di Michele Giorgio – il Manifesto
Non deve indurre in inganno
la calma relativa che ha regnato ieri lungo le linee tra Gaza e Israele
dopo i pesanti bombardamenti sul territorio palestinese compiuti
dall’aviazione israeliana a seguito del lancio di un razzo su una abitazione
civile (7 feriti) a Mishmeret, a nord di Tel Aviv. La tensione era molto alta ieri sera. Il baratro di un’offensiva israeliana resta vicino. Rientrato
dagli Usa ieri, Benyamin Netanyahu, al termine della riunione del
gabinetto di sicurezza, ha scelto la linea del pugno di ferro: niente
tregua con Hamas e invio di altri rinforzi di truppe, mezzi corazzati e
artiglieria verso Gaza.
Decisione anticipata poco prima dalle frasi che ha pronunciato in
collegamento via satellite con la conferenza dell’Aipac a Washington. «Posso
dirvi che siamo pronti a fare molto di più. Faremo quanto necessario
per difendere la nostra gente e il nostro Stato. Hamas deve sapere che
non esiteremo a entrare (a Gaza) e fare i passi necessari», ha detto rivolgendosi a una platea di sostenitori di Israele. In serata si è appreso del richiamo di altri riservisti.
I tweet dei media israeliani hanno laconicamente avvertito che nuovi
attacchi su Gaza potrebbero avvenire in qualsiasi momento.
Non è solo “teatro” da campagna elettorale, come afferma o
scrive qualcuno. Proprio il voto del 9 aprile potrebbe essere il motore
di questa possibile offensiva israeliana. A spingere
sull’acceleratore della guerra non sono solo i rappresentanti
dell’opposizione che accusano Netanyahu di non garantire la sicurezza di
Israele. Nella maggioranza di destra al governo i capi di partiti piccoli e grandi gareggiano in estremismo.
Da due giorni ognuno di loro sostiene, durante i comizi e le
apparizioni televisive, di possedere la “ricetta” giusta per schiantare
il “nemico Hamas” a Gaza. «Se fossi io il ministro della difesa
saprei come mettere fine ad Hamas una volta e per tutte», ha proclamato
perentorio il ministro (ultranazionalista) Naftali Bennett
attaccando frontalmente Netanyahu che oltre ad essere premier mantiene
ad interim la difesa. E Netanyahu, che non è certo noto per essere un
moderato, anzi, è impegnato a non farsi superare a destra. Nonostante
manchino solo due settimane alle elezioni potrebbe ugualmente dare il via ad un’operazione di breve durata solo qualche giorno per evitare che i razzi da Gaza costringano la sua
popolazione per un lungo periodo a vivere tra casa e rifugi – ma di eccezionale potenza distruttiva nel tentativo di imporre la resa alle formazioni armate palestinesi e di presentarsi il 9 aprile, all’apertura delle urne, come il leader forte e irriducibile agli occhi degli elettori.
I civili palestinesi hanno avuto lunedì notte un assaggio di quanto potrebbe essere devastante un altro attacco israeliano,
molto più di quello del 2014, dal quale Gaza non si è ancora ripresa. I
resoconti giornalistici ieri si sono concentrati sulle sedi di Hamas e
le basi della sua ala armata rasi al suolo dalle bombe israeliane,
sottolineando il basso numero di feriti. Hanno trascurato i danni
gravissimi che i missili sganciati dai bombardieri israeliani hanno
provocato a dozzine di case adiacenti agli edifici colpiti. Molte
famiglie hanno perduto tutto oltre alle loro case, danneggiate in modo
irreparabile. I fotografi di Gaza hanno diffuso immagini di donne
disperate, in lacrime, di bambini con la paura stampata in volto seduti
sulle macerie della abitazione dove avevano vissuto fino a qualche ora
prima e delle voragini enormi aperte dalle esplosioni. Sono state ore di
tensione anche per gli israeliani che vivono nei centri accanto a Gaza:
pochi i danni causati dal lancio di razzi ma gli allarmi sono stati
continui e non pochi di loro hanno trascorso la notte nei rifugi.
Intanto fonti ufficiali israeliane, citate ieri dal Times of Israel, sostenevano che il riconoscimento della “sovranità” israeliana sul
Golan siriano fatto da Trump prelude ad un riconoscimento Usa anche di
«altri territori» occupati da Israele. Hassan Nasrallah li ha
subito identificati. Secondo il leader di Hezbollah il presidente
americano presto riconoscerà la sovranità dello Stato ebraico anche
sulla Cisgiordania palestinese.
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