolscevichi. All’estero si giocava infatti la guida del partito, con Lenin e Bogdanov che si erano ritrovati a Capri, nella villa che ospitava allora Maksim Gorkij, a giocarsene letteralmente a scacchi la supremazia (c’è una celebre foto di quella partita con Lenin che sbadiglia in faccia a Bogdanov avendo forse già intuito che, anche se perderà la partita, comunque il partito resterebbe suo). A Capri Bogdanov aveva tentato l’esperimento di una “scuola politica” per addestrare degli attivisti per la prossima rivoluzione e l’idea dovette interessare a tal punto Lenin che quando se ne andò a Parigi, vi fondò la sua scuola di partito, mentre Bogdanov a Bologna ne organizzava una antagonista per i bolscevichi della frazione di sinistra “vperiëdista” (dal titolo del loro giornale Vperiëd = Avanti). Questa scuola operò a Bologna dal novembre 1910 al marzo 1911 e con il compianto compagno Cesarino Volta ne abbiamo ricostruito le vicende in una comunicazione presentata ad un convegno sulle Università Popolari nel 1992 (cfr. G. Gattei e C. Volta, Un episodio nella storia delle Università popolari: i bolscevichi “di sinistra” a Bologna (1910-1911), in Il sapere per la Società civile. Le Università Popolari nella storia d’Italia. Atti del convegno di Varese 14-15-16 maggio 1992, Edizioni Università Popolare di Varese, 1994). Ma che c’entravano le Università Popolari con Bogdanov e la scuola bolscevica di partito? Perchè proprio l’Università Popolare di Bologna si era fatta tramite affinché Bogdanov la portasse nella città (allora “rossa” solo per il colore dei suoi mattoni che il primo governo municipale socialista di Francesco Zanardi era ancora di là da venire). Ed è di quel soggiorno felsineo di Bogdanov (e di altri bolscevichi con lui) che qui intendo ripercorrere la curiosa vicenda.
2. Tutto quello che d’ora in poi si dirà sulla Scuola del Partito Operaio Social-Democratico Russo (frazione bolscevica “di sinistra”) è veramente successo sotto i portici bolognesi. E questo perchè Bologna, una città così originale da aver dato alla storia fenomeni magniloquenti come la più antica Universitas Studiorum, la liberazione dei servi col Liber Paradisus, la prima fabbrica italiana di profilattici (Hatù = habemus tutorem) e la più grande battaglia urbana della Resistenza padana (a Porta Lame), si è pure permessa di ospitare, tra le prime, quel modello di “scuola di partito” che avrà poi tanta fortuna (fausta o infausta che la si giudichi) nella storia del “secolo breve”.
Ma centriamo l’argomento. Chi avesse letto l’autobiografia di Trotzkij pubblicata nel 1930 e subito tradotta in italiano, si sarebbe fin d’allora imbattuto nella notizia che l’arcinemico di Stalin aveva conosciuto nel 1910 un tal Menscinskij a Bologna: «negli anni della reazione [zarista] aveva fatto parte degli ultrasinistri, ossia vperiodovzi come si chiamavano dal loro giornale Vperiod… che avevano istituito a Bologna una scuola marxista per 10-15 lavoratori che venivano abusivamente dalla Russia. Ciò avveniva nel 1910. Per 14 giorni io tenni allora in quella scuola un corso sulla stampa e vi discussi i problemi della tattica di partito. Là conobbi Menscinskij che era venuto da Parigi».
La traccia dell’esistenza a Bologna di una scuola bolscevica, per di più “ultrasinistra” e frequentata da un personaggio leggendario come Trotzkij, era perciò nota da tempo, eppure a lungo si è mancato di seguirla. Negli anni dello stalinismo nostrano si trattava di un argomento vietato, essendo stato Trotzkij, per così dire, l’anti-Stalin personificato. Prima di Stalin c’era stato Lenin: che anche lui avesse dovuto fronteggiare per caso un anti-Lenin? Certo che sì, ed era proprio quel Bogdanov che tra il 1909 e il 1911 aveva cercato di insidiarne la leadership all’interno della frazione bolscevica dell’ancora unitario Partito Operaio Social-Democratico Russo (POSDR), costituendone l’alternativa “di sinistra”. Come ha scritto la storica Jutta Scherrer, «il bolscevismo si trovava allora davvero a un bivio, e le due direzioni possibili si trovarono incarnate, per un certo periodo di tempo, breve ma importante, dalle personalità di Bogdanov e di Lenin». Ma come riassumere in poche parole il loro antagonismo? Proprio nel romanzo La stella rossa Bogdanov ha contrapposto, in una pagina illuminante, la concezione rivoluzionaria del suo protagonista Leonid (una evidente proiezione di sé) a quella della compagna Anna Nikolaevna, che sotto il travestimento romanzesco assomigliava fin troppo al Lenin “rivoluzionario di professione”.
