Oggi tornando a casa pensavo al fatto che Roma ogni giorno che passa è sempre più piena di povertà e miseria.
Povera è Marzia, 43 anni, di Vigne Nuove, disoccupata con due figli a carico e una casa popolare piena di infiltrazioni, l’ascensore che non funziona, l’autobus che non passa, il reddito di cittadinanza che “magari arriva”. Povero è Luchetto, che si spacca in due la sera in una pizzeria a Centocelle, ma ogni volta bisogna fare i miracoli per arrivare a fine mese.
Miserabile è Romeo, 45 anni, tre ristoranti al centro e una decina in periferia, cinque case, due commercialisti, sei strategie al mese per non pagare le tasse e pagare meno i dipendenti. Miserabile è pure Cristina, un figlio a 50 anni e una vita di stress e fallimenti che scarica sulla ragazza che per tre euro all’ora le regge tutta a casa, perché lei è stanca dell’ufficio.
Povero è chi vive – o almeno ci prova – del proprio lavoro e della propria fatica senza avere le risorse economiche per una vita tranquilla. Miserabile è chi campa sulle disgrazie altrui, chi sfrutta e ci sorride pure, ma è ancora più schiavo di chi non arriva a fine mese.
Povertà e miseria sono due piaghe sociali che stanno dilagando. Pure se l’apparenza inganna parecchio, io credo che è sempre meglio essere poveri che miserabili.
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