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18/03/2019

Comincia il tempo dello ZingaRenzi...

Quanto deve essere brutta e ripetitiva, la realtà politica, per rischiare di rendere banale un capolavoro letterario...

Ascoltare il discorso con cui Nicola Zingaretti ha concluso il rito dell’ascensione alla carica di segretario del Pd è stata un’esperienza quasi mistica. Se uno chiudeva gli occhi sentiva frusciare le onde sulla spiaggia dove “la sinistra” rinasce; se uno li apriva vedeva esattamente le stesse facce ghignanti della stagione renziana (qualcuno un po’ più indietro, per non rovinare troppo il discorso e le photo opportunity).

Soprattutto, se uno si sofferma a mente fredda sui singoli punti programmatici esposti dal fratello di Montalbano, scompare qualsia novità. Retorica a parte (la boria supponente del Matteo stemperata nel “volemose bene” del cosiddetto “campo largo”).

Capiamo che, per quanti si illudono che il nuovo ticket Cgil-Pd (Landini-Zingaretti, appunto) possa produrre sostanziali cambiamenti di linea politica, sarà necessario attendere prove concrete, fisiche, inoppugnabili. Ma quanto detto e promesso fin qui ci sembra sufficiente a tracciare il prossimo futuro del Pd (o come si chiamerà tra qualche mese).

“Serve un nuovo Pd, deve cambiare tutto a cominciare dallo statuto per impedire la salvinizzazione del Paese!”. Applausi scroscianti, uno si aspetta di sentir risuonare le note del L’Internazionale... Ma poi viene eletto presidente del partito e prossimo candidato premier tale Paolo Gentiloni; la renzianissima Maria Elena Boschi entra nella direzione (un premio all’adesione della sua corrente nella nuova maggioranza). Il tesoriere è il “nuovissimo” Luigi Zanda, senatore ed ex capogruppo, figlio di un capo della polizia degli anni ’70 (Efisio Zanda Loy, nominato da Andreotti), ex segretario-portavoce di Francesco Cossiga, ex presidente di Lottomatica, ex amministratore capitolino con Francesco Rutelli ed ex consigliere di amministrazione della Rai in quota “margherita”. Più una lunghissima serie di “ex” incarichi più o meno prestigiosi.

Due donne vicepresidenti, ma una – Debora Serracchiani – non è proprio una innovatrice da paura. E anche Anna Ascani, forse meno nota, inanella da anni comparsate nei talk show politici senza aver mai lasciato un segno almeno di simpatia.

Vabbeh, si dice uno... pure Maurizio Landini è diventato segretario della Cgil e ora si ritrova con un gruppo dirigente al 40% fedele a Colla (suo ex concorrente alla segreteria), il 35% di area Camusso e solo il 25% di seguaci veri. Ovvio che debba pagare un prezzo alla mediazione...

Cerchiamo nei contenuti programmatici, allora.

“Il Paese è bloccato e sta decadendo. Il pil è fermo, nel prossimo autunno ci sarà bisogno di una manovra di decine di miliardi di euro e sarà drammatica”. E quindi?

“In primo luogo le infrastrutture materiali: serve un grande piano per un’Italia più sicura ma anche più rispettosa dell’ambiente. Perché solo con una svolta green si può tornare a produrre ricchezza. La riconversione ecologica dell’economia è il futuro. L’Italia deve contribuire all’obiettivo di emissioni zero in Europa”. Il Tav in Val Susa, ci mancherebbe, e pure tutte le altre grandi opere, per quanto contestate dai residenti. Non perché le vuole “il partito del Pil”, ma “per l’ambiente”. In fondo pure Salvini giustifica così la Tav, “per togliere merci dai tir che inquinano”. Chi gira sull’autostrada in Val Susa non vede poi tanti di questi tir, forse perché non c’è granché da portare sa Torino a Lione, ma vabbeh, almeno Zingaretti asserisce di essere green.

Chi lo ha visto all’opera come “governatore del Lazio”, però ha tutt’altra esperienza, visto il suo entusiastico appoggio all’autostrada Roma-Latina (e contro l’ipotesi alternativa, assai meno costosa in termini economici e ambientali, dell’allargamento e messa in sicurezza dell’attuale via Pontina). Ma vabbeh, ci sarà stata qualche necessaria mediazione anche lì...

Poi inciampa, ma di brutto. “Non crediamo nella monetizzazione del welfare, ci batteremo per la sanità pubblica promuovendo quota 10, ossia un incremento di 10 miliardi per aumentare i livelli di assistenza e assumere 100mila nuovi operatori nella sanità pubblica italiana. La vera priorità di questa epoca è il lavoro, in tutto il Paese ma soprattutto nel Mezzogiorno”.

Perché se per una cosa Zingaretti è conosciuto nel Lazio è per la chiusura di ospedali, pronto soccorso, ecc. Come spiega da sempre Elisabetta Canitano (ginecologa, Potere al Popolo, Casa Internazionale delle Donne, ecc): “Viaggiando nel disastrato sistema sanitario laziale emerge che la sanità pubblica è stata soffocata e depauperata oltre quanto richiedeva il bilancio: i soldi pubblici vanno a privati e convenzionati e i cittadini, se possono, devono (ri)pagare per accedere ad un diritto costituzionale universale”. E sulle responsabilità specifiche di Zingaretti, ci si può informare meglio qui.

Narrazione progressista e pratica devastante neoliberista si sommano a ogni passaggio dello speech del neosegretario, che però chiarisce definitivamente tutto sul punto decisivo: la Costituzione.

“L’Italia non funziona anche per colpa dei ‘no’ al referendum”. Non aveva mai nascosto il suo appoggio all’assalto renziano, su un testo di “riforma” copiato pari pari dal “piano di rinascita nazionale” di Licio Gelli. Ma adesso promette di “Riaprire un capitolo ora chiuso”.

Basterebbe anche solo questo, in effetti, per dare il segno della “non svolta” zingarettiana rispetto al percorso piddin-reazionario degli ultimi anni.

E dunque, purtroppo, ci tocca inflazionare la battuta-programma del gattopardismo italico: (dire che) tutto cambi, perché nulla cambi (nei fatti”)

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