Lei si gettava nella rivoluzione sotto il segno del dovere e del sacrificio, io invece per seguire un libero desiderio. Lei si rapportava al grande movimento dei lavoratori come una moralista, per appagare il suo alto senso etico, mentre io come un “amoralista”, che semplicemente amava la vita e desiderava che essa fiorisse nel modo più intenso e, per conseguenza, entrasse in quel flusso che rappresenta la strada maestra della storia in direzione di quel fiorire. Per Anna Nikolaevna l’etica proletaria era sacra in sé; io ritenevo, invece, che fosse un utile accessorio, pur se necessario alla classe lavoratrice nella sua lotta, ma di carattere contingente, come la stessa lotta ed il sistema di vita che l’aveva prodotta. Secondo Anna Nikolaevna, nella società socialista si doveva prevedere l’estensione a tutta la società della morale della classe proletaria; io invece ero giunto alla conclusione che il proletariato, già ora, si avviasse verso l’annientamento di qualsiasi morale e che il sentimento comunitario che rende gli uomini compagni nel lavoro, nella gioia e nella sofferenza, si sarebbe sviluppato appieno quando ci si fosse sbarazzati dell’involucro feticistico della morale. Da queste differenze di vedute nascevano spesso dei contrasti sulla valutazione dei fatti politici e sociali, contrasti che, a quanto pareva, era impossibile evitare. Anche più aspramente ci dividevano i nostri punti di vista sulle relazioni personali. Lei pensava che l’amore obbligasse alla dedizione, ai sacrifici e soprattutto alla fedeltà, finché il matrimonio dura. Io… non riuscivo ad accettare la fedeltà, specialmente come obbligo. Pensavo addirittura che la poligamia fosse, in via di principio, superiore alla monogamia perché dà più possibilità e ricchezza alla vita privata e maggiori possibilità di combinazioni genetiche… Anna Nikolaevna era profondamente disturbata da queste idee: non vi vedeva che una forma intellettualistica di dissimulazione di un rapporto crudamente sensuale con la vita. Con tutto ciò, non prevedevo, né mi prefiguravo, l’inevitabilità di una rottura.
E invece rottura ci fu, e clamorosa, nel 1909 con Lenin da una parte irreprensibilmente “al servizio” della causa rivoluzionaria, e Bogdanov dall’altra che vi si appassionava appena (il che voleva dire che non si sentiva affatto “al suo servizio”). Così i due personaggi si scontrarono duramente in quegli anni di formazione della “linea di condotta” del partito socialdemocratico russo, ma avrebbe vinto la via “monogamica” di Lenin oppure quella “poligamica” di Bogdanov? Nel 1910-1911 la partita era ancora aperta e si giocò parzialmente anche a Bologna nel confronto della scuola di partito “vperiëdista” con quella leninista di Parigi. E così, per paradossale che possa sembrare, in quella particolare congiuntura storica si trovarono a passeggiare sotto i portici di Bologna sia il poi-anti-Stalin Trotzkij che il già-anti-Lenin Bogdanov. D’altronde Bologna non è mai stata città estranea a simili ospitalità: nel 1874 aveva accolto tra le sue mura quel Michail Bakunin che aveva ambito ad essere l’anti-Marx e che proprio dalla nostra città avrebbe voluto dare inizio alla rivoluzione anarchica mondiale (come poi sia andata ridicolosamente a finire si può leggere nel romanzo di Riccardo Bacchelli Il diavolo al Pontelungo).
Ma torniamo a Trotzkij e Bodgdanov in giro per Bologna nell’inverno del 1910. Di tanto soggiorno in città non sarebbe stato necessario raccogliere tutte le tracce possibili? Eppure soltanto il 29 gennaio 1970 (i tempi stavano veramente cambiando…) sulle pagine della “Cronaca di Bologna” dell’“Unità” compariva la segnalazione che La scuola fu organizzata nel 1910. Lunačarskij in via Marsala insegnava agli operai (perché abbiamo dimenticato di dire che, in quell’occasione, a Bologna ci stavano pure Anatolij Lunačarskij e Alessandra Kollontai), mentre si è dovuto attendere il 1976 perché le informazioni prendessero ad emergere sulla benemerita rivista “Bologna Incontri”. Poi nel 1988, in occasione del nono centenario dell’Università degli Studi, Luigi Arbizzani ha collegato quella vicenda politica bolscevica con la Regia Università di via Zamboni e l’Università Popolare di via Cavaliera (adesso via Oberdan) ed infine nel maggio 1992, come già detto, Cesarino Volta ed io abbiamo raccolto tutte le notizie possibili nella comunicazione Un episodio nella storia delle Università Popolari: i bolscevichi “di sinistra” a Bologna (1910-1911).
3. Il nodo politico si riduceva a questo: a due anni dalla sconfitta del 1905 il governo zarista aveva offerto un’occasione elettorale alle opposizioni, sia pure con una legge fortemente maggioritaria. Ma se Lenin proponeva che i bolscevichi ne approfittassero per utilizzare il parlamento quale tribuna di propaganda, per Bogdanov le elezioni erano invece da boicottare, dovendosi affidare la caduta dello zarismo soltanto ad una nuova insorgenza proletaria che in Russia non sarebbe mancata. A contrastare la deriva del “bolscevismo parlamentare” sarebbero occorsi però nuovi quadri ideologicamente orientati estratti direttamente dai lavoratori, così che il proletariato disponesse di dirigenti propri e non di intellettuali estranei a se stesso. Per ottenere questo serviva una scuola di partito (che, per le condizioni d’illegalità vigenti in Russia, si poteva fare soltanto all’estero) col compito di istruire gli operai prescelti sulla situazione attuale, l’economia e la storia del movimento operaio, senza dimenticare la conoscenza delle tecniche elementari di propaganda. Così addestrati, questi dirigenti di rigorosa estrazione proletaria sarebbero poi rientrati in patria ad organizzarvi gruppi cospirativi in opposizione alla monarchia zarista. E questa lotta, dichiarava Bogdanov, sarebbe stata condotta «con i capi, se essi lo vogliono; senza di loro, se non vogliono; contro di loro, se si opporranno», perché il “senso di classe”, ch’era la precondizione dell’agire collettivo, il proletariato lo possedeva spontaneamente nel proprio vissuto e lo si doveva soltanto portarlo ad emersione senza bisogno di alcun «politico di professione». Gli operai erano già padroni di «una grande cultura proletaria, più forte e armoniosa della cultura delle classi borghesi che si stanno indebolendo», quale era la cultura del collettivismo che, una volta che fosse «entrata nei sentimenti e nell’intelletto», si sarebbe fatta «auto-coscienza di classe». Per questo, per Bogdanov, «il lavoro più urgente, storicamente più importante della nostra epoca» era quello di aiutare questa nuova intelligencija ad uscire «dalle stesse file del proletariato», e ciò anche in opposizione ai dirigenti del partito alla Lenin che, prigionieri di una cultura borghese individualistica e autoritaria, non arrivavano a vedere la potenza autonoma della classe operaia.
Per la storica Jutta Scherrer questo appellarsi di Bogdanov ad una «coscienza proletaria concepita come forza rivoluzionaria prima e più attiva è stato interpretato da Lenin nel senso di un radicalismo di sinistra… totalmente inconciliabile con le posizioni del bolscevismo». Per questo egli vi si sarebbe opposto con tutte le sue forze, anche minacciando di abbandonare la frazione bolscevica se quella linea “di sinistra” avesse preso il sopravvento. Di ciò comunque non ci fu bisogno perché nel giugno del 1909 egli riuscì a far escludere dal Centro bolscevico Bogdanov ed i suoi estremisti, i quali si costituirono all’interno del Partito Socialdemocratico Russo nella «organizzazione letteraria» “Vperiëd” (che vuol dire Avanti), che di fatto era la “frazione di sinistra” della “frazione bolscevica” del POSDR, e perciò la sua “frazione al quadrato”. Per darsi visibilità essi organizzarono a Capri una “scuola di partito” che durò dall’agosto al dicembre del 1909. All’inizio del 1910 il gruppo “vperiëdista” venne comunque riconosciuto dal Comitato Centrale dal POSDR che, apprezzando l’esperienza della scuola caprese, propose di costituirne una unica a Parigi, dove nel frattempo era andato a finire Lenin che così ne avrebbe mantenuto il controllo ideologico. Bogdanov fiutò la trappola e ne organizzò quell’altra tutta sua («di nuovo di frazione, di nuovo appartata», fu l’acido giudizio di Lenin), scegliendo come sede la città di Bologna. A detta di Lunčarskij, che teneva i contatti con le autorità cittadine essendo l’unico a conoscere l’italiano, Bologna era stata scelta perchè era «una città tranquilla e abbastanza ricca di risorse scientifiche», ma soprattutto perché a Bologna c’era l’Università Popolare “G. Garibaldi” presieduta dal professore della Regia Università degli Studi Francesco Pullè (che allora era socialista ma che poi, dopo la Grande Guerra, approdò al fascismo) che li avrebbe calorosamente sostenuti.
