Il 13 dicembre 2018, la Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato la fine del Quantitative Easing (QE) a partire da Gennaio 2019. Il QE è stato avviato a Marzo 2015 come politica monetaria non convenzionale allo scopo – almeno negli intenti – di rilanciare la crescita economica nell’euro area e permettere all’inflazione di raggiungere un valore vicino al 2%, target di riferimento della BCE. A tale scopo, la BCE espanse i propri bilanci aumentando la base monetaria attraverso un massiccio acquisto di titoli, per lo più pubblici nelle mani delle banche dell’Eurozona. Come si può osservare nella figura, a partire da marzo 2015 (linea rossa), l’offerta di moneta ha subito un brusco aumento passando da 1200 miliardi di euro nel marzo 2015 fino ad arrivare ad un valore di 3200 miliardi di euro nel gennaio 2019, ossia un aumento percentuale di circa il 166% in tutto il periodo osservato.
Base monetaria in milioni di euro. Fonte: BCE.
Negli intenti dichiarati dalla BCE, un vigoroso aumento dell’offerta di moneta dovrebbe aumentare la disponibilità di risorse e i prezzi dei titoli nelle pancia delle banche e diminuire i tassi dell’interesse applicati dalle stesse sui prestiti a famiglie ed imprese. Secondo la BCE, i bassi tassi d’interesse e l’alta disponibilità di liquidità dovevano spingere banche da un lato e famiglie e imprese dall’altro ad aumentare la quantità di moneta circolante nell’economica tramite un aumento dei prestiti, i quali a loro volta avrebbero stimolato i consumi e gli investimenti. Questa vigorosa spinta monetaria doveva condurre a maggiori livelli di occupazione e avvicinare l’inflazione realizzata all’obiettivo della BCE, ossia il 2%. Nella sostanza il procedimento di finanziamento dell’economia reale che la BCE si immagina segue questa catena di passaggi:
(i) bisogna permettere alla liquidità a disposizione delle banche di aumentare;
(ii) ciò favorisce una discesa dei tassi d’interesse;
(iii) questo stimola la richiesta dii prestiti da parte di famiglie e imprese;
(iv) di conseguenza, attività economica, occupazione e inflazione vengono rilanciate.
Analogamente, a partire da giugno 2014 e marzo 2016, la BCE ha lanciato un piano di finanziamento dell’economia reale tramite la prima e seconda serie di TLTRO (Targeted longer-term refinancing operations). Si tratta di strumenti di finanziamento che hanno l’obiettivo di fornire alle banche prestiti a lungo termine (per un massimo di 4 anni) a tassi dell’interesse molto agevolati. In questo caso, a differenza del QE, la BCE non pretende la restituzione della liquidità concessa. Sia nella prima che nella seconda tornata di TLTRO, i volumi di finanziamento ottenibili dalla BCE dipendevano strettamente dal volume di prestiti forniti dalle banche a famiglie e imprese (da tale novero sono stati esclusi i prestiti per l’acquisto di abitazioni).
Si è cercato, in pratica, di incentivare l’immissione di liquidità nell’economia reale. Consideriamo anche che le banche, in generale, fanno profitti perché prestano ai privati a un tasso maggiore rispetto a quello al quale si possono rifinanziare presso la BCE. Dato che i prestiti ai privati sono agevolati mediante sconti sui tassi ai quali le banche si rifinanziano presso la BCE, le banche europee sperimentano un aumento dei margini di profitto legati alla loro attività di prestito. Recentemente, il 7 marzo 2019, la BCE ha annunciato una terza serie di TLTRO che inizierà a settembre 2019 e finirà a marzo 2021. Queste operazioni saranno condotte a frequenza trimestrale e (molto probabilmente) si applicheranno le medesime condizioni sia sui tassi d’interesse che sulle modalità di prestito impiegate nella prima e seconda tornata di TLTRO. Come ammesso dalla BCE, la terza serie di TLTRO avrà dunque la caratteristica di mantenere in essere una serie di incentivi con lo scopo di stimolare l’economia reale favorendo la concessione di credito da parte delle banche a famiglie ed imprese.
Ora una domanda appare logica e necessaria. Perché, nonostante l’immensa iniezione di liquidità generata dal QE, le favorevoli condizioni di prestito fissate dalle BCE con le TLTRO e i bassi tassi dell’interesse, l’economia europea non saggia il tanto sperato boom economico? Per rispondere a queste domande ci focalizzeremo su alcuni punti fondamentali, e cercheremo di spiegare i motivi per cui il QE e le TLTRO non erano, non sono e mai saranno strumenti idonei a favorire la crescita economica e occupazionale di un Paese. Anzi, come anticipato, si tratta di uno strumento che rimette prepotentemente al centro della scena politico-economica la BCE, e la sue scelta di acquistare o meno titoli di Stato che condizionano ogni giorno le dinamiche dello spread, strumento di disciplina delle politiche fiscali attraverso la minaccia dei mercati.
