L’esercito siriano ha denunciato oggi un raid aereo, attribuito da
Damasco all’aviazione israeliana, contro una zona industriale a nord di
Aleppo, Sheikh Najjar. Intervengono anche fonti delle opposizioni
siriane: il bombardamento, dice l’Osservatorio siriano per i diritti
umani, organizzazione basata a Londra e parte del fronte anti-Assad,
avrebbe colpito magazzini di munizioni iraniani e un aeroporto militare
utilizzato dalle forze di Teheran e avrebbero ucciso sette iraniani.
Aleppo sarebbe uno degli hub militari, secondo alcuni osservatori, della
Repubblica islamica in Siria, che nella seconda città siriana per
importanza avrebbe una forte presenza delle Guardie Rivoluzionarie.
Il raid ha provocato un blackout elettrico su Aleppo. Alcuni
missili sganciati dai jet, aggiunge l’esercito di Damasco, sono stati
abbattuti dalla contraerea siriana. Tel Aviv non commenta, dopo
una serie di interventi – che hanno costellato gli ultimi anni di
guerra siriana – che nell’ultimo periodo sono stati rivendicati dal
governo israeliano. L’ultima dichiarazione risale a gennaio quando il
premier Netanyahu parlò apertamente di “azioni di grande successo per
arrestare il ruolo militare iraniano in Siria”.
Sarebbero stati oltre 800 gli interventi israeliani in Siria
nell’ultimo anno e mezzo, aveva dichiarato lo scorso autunno l’esercito
israeliano: nel mirino circa 200 target, tra convogli di armi e
postazioni iraniane secondo le affermazioni di Tel Aviv. Che non ha mai
nascosto la propria posizione verso il paese vicino: da anni il
governo israeliano lavora sia sul piano militare, con la copertura Usa,
sia su quello diplomatico, attraverso colloqui con Mosca, per ridurre
la presenza iraniana in Siria con l’obiettivo di costringere Teheran a
ritirare le proprie truppe.
L’Iran, a oggi, non ha mai risposto direttamente a Israele nonostante
le minacce di rappresaglie, consapevole che una reazione provocherebbe
un’esplosione delle tensioni nella regione. Soprattutto alla luce delle
politiche attuate in Medio Oriente dall’amministrazione statunitense
guidata da Donal Trump che sta lavorando alacremente fin dalla
sua inaugurazione per dare vita a un asse arabo-israeliano contro
l’Iran. Asse che passa per Riyadh e arriva a Tel Aviv e che ha, tra le
sue vittime, i palestinesi a cui Trump sta tentando di imporre il
cosiddetto “Accordo del Secolo”, piano di pace che non tiene
conto delle storiche rivendicazioni palestinesi ma che si focalizza
sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi sunniti.
L’attacco su Aleppo è arrivato mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riuniva d’emergenza per discutere, su richiesta di Damasco,
l’unilaterale riconoscimento statunitense delle Alture del Golan siriano come
territori israeliani. La scorsa settimana Trump aveva annunciato
l’intenzione di compiere tale mossa, molto simile a quella del 6
dicembre 2017 quando riconobbe Gerusalemme capitale di Israele. Ed è
stata confermata lunedì: alla Casa bianca, con Netanyahu
accanto, il presidente Trump ha ufficializzato il riconoscimento del
Golan come territorio sovrano israeliano.
Immediate erano state le reazioni: il Golan è stato occupato
da Israele nel 1967 e, al pari di Gerusalemme est, Gaza e Cisgiordania, è
considerato dal diritto internazionale e dall’Onu territorio occupato.
Al Palazzo di Vetro, ieri, gli altri 14 membri del Consiglio di
Sicurezza hanno condannato la mossa statunitense, definendola una
“palese violazione” delle risoluzioni delle Nazioni Unite e
dello stesso Consiglio che ha emesso almeno tre risoluzioni che chiedono
a Israele di ritirarsi dal territorio siriano.
A preoccupare è anche la tenuta della missione dell’Onu Undof, mille
caschi blu che dal 1974 sono dispiegati nella zona per monitorare il
cessate il fuoco.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento