di Michele Giorgio
La Striscia di Gaza
si prepara a vivere oggi una delle sue giornate più importanti, si teme
tra le più drammatiche, dalla fine dell’offensiva militare israeliana
“Margine Protettivo” quasi cinque anni fa. È il 43esimo anniversario del “Giorno della Terra” che ricorda le sei vittime palestinesi in Galilea durante le proteste contro la confisca delle terre arabe. Ma
per i due milioni e passa di palestinesi che vivono in questa lingua di
terra più di ogni altra cosa è il primo anniversario della “Grande
Marcia del Ritorno”, la protesta popolare contro il blocco israeliano di
Gaza. Decine di migliaia di palestinesi, qualcuno azzarda
centomila, oggi raggiungeranno i cinque accampamenti di tende allestiti
nella fascia orientale di Gaza, ad alcune centinaia di metri dalle
barriere di demarcazione con Israele, per affermare che gli oltre 250
uccisi e le migliaia di feriti (dozzine dei quali hanno subito
amputazioni) dal fuoco dei tiratori scelti dell’esercito israeliano
durante le manifestazioni settimanali tenute da un anno a questa parte,
non hanno affievolito il desiderio di spezzare la morsa che strangola la
Striscia da oltre 12 anni e di vivere una vita degna di questo nome.
Un nuovo bagno di sangue è possibile. Anzi probabile
prevedono molti considerando lo schieramento di forze militari che
Israele ha messo in campo negli ultimi giorni a ridosso di Gaza.
Nei cinque accampamenti sono stati allestiti ospedali da campo. Medici e
paramedici si preparano a ricevere negli ospedali un numero
eccezionalmente alto di feriti. Come finirà la giornata lo
decideranno i comandi militari israeliani e il risultato della
mediazione egiziana per un accordo di cessate il fuoco di lunga durata
tra Hamas e Israele (di cui si parla dall’anno scorso).
È stato esplicito ieri Ismail Haniyeh, il capo del movimento islamico Hamas
al potere a Gaza che ormai tiene nelle sue mani il volante della Marcia
del Ritorno limitandone il carattere spontaneo che aveva avuto il 30
marzo di un anno fa e nei mesi successivi. Haniyeh ha spiegato che la situazione «è a un bivio».
In sostanza se ci sarà un’intesa con Israele le forze di sicurezza di
Hamas terranno i dimostranti lontano – a 300 metri secondo le notizie
circolate – dalle barriere di demarcazione. Il Jihad, l’altra
organizzazione islamista, ha chiesto ai dimostranti «di salvaguardare la
propria incolumità». Se le trattative falliranno le proteste
potrebbero essere lasciate libere. L’esercito israeliano è pronto ad
usare la forza contro chi si avvicinerà alle barriere.
Ieri si parlava di una bozza di intesa tra le parti.
Oltre all’aumento del numero di camion e merci che da Israele entrano a
Gaza e all’estensione della zona di pesca a 12 miglia, prevede, secondo
le anticipazioni circolate, anche l’aumento delle forniture elettriche a
Gaza, l’allentamento delle restrizioni israeliane all’importazione ed
esportazione delle merci palestinesi e la ripresa dei trasferimenti di
fondi (del Qatar) verso la Striscia. In cambio Hamas dovrebbe fermare il
lancio di razzi e tenere lontano dalle linee con Israele le future
manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Però non è stata finalizzata. Colleghi palestinesi ci riferivano del pessimismo espresso da un dirigente di Hamas, Ghazi Hamad. Il
movimento islamico – ha spiegato Hamad – vuole un’intesa nero su
bianco, con impegni ben definiti per entrambe le parti durante la
tregua. Israele non va oltre le promesse verbali, alternandole a minacce
di guerra in caso di mancato accordo. Il premier Netanyahu, nel pieno
della campagna per le elezioni del 9 aprile, non ha alcuna intenzione di
mostrarsi “dialogante” con Hamas.
Sullo sfondo c’è la frustrazione dei giovani palestinesi con meno di venti anni che a Gaza sono la metà della popolazione. Maher Abu Samadana,
di Rafah ma studente a Gaza city, non segue l’andamento della
mediazione egiziana. Non ha mai avuto un lavoro e non pensa che riuscirà
ad averne uno vero nei prossimi anni. Si sente chiuso in gabbia. «Non
ho nulla da perdere» ci spiega rappresentando tanti altri ragazzi di
Gaza, «per me la Marcia del Ritorno è l’unica possibilità di svolta
verso la libertà. Se non spezzeremo l’assedio non avremo mai una vita
diversa».
Maher oggi sarà all’accampamento “Al Malaka” assieme ai suoi amici. «Non ho paura di morire» afferma. Alla manifestazione non parteciperà Ali Abu Sheikh,
24 anni, del gruppo “We are not numbers” che racconta sui social la
condizione difficile ma anche le capacità dei civili di Gaza, oltre le
notizie diffuse dai media. «Ero entusiasta della Marcia del Ritorno – ci
spiega – Mi affascinava il progetto, amavo la sua dimensione popolare.
Negli accampamenti prima delle manifestazioni si faceva cultura, si
giocava con i bambini, si discuteva di tutto. Era importante». Ora,
aggiunge, «la Marcia è segnata dalle manovre politiche di questa o di
quella parte, mentre Israele non cessa l’occupazione e tiene la nostra
terra stretta nell’assedio».
Fonte e aggiornamenti
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