1. Come anticipato, il QE è stato uno strumento di politica monetaria che ha inondato il sistema bancario di liquidità tramite un aumento dell’offerta di moneta senza precedenti. Tale strumento non ha tuttavia portato alcun giovamento alla crescita economica ed occupazionale, che, specialmente per i paesi periferici dell’Unione, risulta essere ancora stagnante e debole. Il ragionamento erroneo alla base del QE è quello di ritenere che facendo affluire liquidità alle banche questa si tramuti in prestiti che stimolano la produzione e l’occupazione. Nelle economie capitalistiche moderne avviene l’esatto contrario. In generale, le famiglie e le imprese richiedono al sistema bancario una certa quantità di moneta sotto forma di prestiti, e le banche concedendoli la creano. Così facendo vediamo che è la domanda di prestiti a determinare l’offerta di moneta del sistema bancario, e non il contrario come supposto dalla BCE. Tra gli economisti si è soliti descrivere la politica monetaria e l’inadeguatezza del meccanismo di aumento dell’offerta di moneta con la metafora acqua-cavallo: se la moneta fosse l’acqua e l’economia reale fosse il cavallo, il cavallo non beve non perché manca l’acqua ma perché non ha sete.
Da qui scaturisce il secondo punto di riflessione della nostra analisi: comprendere cosa determina la sete del cavallo, cioè capire cosa influisce sulla domanda di prestiti di famiglie e imprese.
2. Come implicitamente osservato dalla BCE, la caduta dei tassi d'interesse dovrebbe stimolare l’economia reale attraverso una maggiore domanda di credito. Se da una parte questo meccanismo può funzionare per il finanziamento dell’acquisto di abitazioni – il quale è stato escluso dal programma delle TLTRO – è facilmente dimostrabile che questo non funziona quando si vogliono stimolare gli investimenti, da finanziare tramite prestiti. Le imprese incrementano gli investimenti solo quando percepiscono maggiori opportunità di vendita dei beni e servizi prodotti, e non perché il costo del denaro e dei prestiti è basso. Immaginiamo per un momento di essere un padrone, per esempio un produttore di vanghe, e chiediamoci: “Perché dovrei aumentare il mio investimento in nuovi macchinari utili a produrre vanghe?”. È economicamente ragionevole aumentare l’investimento quando le aspettative di vendita di vanghe aumentano: installerò nuovi macchinari in modo da essere in grado di produrre più vanghe e quindi soddisfare la domanda proveniente dal mercato. Contrariamente, non aumenterò gli investimenti (ossia, gli acquisti di macchinari atti a produrre vanghe) quando diminuisco i tassi d’interesse perché potrei non ricevere dal mercato una domanda di vanghe tale da farmi usare i nuovi macchinari ad un livello desiderabile. In altre parole, se investissi solo basandomi sui tassi d’interesse (ossia il costo dell’investimento), potrei dover lasciare dei macchinari inutilizzati, i quali graverebbero come costi sui bilanci della mia impresa senza tuttavia apportarmi dei benefici in termini di vendita di vanghe, e quindi di ricavi e profitti.
Di conseguenza, solo una politica volta ad aumentare la domanda di beni e servizi può generare effetti positivi sull’economia, e di conseguenza sulla domanda di investimenti e prestiti. Specialmente nei periodi di profonda recessione e nei momenti storici caratterizzati da disoccupazione, solo uno stimolo basato sull’aumento della spesa pubblica risulta essere efficace. Di contro, come la storia ci testimonia, la politica monetaria ha pochissimi effetti sull’economia reale perché né i bassi tassi d’interesse né tutta la moneta creata dalla banca centrale hanno stimolato la crescita economica e occupazionale. Tutt’al più tali misure influenzano i profitti del settore bancario tramite una riduzione dei costi di indebitamento, come nel caso delle TLTRO, oppure fornendo elevati volumi di liquidità che poi restano fermi nelle pance delle banche, come nel caso del QE.
Come se tutto ciò non bastasse, non bisogna mai dimenticare il fatto che l’uso degli strumenti illustrati è stato più volte messo al servizio dell’austerità mediante il sistema della ‘condizionalità’. In altre parole, la BCE può sempre intervenire, così come per aprirli, per chiudere i suoi rubinetti o per diminuirne il getto, quando gli Stati ne hanno più bisogno, sottoponendo la concessione di liquidità a precise indicazioni politiche di stampo liberista, a volte recapitate anche a mezzo di simpatiche letterine.
In questa cornice, il QE è stato anche un mezzo per condizionare la politica economica ed imporre l’austerità, sostanziandosi come uno strumento che ha aumentato le facoltà della BCE di lasciare i debiti pubblici dei singoli paesi in balìa dei mercati. Se paradigmatico in questo senso è il caso greco, un’ulteriore riprova ne è recentemente stata la fase di formazione del governo italiano in carica.
Per concludere quindi, la millantata “eroica” politica monetaria dell’ineffabile Draghi non è solo economicamente inefficace, ma anche politicamente pericolosa.
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