Ricadono in questi giorni i venti anni dall’aggressione della Nato alla Federazione Jugoslava nel marzo del 1999. Le bombe su Belgrado segnarono con una guerra alle porte dell’Europa la fine dello scorso secolo e prepararono il terreno a quelle sull’Afghanistan e l’Iraq come inizio del XXI Secolo.
E’ importante, venti anni dopo, non lasciare niente all’oblìo di quella vergognosa aggressione della Nato costruita, sostenuta e realizzata, senza alcuna risoluzione dell’Onu, da una alleanza di governi liberali e progressisti. Negli Usa al governo c’era Clinton, dunque nè Bush né Trump; in Gran Bretagna c’era il laburista Toni Blair; in Francia il socialista Jospin; in Germania il socialdemocratico Schroeder con il verde sessantottino Joska Fisher come ministro degli esteri.
E in Italia? In Italia D’Alema aveva sostituito Romano Prodi al suo primo governo dell’epoca di Berlusconi e dell’antiberlusconismo. Un governo sostenuto da un partito comunista con propri ministri – il PdCI – guidato da dirigenti come Cossutta, Diliberto, Rizzo e prodotto di una scissione dal Prc.
Questi governi “progressisti”, misero a disposizione della Nato non solo bombardieri, forze armate, basi militari ma anche apparati di consenso.
Fu un “progressista francese”, Bernard Kouchner, a elaborare tramite l’organizzazione di cui era presidente – Msf – la dottrina della “guerra umanitaria”. E questa dottrina nel caso della Jugoslavia venne diffusa come dolorosa necessità da giornali, telegiornali, ong, associazioni, sindacati collaterali ai governi di sinistra o centro-sinistra in Europa.
Un primo esperimento era stato già fatto nel 1995, quando gli aerei della Nato bombardarono la zona serba della Bosnia, con il plauso anche di Rossana Rossanda.
Mentre si andava preparando l’aggressione alla Federazione Jugoslava, il governo D’Alema si era reso responsabile, durante le feste natalizie tra il 1998 e il 1999, di un altro episodio vergognoso. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan, si era rifugiato in Italia ed aveva chiesto asilo politico al governo italiano. Dopo settimane di indugi, il governo italiano imbarcò Ocalan su un aereo della flotta aziendale dell’Eni e lo consegnò agli apparati repressivi della Turchia che gli davano la caccia.
Come risposta ci fu una manifestazione a Roma che assaltò con estrema determinazione la sede delle linee aeree turche. Un atto di forza che esprimeva una voglia di riscatto da parte dei movimenti contro la vergogna verso un governo che aveva tradito il diritto d’asilo e consegnato un leader politico di un popolo in lotta ai suoi carnefici. Ancora oggi Ocalan è sepolto vivo nel carcere sull’isola di Imrali.
A Ottobre del 1998, poco prima di essere destituito dal “fuoco amico” di D’Alema, Romano Prodi aveva già attivato l’ordine di attivazione nelle basi Nato presenti in Italia nell'ipotesi di intervento militare nella ex Jugoslavia. Quando nella notte del 23 marzo 1999 gli aerei partiti dalle basi militari di Aviano, Gioia del Colle e dalle portaerei nell’Adriatico cominciarono a bombardare Belgrado, i suoi ponti, le fabbriche, le strade, tra molte compagne e compagni si disse che la misura era colma.
Giornali e telegiornali martellavano a sostegno dei bombardamenti, diffondendo notizie che si riveleranno clamorosamente false e alimentando un odio anti-serbo che richiamava per molti aspetti la slavofobia dello storico espansionismo aggressivo tedesco verso l’est. E mentre i mass media legittimavano la guerra umanitaria, il mondo dell’associazionismo, i sindacati confederali, le ong collaterali al governo di centro-sinistra si incaricavano di veicolare questi contenuti nella sinistra e nei movimenti. Poche settimane dopo lo stessa filiera si predisponeva a incassare i miliardi degli aiuti umanitari della Missione Arcobaleno in Kosovo.
LA CONTESTAZIONE IN VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE: “RISCATTARE LA VERGOGNA DELL’AGGRESSIONE NATO CONTRO LA JUGOSLAVIA”
In questo contesto una manifestazione convocata a Roma contro la guerra e i bombardamenti su Belgrado, si diresse verso il centro della città. Arrivati a Piazza Venezia, un gruppo di compagni si sganciò dal corteo e lanciò alcuni chili di frattaglie sull’ingresso della storica sede di via delle Botteghe Oscure diventata la direzione dei Ds (Democratici di Sinistra) allora partito di governo. Un esplicito richiamo alla macelleria a cui il governo italiano si stava prestando partecipando attivamente ai bombardamenti sulla Federazione Jugoslava. Il corteo invece di proseguire deviò in massa proprio verso via delle Botteghe Oscure per sostenere la clamorosa contestazione. La polizia colta alla sprovvista fu costretta a sparare i lacrimogeni per cercare di sciogliere la manifestazione, al termine della quale tre compagni vennero arrestati.
La sera stessa, quando l’allora segretario dei Ds, Walter Veltroni, venne intervistato dal Tg1 proprio sulla contestazione avvenuta su un luogo storico come la sede di via delle Botteghe Oscure, tutti capirono il segno e il peso politico di quell’azione.
Quella guerra e la contestazione a via delle Botteghe Oscure furono uno spartiacque nella lotta contro la guerra ma anche tra chi aveva maturato consapevolezza sulla funzione del centro-sinistra una volta al governo e chi ha continuato a illudersi di poterne essere il paracarro “a sinistra”. L’illusione si è prolungata fino al 2008 con il secondo governo Prodi.
Nel primo caso, la contestazione del marzo 1999 è stato una sorta di battesimo in piazza della Rete dei Comunisti (registrata perfino da La Repubblica), nel secondo caso (2008 e la dissoluzione della sinistra filo centro-sinistra affondatasi con la lista Arcobaleno), fu la scelta di mettere in campo una ipotesi politica a tutto campo per chi non intende più campare di illusioni e logorarsi ancora con la logica del meno peggio.
Rete dei Comunisti, marzo 2019
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