A quel tempo le Università Popolari erano istituzioni culturali della borghesia illuminata che avevano come scopo l’elevazione spirituale del “popolo” mediante corsi d’istruzione e conferenze. E proprio l’Università Popolare bolognese era stata tra le più dinamiche in questa attività, tanto da essere eletta a sede, nel settembre 1910, della Confederation Internationale des Universités Populaires (e Pullè a commento: «a Bologna si è mirato quasi a punto fatale; a Bologna, antica culla di tre civiltà; all’Alma Mater Studiorum, che tale diviene ancor per la nuova fase e per la nuova forma che si inizia di umanissimo indirizzo culturale»). Fu forse questa notorietà “democratica” a far sì che i “bolscevichi di sinistra” scegliessero Bologna come sede della loro scuola? Comunque a quel tempo gli esuli russi perseguitati dallo Zar godevano di grande simpatia tra i benpensanti (come sempre è stato per i movimenti rivoluzionari al loro inizio perché poi, se poi ce la fanno ad andare al potere, le cose cambiano…), sicché nessuno ebbe ad eccepire che in città venissero a soggiornare dei rivoluzionari di una sinistra che più di sinistra non si può.
4. Fu così che la scuola bolscevica di Bogdanov e compagni si inaugurò ufficialmente il 21 novembre 1910 a Bologna, in via Marsala 16 (un appartamento di quattro camere: due a disposizione di Bogdanov e Lunačarskij, una per le lezioni e una adibita a mensa, mentre gli allievi e gli altri docenti soggiornavano nei dintorni in stanze in affitto). I docenti furono Bogdanov, Lunačarskij, Ljadov, Pokrovskij, Aleksinskij, Maslov, Menzizskij (eccolo!) e Velturan-Pavlovich. Dirigeva il tutto Lunačarski: «mi dovevo occupare di tutte le questioni organizzative con le diverse autorità e, si può dire, sistemavo, curavo e nutrivo gli studenti, così come impartivo loro le lezioni». La scuola era affiliata all’Università Popolare, così che agli studenti fu data una tessera d’iscrizione e ai docenti una tessera d’insegnamento che servivano anche da permessi di soggiorno.
A partire dal 25 novembre 1910 cominciarono dodici lezioni diurne e quattro esercitazioni pratiche serali a settimana. Le esercitazioni pratiche erano dedicate alla preparazione di materiale di propaganda, alle tecniche del giornalismo e del discorso politico e alla organizzazione del partito, sebbene, per essere rivolte a “quadri” che avrebbero poi dovuto muoversi nella lotta politica clandestina, non è detto che non ci fosse dell’altro (non a caso la Russia ha dato all’insurrezione di piazza la sua arma più caratteristica: la “bottiglia Molotov”). Le lezioni riguardavano l’Economia politica e la Storia delle concezioni sociali del mondo (docente: Bogdanov), la Storia del movimento operaio e quella della letteratura russa (Lunačarskij), ma c’era pure la Storia della Russia, la Questione agraria e la Politica internazionale. Si aggiunsero quattro conferenze di Alessandra Kollontaj sulla condizione femminile e poi arrivò anche Trotzkij che a Bologna soggiornò per almeno due settimane tenendo «un corso sulla stampa e vi discussi i problemi della tattica di partito». Per Lunačarskij Trotzkij cercò d’indurre gli allievi «a passare dalla loro posizione di estrema sinistra ad un atteggiamento più conciliante, più vicino al suo», ma comunque «durante l’intero soggiorno Trotzkij fu insolitamente gaio e brillante: si comportava in modo del tutto leale verso di noi e ci lasciò un’ottima impressione di sé». Quelli che invece non vennero, pur essendo stati cordialmente invitati, furono Anna Kulisioff e Maksim Gorkij per ragioni di salute, mentre Rosa Luxemburg e Georgij Plechanov neanche risposero.
