È giusta una legge sul salario minimo? Sì. A condizione che essa serva davvero ad alzare le paghe da fame che oggi stanno dilagando e che non divenga uno strumento per evadere i contratti nazionali.
Quindi la legge deve garantire un salario minimo sufficiente ad impedire che questi effetti negativi si realizzino. Se il salario minimo è troppo basso, si legalizza il super-sfruttamento, che oggi è quello di milioni di donne e uomini che lavorano per pochi euro.
Tra le diverse proposte di legge in parlamento le peggiori sono quelle di LeU e Fratelli d’Italia, che prevedono 7 euro lordi all’ora, che diventerebbero meno di 6 al netto. Se si deve fare una legge con queste paghe meglio non farla, farebbe solo danno.
La retribuzione più elevata è quella della proposta del PD, che garantirebbe 9 euro netti, 11 circa lordi. Dopo viene quella del M5S, per il quale i 9 euro dovrebbero essere lordi, divenendo così poco più di 7 netti. Come ci hanno ricordato INPS ed ISTAT, se il salario minimo si stabilisse ai livelli di queste due proposte, milioni di lavoratrici e lavoratori vedrebbero aumentate le loro retribuzioni.
I sindacati dovrebbero intervenire proprio a questo punto, per strappare la soluzione più alta possibile ed ottenere una paga minima che serva a spingere versi l’alto tutte le retribuzioni. La prima rivendicazione della CGT in Francia, condivisa con i gilet gialli, è proprio l’aumento del salario minimo.
Naturalmente avere un salario minimo decente non è sufficiente, ci vuole la garanzia che esso non si svaluti nel tempo. Occorre cioè un meccanismo automatico che ogni anno rivaluti la retribuzione. I progetti PD e M5S confusamente contengono questa clausola, ma starebbe ora ai sindacati agire per ottenere garanzie reali di rivalutazione periodica del salario minimo.
Poi sarebbero necessarie misure su larga scala contro il lavoro nero e l’evasione dal salario minimo, contro la riduzione delle paghe attraverso la riduzione delle ore ufficialmente lavorate. Come avviene nelle campagne, dove i braccianti lavorano dodici ore al giorno e gliene vengono contabilizzate e retribuite meno della metà. O come avviene nei servizi, dove il contratto ufficiale a part time è la punta dell’iceberg di tanto lavoro fatto e non pagato.
Infine, una volta ottenuta un retribuzione minima decente, il sindacato potrebbe usarla come base e leva per alzare contrattualmente tutte le retribuzioni, dopo decenni di riduzione del potere d’acquisto dei salari.
Insomma sindacati che volessero davvero fare il proprio mestiere, con una legge sul salario minimo avrebbero la possibilità di rilanciare la propria iniziativa per migliorare la condizione di tutto il mondo del lavoro.
Invece CGILCISLUIL si sono schierate contro la legge; e non perché essa sia troppo limitata e parziale, ma perché potrebbe ridurre lo spazio della loro contrattazione.
Come quando la CISL e la UIL, negli anni '80, sostenevano che riducendo gli aumenti automatici della scala mobile, si sarebbero aumentati i salari con la contrattazione... Si è visto come é andata.
La difesa della “contrattazione per la contrattazione” è un principio sindacale corporativo, che trasforma il mezzo in fine, quando il fine del sindacato non dovrebbero essere gli accordi, ma il miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Questo una volta sosteneva la CGIL, che ora invece ha fatto propria la concezione sindacale di CISL e UIL. E se si considera una legge sul salario minimo una minaccia, anziché un aiuto al proprio mestiere sindacale, l’incontro con la Confindustria è inevitabile.
I padroni sono prosaici, semplicemente vogliono le paghe più basse possibili e non vogliono una legge che le faccia salire. Essi sanno che se la paga minima fosse di 9/10 euro all’ora, dovrebbero pagare di più non solo chi sta ai livelli più bassi dell’inquadramento, ma anche chi sta più in alto. Come per il reddito, la Confindustria rivendica le paghe di fame e CGILCISLUIL si sono allineate. Assieme formano il nucleo di quel partito del PIL che in Italia rappresenta e rivendica il mercato e gli affari come via per uscire dalla crisi.
CGILCISLUIL e Confindustria vogliono il monopolio della contrattazione per le proprie organizzazioni, e solo per sancire questo monopolio vogliono che ci sia una legge. Essi non vogliono invece una legge che garantisca ai lavoratori la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare e con quali accordi, come prescrive l’articolo 39 della Costituzione.
CGILCISLUIL e Confindustria chiedono invece che la legge renda i loro accordi obbligatori per tutti.
Il M5S si è mostrato molto sensibile a questa rivendicazione corporativa e così assieme al salario minimo vuole rendere obbligatorio per tutti l’accordo del 10 gennaio 2014, con il quale CGILCISLUIL e Confindustria hanno assunto ed esteso il modello contrattuale FIAT.
Un salario minimo di legge di 9/10 euro ora sarebbe una buona cosa per il mondo del lavoro frantumato, precario, sottopagato di oggi. Bisogna impedire però che il partito del PIL stravolga il senso di questa iniziativa e la trasformi in una nuova occasione di flessibilità e sfruttamento, naturalmente nel nome della sacralità della contrattazione.
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