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14/03/2019

Salario minimo. E’ tempo che si faccia, ma attenzione alle insidie

In Italia, una lavoratrice o lavoratore su cinque (il 22% dei lavoratori dipendenti delle aziende private, escludendo gli operai agricoli e i domestici) ha una retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi. La stima arriva dall’Inps che ha partecipato ieri ad una audizione alla Commissione Lavoro del Senato intorno alla questione del salario minimo. Il 9% dei lavoratori è al di sotto degli 8 euro orari lordi mentre il 40% prende meno di 10 euro lordi l’ora.

I dati forniti dall’Inps confermano la vergogna dei bassi e bassissimi salari nel nostro paese e il vero e proprio boom dei working poor, cioè poveri anche se hanno un lavoro. Su questa contraddizione ormai esplosa, si è avviato un dibattito sul salario minimo che vede posizioni contrastanti e troppo spesso troppi “numeri in libertà”. Fissando la soglia del salario minimo a 9 euro lordi l’ora – ha spiegato l’Istat in una memoria – ci sarebbero 2,9 milioni di lavoratori che avrebbero un incremento medio annuo di retribuzione di 1.073 euro. L’Istat spiega che sarebbe coinvolto il 21% dei lavoratori dipendenti con un aumento stimato del monte salari complessivo di 3,2 miliardi. Quasi tutti i livelli di inquadramento del lavoro domestico ad esempio, hanno un salario orario inferiore a 9 euro. A confermarlo è stata l’Inps nell’audizione alla Commissione Lavoro del Senato sul salario minimo chiedendo, nell’eventuale introduzione di una soglia di salario minimo, di tenere in considerazione “le oggettive caratteristiche del settore anche allo scopo di evitare il rischio di pericolose involuzioni che possono portare all’espansione del lavoro irregolare”. Tra il 2012 e il 2017, rileva l’Inps il numero dei lavoratori regolari nel settore è diminuito del 15% passando da 1,01 milioni a 864.526 unità.

Ciò che l’Inps non ha rilevato è che, per esempio, per migliaia di operatori delle cooperative sociali e del terzo settore, si sta cercando di trasformarne la condizione contrattuale proprio come collaboratori domestici con contratti individuali e non più collettivi come quelli del settore cooperative.

In questo dibattito sul salario minimo, l’Usb, anche lei presente all’audizione alla Commissione Lavoro del Senato, ha espresso la sua piena approvazione al fatto che finalmente anche in Italia venga istituito un salario minimo per legge. “I numeri clamorosi sulla diffusione del lavoro povero sono la dimostrazione che la contrattazione collettiva non è in grado di proteggere i salari e un intervento di legge è quindi indispensabile”. Ma la delegazione di USB, ha anche sottolineato come il lavoro povero non si misuri soltanto in base alle basse retribuzioni ma anche all’intensità del lavoro. “L’abuso del part-time obbligatorio, orari di lavoro settimanali molto limitati e contratti di breve durata non potranno mai essere compensati da una retribuzione oraria più alta. Occorre quindi combattere l’abuso del part-time, riconosciuto purtroppo in molti contratti nazionali, e ridurre la gestione arbitraria dei tempi determinati con interventi meno timidi di quelli del Decreto dignità”.
Ma la discussione sul salario minimo, almeno così come viene istruito, contiene anche delle insidie. L’Usb ad esempio, è fortemente contraria alla sovrapposizione della questione del salario minimo con quella della rappresentanza. Nel disegno di legge presentato dal Movimento Cinque Stelle si riconosce l’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014, dandogli così indirettamente un valore di legge.

La delegazione USB nell’audizione al Senato ha segnalato la necessità di introdurre in Italia una legge sulla rappresentanza, richiesta che Usb avanza da almeno vent’anni, una rappresentanza democratica nei luoghi di lavoro ma non in base alle regole capestro imposte da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. “Le regole devono essere trasparenti, garantire libere elezioni per gli organi di rappresentanza dei lavoratori e l’obbligo delle imprese a certificare gli iscritti di tutti i sindacati. Nel testo del 2014, invece, confederali e Confindustria hanno anche inserito diverse disposizioni contro le libertà sindacali e il diritto di sciopero che sono inaccettabili e che non devono assolutamente essere riconosciute dalla legge. La questione del salario minimo non va quindi confusa con quella di una legge sulla rappresentanza che aspettiamo da tempo”.

Su questo nesso malefico tra salario minimo e rappresentanza, è emblematico quanto ha dichiarato Landini nell’intervista a L’Espresso: “se il Parlamento stabilisce un salario che prescinde dalla contrattazione e che può essere persino più basso dei limiti contrattuali, diventa una norma di legge che contrasta la contrattazione collettiva. E proprio in un’ottica di rafforzamento della contrattazione che abbiamo anche chiesto di misurare la rappresentanza dei sindacati così che gli accordi abbiamo validità generale. Eravamo d’accordo tutti, sindacati e confederazioni”.

In realtà, proprio l’opposizione di Cgil Cisl Uil e di Confindustria su entrambi i fronti, ha sempre impedito di realizzare questi provvedimenti che potrebbero veramente produrre un cambiamento reale nel sistema delle relazioni industriali. Cgil Cisl Uil e padronato sono infatti uniti nel contrastare l’introduzione del salario minimo. Così come sono saldamente assieme nel chiedere un intervento legislativo che avalli i loro accordi. I lavoratori poveri possono aspettare e così pure la democrazia sindacale. Una contraddizione pesante come un macigno sulla segreteria Landini nella Cgil ma che, in base alla recente intervista a L’Espresso, non sembra affatto inviare segnali positivi, al contrario.

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