Si è sentito costretto a intervenire «dopo aver visto quella foto
della statua di Indro imbrattata di vernice rosa dalle femministe del
terzo millennio, nonché l’alluvione di commenti isterici, violenti e
privi di qualsiasi prospettiva e senso della storia che si sono
abbattuti su di lui».
E noi, femministe del terzo millennio, caro Luca Telese, nonostante
avessimo di meglio da fare oggi, ci sentiamo costrette a risponderti.
Dici, e da come lo dici sembra quasi un’attenuante, che «fu lo
stesso Montanelli ad “autodenunciarsi” raccontando la storia della sua
sposa “comprata” nei tempi del “Battaglione” eritreo» (la 12enne Destà) e
che lo fece «senza nessun infingimento, e addirittura senza risparmiare
al lettore la crudezza dei dettagli sessuali». Veniamo così a sapere
che aveva «faticato a stabilire un rapporto sessuale con lei perché era
fin dalla nascita infibulata», quell’«animalino docile» come la definì
nel programma “L’ora della verità” di Gianni Bisiach nel 1969. «Si
trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie»:
«Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra con cui
erano intrisi i suoi capelli». «Peggio: la ragazza era restia e "dovette
intervenire la madre"».
Ecco, dopo questo profluvio di dettagli, dopo aver messo nero su
bianco che era «restia», caro Luca, riesci comunque a scrivere che
«l’Africa e il mondo degli anni Trenta erano molto diversi da quello di
oggi: era il democratico ad essere minoranza. In Abissinia ci si sposava
normalmente a 14 anni perché l’aspettativa di vita era morire a
trenta».
E allora, se era tutto normale, come mai Destà era restia? Forse che le
leggi o le abitudini o i costumi possono cancellare la soggettività di
ognuno di noi? Forse possono far sì che io viva diversamente una cosa
che inizialmente mi era apparsa come una violenza? E anche se Destà non
fosse stata restia, come mai non fu restio il 27enne italiano Indro
Montanelli?
Ah già, i costumi differenti della profonda Africa.
Un’argomentazione presa direttamente dalla bocca di Montanelli, che nel
programma di Bisiach disse proprio così, ammettendo anche – pungolato da
Elvira Banotti – che in Europa lo avrebbe inteso come lo stupro di una
bambina ma lì, in Africa, no.
E già. Lì, in Africa, no.
Come si può pensare che siano dei confini geografici a determinare
l’eticità o meno di un’azione? O che sia una legge a dire cosa è giusto o
sbagliato? Forse che i diritti inviolabili dell’essere umano sono tali
solo a seconda di dove si è nati?
Telese ci tiene poi a ricordarci che anche in Italia il «contesto» a
lui tanto caro era pur sempre quello che era (a ulteriore motivo di
giustificazione). «Anche in Italia c’erano matrimoni combinati»,
«esisteva il delitto d’onore», «fino al 1970 non si poteva divorziare»… e
quindi «immaginare quel matrimonio di Montanelli come una violenza, e
il suo gesto come quello di uno stupratore isolato [che fosse in nutrita
compagnia cambia qualcosa?], significa non capire nulla».
Caro Telese, sei tu che non capisci nulla. Il mondo per noi donne
continua a non essere proprio rose e fiori. Veniamo ammazzate, stuprate,
discriminate… È questo il «contesto» in cui viviamo: a volte sancito
“solo” a livello culturale, a volte (o altrove) da sentenze, leggi, usi e
costumi. E quindi? Tra 100 anni qualcuna dovrà leggere un Luca Telese
del futuro argomentare che era normale nel «contesto» di oggi che una
ragazza con la gonna venisse stuprata o che era normale che un uomo
vedesse ridotta la pena per femminicidio a motivo di forte stato di
gelosia?
Il contesto, le leggi, i cosiddetti usi e costumi non possono essere un
alibi. Sarebbe l’abdicazione totale del libero arbitrio.
(12 marzo 2019)
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