di Michele Giorgio
L’altra sera Mohammed al Khamir, portavoce del vertice arabo, si è affannato a precisare che il premier del governo di Accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj,
sarà l’unico rappresentante della Libia al summit del 31 marzo a
Tunisi. Ha smentito ogni ipotesi di una presenza al vertice del generale
Khalifa Haftar, rivale di al Sarraj, che controlla la Libia orientale alla testa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna).
Tuttavia la politica e la diplomazia dietro le quinte vanno spesso
nella direzione opposta a quella indicata dalle dichiarazioni ufficiali.
Da tempo al Sarraj è un leader azzoppato, sempre più
debole. Al contrario Haftar è forte e sempre più punto di riferimento
prevalente degli attori principali, occidentali e arabi, sul
palcoscenico di Medio Oriente e Nord Africa.
L’ascesa continua di Haftar è confermata anche dal cambio di
passo della potente Arabia Saudita nella questione libica, sulla quale
Riyadh fino a poco tempo ha mantenuto una posizione di basso profilo. Tre giorni fa Haftar è stato ricevuto con grandi onori nella capitale saudita dove ha incontrato re Salman, ministri e personalità di spicco. “Riyadh sostiene la sicurezza e la stabilità della Libia”, ha scritto l’agenzia statale saudita SPA. Haftar ha inoltre avuto un colloquio con il controverso erede al trono e ministro della difesa Mohammed bin Salman.
Il generale libico, peraltro, nei giorni scorsi ha incontrato gli
ambasciatori di molti paesi europei, tra cui quello italiano, a riprova
della sua ascesa nella considerazione degli occidentali.
Dopo la campagna militare occidentale e araba che ha portato alla caduta e all’assassinio di Muammar Gheddafi nel 2011, la
Libia è divenuta terreno di scontro tra le petromonarchie sunnite. Gli
Emirati, insieme all’Egitto, appoggiano il generale Haftar. Il Qatar,
alleato della Turchia, sostiene il governo di al Sarraj a Tripoli e le
formazioni ideologicamente vicine ai Fratelli musulmani. Ora
anche la monarchia saudita esce dal guscio e sceglie il più forte,
Haftar, che ha preso il controllo di due terzi della Libia e di tutti i
transiti di frontiera, tranne quello di Ras Jedir con la Tunisia ancora
nelle mani del governo di accordo nazionale di Tripoli.
Ai sauditi è particolarmente piaciuta la posizione espressa di recente da un portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, secondo la quale in Libia non sarà permessa la nascita di un partito armato simile al movimento sciita libanese Hezbollah: “L’esercito non accetterà un partito armato a Tripoli, peraltro sponsorizzato dall’Onu”. Mismari si è riferito alla presenza nella capitale di
milizie legate a partiti politici e che collaborano con la missione
Unsmil, accusata da Haftar di “tentare di far entrare queste milizie nel
dialogo politico e nel governo”.
Non che in Libia esista
realmente la possibilità della nascita di una versione locale di
Hezbollah. Ma Riyadh non vuole caos politico e militare a Tripoli. Con
Haftar crede di poter avere un governo forte che allontani dal potere,
ed eventualmente annienti, le formazioni sponsorizzate da Doha e Ankara,
sue rivali nella regione.
L’incontro tra Haftar e re Salman è avvenuto,
certo non a caso, dopo la visita di Sarraj in Qatar e Turchia
rispettivamente il 10 e il 21 marzo. Un test ulteriore della
linea scelta dai sauditi sarà la Conferenza nazionale libica,
sponsorizzata dalle Nazioni Unite, che si terrà dal 14 al 16 aprile a
Ghadames.
Emirati e Arabia Saudita viaggiano mano nella mano in tutto il Maghreb. Nell’intervista data il 27 marzo al “The National” il ministro degli esteri emiratino, Anwar al Gargash, ha affermato una
ferma opposizione al radicamento nella regione del Nord Africa e Medio
Oriente dell’Islam politico professato dai Fratelli musulmani. Non solo, Gargash
ha anche definito “sbagliatissima” la decisione dei paesi arabi di non
aver contatti con Israele confermando così l’affermarsi tra le
petromonarchie del Golfo della linea di dialogo e di alleanza (in senso
anti-iraniano) con Tel Aviv in corso già da tempo.
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