Considerando le particolari condizioni della scuola, era ovvio che docenti e studenti si facessero notare il meno possibile in città. Il 10 dicembre 1910 parteciparono (ma senza prendere la parola) ad un convegno di sindacalisti riscuotendo l’applauso di solidarietà dei presenti e soltanto alla fine del corso, il 13 marzo 1911, si mostrarono al pubblico, nella «gran sala del Liceo Musicale gentilmente concessa», in una serata musicale sui “Canti dei popoli” che l’Università Popolare, nell’ambito dei propri corsi di cultura generale (un po’ simili ai corsi attuali per la terza età, solo che a quel tempo erano per il Quarto Stato…), aveva organizzato insieme alla Corale Euridice. In quella occasione il «coro dei giovani russi» (come dal programma di sala depositato alla Biblioteca dell’Archiginnasio) si esibì in Sredi Dalina, Baikal, Matuskiaja Volga. Al recensore del “Resto del Carlino” le canzoni udite apparvero «assai più semplici e ingenue, ma sempre di molto carattere patetico. Le due canzoni del Volga furono replicate fra grandi applausi, e ne fu eseguita anche un’altra, fuori programma, di genere burlesco e di un ritmo bizzarro». Naturalmente è pensabile che in sala ci fossero Bogdanov e Lunačarskij, mentre Trotzkij era già ritornato all’estero e della Kollontai non si conosce il periodo di soggiorno a Bologna.
Ma si era, come già detto, ormai alla fine di quell’esperienza scolastica (se così la si può definire). Infatti i corsi ebbero termine nel marzo 1911. Nei quattro mesi in cui la scuola dei “bolscevichi di sinistra” aveva funzionato, la Commissione che la dirigeva non aveva tralasciato di mantenere rapporti con Lenin, tanto che un suo emissario, “Aleksandrov” (N. Semasko), giunse a Bologna col mandato di «trattare coi singoli corsisti che desiderassero andare a Parigi per frequentare i corsi integrativi» presso quell’altra scuola di partito, questa volta sotto la stretta direzione del Comitato Centrale del POSDR. Però l’incontro non fu affatto pacifico come ci si poteva aspettare e “Aleksandrov” se ne ritornò col solo impegno che gli studenti non avrebbero lasciato Bologna prima d’aver ricevuto un telegramma da parte del Comitato Centrale. Quando però il telegramma arrivò, il compromesso proposto risultò inaccettabile, dato che alla scuola di Parigi sarebbero dovuti andare soltanto alcuni dei corsisti. Con un colpo di testa, i “bolscevichi di sinistra” bolognesi, sia docenti che allievi, decisero di raggiungere tutti Parigi per continuare il confronto politico. Ma quando vi giunsero, il Comitato Centrale autorizzò il soggiorno parigino soltanto agli insegnanti (che così avrebbero potuto mettere a confronto la Tour Eiffel con le Due Torri), mentre gli allievi sarebbero stati rispediti in Russia a svolgere finalmente quel lavoro politico clandestino per il quale erano stati addestrati. Peccato però che la polizia segreta zarista, che aveva controllato da sempre la scuola di Bologna infiltrandovi addirittura un proprio uomo, avesse conoscenza di tutti i nominativi, così che quando rimpatriano vennero in gran parte arrestati ed il sogno “vperiëdista” di costituire in Russia una rete di attivisti politici per mezzo degli allievi bolognesi non ebbe futuro.
Peraltro lo stesso gruppo frazionista, a partire dal 1911, iniziò a sfaldarsi: alcuni suoi dirigenti uscirono addirittura dal partito socialdemocratico, salvo rientrarvi qualche anno dopo. Il che era evidente, come ha poi ricordato Lunacarskij: «il massiccio gruppo leninista, forte dell’unità interna, del controllo delle masse (o meglio in grado di verificare se stesso sugli effettivi umori delle masse e di adeguarsi al corso oggettivo degli avvenimenti), doveva naturalmente schiacciarci, o meglio metterci in disparte in quanto forza politica del tutto insignificante… Eravamo in fin dei conti soltanto un gruppo d’intellettuali di partito che avevano trovato una relativamente debole risonanza fra una certa parte degli operai socialdemocratici, ancora sotto il potere della forza d’inerzia rivoluzionaria».
