Di Leda B.
Grazie alla risonanza mediatica ottenuta dai “Fridays for Future”,
Greta Thunberg è stata recentemente al centro del dibattito pubblico,
che è giunto al culmine nelle ultime 48 ore.
L’attivista è stata attaccata da una
moltitudine di punti di vista dalla stampa italica e subisce diversi
attacchi mirati sui social, ma la cosa sorprendente è come la maggior
parte delle critiche non entrino del merito, ma si limitino a formulare
attacchi ad personam contro di lei, sfociando il più delle volte in
sessismo, paternalismo e abilismo.
A saltare all’occhio in primo luogo sono i commenti abilisti delle ultime ore. Rita Pavone non solo attacca l’attivista per il suo aspetto
cedendo al cyber-bullismo, ma si “scusa” adducendo come giustificazione
il fatto che “non sapeva avesse la sindrome di Asperger”, come se
questo rendesse in qualche modo accettabile l’attacco all’immagine
dell’attivista. Le scuse causano inoltre un infelice titolo di Ansa che definisce Thunberg “malata”,
denotando enorme ignoranza nei confronti della sindrome di Asperger,
oltre che un’incredibile mancanza di rispetto nei confronti di
popolazioni non-neurotipiche.
Non solo Greta Thunberg non è malata, ma chiede a gran voce di essere
presa sul serio, e con lei l’oceano di giovani che scendono in piazza
ogni venerdì nelle ultime settimane per dare voce ad una preoccupazione
molto concreta. I commenti sessisti sull’aspetto di Thunberg includono
quelli di Giuliana Ferrara, che ci ricorda ancora una volta che una
donna, non importa quanto giovane, riceverà commenti sul proprio aspetto
indipendentemente da quanto sensate siano le sue istanze, soprattutto se ha le treccine:
un elemento completamente irrilevante che però serve a sminuire e
infantilizzare l’attivista , rientrando perfettamente della narrazione
patriarcale che tende a sminuire la voce femminile, soprattutto se
giovane, soprattutto se racconta qualcosa di scomodo. La costante
infantilizzazione, che emerge anche dal fatto che viene utilizzato il
termine “bambina” (sarebbe lo stesso, se a parlare fosse un sedicenne
maschio? O lo definiremmo almeno “ragazzo”?) diviene tra l’altro
paradossale quando si considera che, sebbene non ritenuta in grado di
pensare con la sua testa o di rappresentare una voce riconosciuta nel
dibattito pubblico, la si ritiene abbastanza grande per poter subire
quello che è nient’altro che cyber bullismo da una serie di adulti che
non sono in grado di rapportarsi con lei, o con i giovani in piazza, sul
piano dei contenuti.
Al di là del cyber bullismo, anche le critiche che entrano nel merito
dei contenuti denotano un totale fraintendimento del messaggio portato
avanti dai Fridays For Future. In un articolo sul Post
viene rimarcato il fatto che le accuse di Greta vanno dritte contro
l’élite, che dalla giovane viene definita come responsabile: “La nostra
biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi
come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a
pochi di vivere nel lusso”. Attaccare le élite politiche, sostiene
Costa, significa abbandonarsi alla retorica populista contro il sistema e
non prendere in considerazione il fatto che i paesi in via di sviluppo
sono anch’essi responsabili dell’aumento di C02, e che la classe
politica si è fatta promotrice negli anni di numerosi interventi
ambientali “non voluti” dalla maggior parte della popolazione. Questa
critica, però, manca completamente il punto dell’istanza di Thunberg:
sono i politici a dover attuare il cambiamento, obbligando l’industria a
operare nel rispetto dell’ambiente. La responsabilità della drammatica
situazione climatica non può ricadere sul singolo cittadino, che può
premurarsi di fare raccolta differenziata e abolire i sacchetti, ma sarà
comunque senza speranza di vincere la battaglia ambientalista, senza
interventi sistematici.
Quando le discariche si riempiono di elettrodomestici forzosamente
obsoleti che con tutto l’impegno del mondo il singolo acquirente non può
aggiustare per mancanza di ricambi; quando l’industria della fast
fashion non viene penalizzata quando sfrutta i lavoratori e non rispetta
norme ambientali; quando le multinazionali possono infrangere i
protocolli ecologici e lavorativi e inquinare nei paesi in via di
sviluppo, l’azione individuale non può essere risolutiva. La critica di
Costa manca il punto perché deresponsabilizza i colossi industriali
occidentali che sono tra i responsabili dell’inquinamento anche nei
paesi in via di sviluppo; non coglie, inoltre, il fondamentale messaggio
di Greta Thunberg, che ci ricorda che occorrono cambiamenti strutturali
e globali per contrastare il cambiamento climatico, che il capitalismo
ha instaurato un’economia insostenibile per il pianeta, e che il minimo
che i governi di tutto il mondo possono fare è imporre delle limitazioni
sulle emissioni di CO2 e conseguentemente su tutta la cultura del
profitto a ogni costo. Ribaltare le carte in tavola ed attribuire la
responsabilità al consumatore singolo è un modo per sollevare le
responsabilità di industriali e governi occidentali: ma l’intervento di
questi ultimi è indispensabile per fermare il crollo ambientale.
Forse il fatto che un’attivista donna non-neurotipica di 16 anni
abbia la forza e l’energia per rendere questa conversazione globale è il
problema che tormenta i suoi sedicenti critici, che si rifugiano nel
cyber bullismo abilista e sessista per mancanza di argomenti migliori.
UPDATE: gli insulti a Greta vanno aggiornati, purtroppo. C’è una
Maria Giovanna Maglie che nel corso della trasmissione “Un giorno da
pecora” su Radio” ha detto “se non fosse malata la metterei sotto con l’auto”. Gentile, vero?
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