28/03/2019
Torino - La Procura contro i combattenti in Rojava
Uno Stato reazionario si vede da certe cose.
Sono passati pochi giorni dalla morte in combattimento di Lorenzo “Tekoser” Orsetti in Siria, insieme alle forze curde che stanno finendo di distruggere l’Isis. E per una volta anche le voci dell’establishment avevano in qualche misura condiviso il dolore della famiglia, se non quello dei tanti compagni che l’avevano conosciuto.
Ma si vede che la Procura di Torino non ha gradito troppo questo rispetto, pur fermandosi un attimo per non apparire “eccessiva”. Lunedì si è tenuta l’udienza con cui l’accusa – rappresentata dalla pm Manuela Pedrotta – ha chiesto la “sorveglianza speciale” per cinque compagni che avevano preceduto “Orso” nell’esperienza con le Ypg.
La requisitoria del pm ha avuto momenti di pura ideologia reazionaria: «Non credo che siano andati in Siria per salvare la nostra società da una minaccia terroristica. Uno di loro ha scritto che “dopo l’Isis il nemico numero uno è la società capitalista”. Loro vogliono continuare la lotta in Italia».
La presunta conferma della loro pericolosità starebbe, sempre a parere del magistrato, nella frequentazione che alcuni di loro hanno avuto con il movimento No Tav. «(I cinque) si sono resi responsabili di condotte violente contro le forze dell’ordine in occasione di manifestazioni contro il Tav, le politiche contro l’immigrazione, gli avversari politici all’università».
Quindi, seguendo un sillogismo non formalmente esplicitato (e giuridicamente assurdo), i cinque sarebbero “pericolosi” perché sarebbero andati a combattere in Rojava soltanto per imparare come si fa e poter “fare la rivoluzione” in Italia.
Non staremo qui a ricordare a un pm che “l’addestramento militare” – quella fase in cui si imparano a maneggiare le armi e a muoversi secondo le regole della guerra – si fa in condizioni di sicurezza, praticamente senza rischi, così come avviene per gli allenamenti pre-gara sportiva. Mentre il combattere contro un nemico che ti spara comporta il forte rischio di rimanere uccisi.
Dunque, è manifestamente infondata – e proprio sul piano militare – l’idea che si vada a combattere sul serio solo per “imparare” come si fa e riproporlo altrove... Forse se gli stessi pm si occupassero dei fascisti italiani che vanno a fare addestramento in Ucraina andrebbero un po’ più vicini a un reato come quello che vanno ipotizzando.
I compagni Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci, invece, hanno corso i loro rischi e sono fortunatamente tornati nel proprio paese, mantenendo ovviamente le proprie opinioni politiche, al contrario di quanto avvenuto per “Orso” e Giovanni Francesco Asperti (“Hiwa Bosco”).
La sentenza ci sarà tra 90 giorni, tempo che al tribunale deve esser sembrato sufficiente a far cadere il definitivo silenzio mediatico sulla vicenda di “Orso” e quindi rendere meno “antipatica” la misura richiesta dalla Procura.
Sta di fatto, però, che così facendo la Procura torinese sintetizza una posizione precisa dello Stato italiano a proposito dei combattenti per l’autodeterminazione e la libertà dei popoli: sarete considerati brava gente solo se tornerete morti.
Sarà bene ricordarsene...
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