Bibliografia consultata:
A. BOGDANOV, La stella rossa, Sellerio, Palermo, 1989.
L. TROZKIJ, La mia vita, Mondadori, Milano, 1961.
A. LUNAČARSKIJ, Profili di rivoluzionari, De Donato, Bari, 1968.
A. TAMBORRA, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Laterza, Bari, 1977, pp. 151-156.
J. SCHERRER, Bogdanov e Lenin: il bolscevismo al bivio, in Storia del marxismo. II: Il marxismo nell’età della Seconda Internazionale, Einaudi, Torino, 1979, pp. 493-546.
C. VOLTA, Quando Trotzkij insegnava a Bologna… e Lenin non ci voleva venire, in “Bologna Incontri”, gennaio 1976, p. 10.
M. GANDINI, A proposito della scuola “vperiodista” di Bologna, in “Bologna Incontri”, maggio 1976, p. 43.
A. LUNAČARSKIJ, 1921. L’autocritica davanti a Lenin sulla scuola dei bolscevichi a Bologna (1910-1911), in “Bologna Incontri”, 1978, n. 2, pp. 4-7.
L. ARBIZZANI, Relazioni tra docenti della Regia Università, l’Università Popolare “G. Garibaldi” e la scuola “vperiedista” di Bologna, in Atti del Convegno: Bologna-Nationes. L’URSS. La Russia e i popoli dell’Unione Sovietica: cinque secoli di rapporti con Bologna e l’Italia (23-24 giugno 1988), a cura di H. Pessina Longo, Teti Editore, Milano, 1990, pp. 169-182.
G. GATTEI e C. VOLTA, Un episodio nella storia delle Università Popolari: i bolscevichi “di sinistra” a Bologna (1910-1911), in Il sapere per la società civile. Le Università Popolari nella storia d’Italia, a cura di F. Minazzi, Edizioni Università Popolare di Varese, Varese, 1994, pp. 241-260.
IN CODA AI TITOLI DI CODA
Quando l’Accademia dell’Orsa celebrò la Scuola bolscevica a BolognaGiorgio mi telefona e mi chiede se ho letto Proletkult
– certo! l’ho divorato…
– hai visto i Titoli di coda?
– no
– beh, dicono che “In nessuno dei luoghi c’è una targa o un ricordo di quel che accadde.” Ma ti ricordi? Noi una targa l’abbiamo messa!
– certo che mi ricordo…
Il 1996 stava finendo e con lui i seminari dell’Accademia dell’Orsa, che da quattro anni (un ciclo accademico, all’epoca) avevano proposto un disparato rosario di temi, affrontati con assurda genialità: dall’ermetismo negli affreschi rinascimentali alle tempeste valutarie, dalla storia dei movimenti politici novecenteschi alla canzone popolare. Nello scantinato dell’osteria di via Mentana, potevi ascoltare studiosi brillanti relazionare su ricerche rigorose quanto originali e partecipare a discussioni accalorate quanto conviviali.
Si era alla vigilia dell’ottantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, l’URSS era già alle spalle, e non essendo la resa nelle nostre corde, ridevamo per non piangere.
Si decise quindi di celebrare un episodio della storia del bolscevismo solitamente citato solo di sfuggita, ma che era avvenuto a pochi passi dall’osteria: la scuola di partito di via Marsala.
Una fredda domenica pomeriggio fu riscaldata dagli interventi dell’ultimo segretario provinciale della disciolta Associazione Italia-URSS, Graziano Zappi, in supplenza di Cesarino Volta (gravemente malato) che con l’altro relatore, Giorgio Gattei, aveva condotto uno studio approfondito su quell’esperienza.
Ne seguì un dibattito avvincente, dove si seguirono ipotesi ardite sull’origine di odi che avrebbero segnato la storia del movimento comunista, sullo sfondo di rapine tanto spettacolari da far impallidire ogni più epica scena western, di cui il romanzo dei Wu Ming dà ampia narrazione.
Quindi uscimmo in corteo, ed in pochi passi arrivammo sotto la sede dell’antica scuola, dove l’ultimo direttore dell’appena chiuso Cuore (tutto era ex-qualcosa quel giorno) Andrea Aloi si lanciò in una delirante orazione commemorativa.
Prima di rientrare in osteria a mangiare un fantasioso Menù Prolet-cult, cantando canzoni “reduciste e sovversive” con Ivan della Mea, fu scoperta la targa, in polistirolo, effimera come le vetrine della Rosta:
Ai compagni del partito bolscevico russo
“frazione di sinistra”
Trotzkij, Lunacarskij,
Bogdanov, Kollontaj
che qui insegnarono
L’Accademia dell’Orsa
riconoscente pose
Bologna, MCMXCVII
(80° della Rivoluzione)
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