Anche quest’anno, il 16 marzo, nella ricorrenza del primo scontro tra legione lettone (15° e 19° Waffen-Grenadier-Divisionen der SS) e Armata Rossa nel 1944, nella regione di Pskov, la Lettonia ha dato prova di attaccamento ai “valori democratici europei”: ancora una volta, hanno sfilato a Riga veterani e ammiratori di quella legione, insieme a elementi nazionalisti e neonazisti ucraini, estoni, lituani.
Elementi apertamente nazisti che, ovviamente, non sono gli ormai decrepiti ex-legionari, bensì i loro discepoli, forti degli atti istituzionali di tutti i Paesi, baltici e non. Il Sejm lettone, ad esempio, ha adottato nel 1998 una Dichiarazione in cui, mentre si nega la partecipazione delle SS lettoni (circa 150.000 uomini) alle rappresaglie contro la popolazione civile e i prigionieri di guerra sovietici (provata invece da tutta una serie di documenti d’archivio, che indicano crimini senza limiti di prescrizione; nella sola “Operation Winterzauber”, ad esempio, nella primavera 1943, furono incendiati centinaia di villaggi e trucidati almeno 12.000 civili, tra cui oltre 2.000 bambini), si impegna il governo a prendersi cura dell’onore di tali legionari. E sebbene la marcia del 16 marzo non rivesta carattere istituzionale, di regola vi prendono parte esponenti di primo piano di governo e parlamento.
Lo stesso si verifica anche in Lituania e Estonia. In quest’ultimo paese, i veterani della 20° Waffen-Grenadier-Division der SS, insieme ai loro seguaci più giovani, si riuniscono annualmente a Sinimäe e Vaivara. In Lituania, forse il Paese baltico in cui più attivi furono i collaborazionisti hitleriani, è stata la Presidente Dalja Gribauskajte in persona, a conferire il “Premio alla Libertà” ai veterani di quei “fratelli dei boschi” che, secondo gli archivi sovietici, tra il 1944 e il 1953 trucidarono qualcosa come 25.000 tra civili, militari dell’Armata Rossa, prigionieri di altri paesi.
Sarà un caso che la risoluzione adottata dall’Europarlamento il 12 marzo, sullo stato dei rapporti con la Russia, contenesse il richiamo, proposto per l’appunto dall’eurodeputata lettone Sandra Kalniete, a che Mosca “condanni il comunismo e il regime sovietico” e “punisca i responsabili dei crimini e dei reati commessi in questo regime”.
Sarà un caso che sia proprio la Lettonia, paese che eccelle per “democrazia europeista” (il 15% circa della popolazione, i cosiddetti “non cittadini”, non ha diritto di voto; il Sindaco della capitale, Nil Ušakov, è regolarmente multato dall’Istituto per la memoria nazionale per il fatto di rivolgersi in russo ai propri elettori di lingua russa; ecc.) a ospitare anche il nuovissimo Gruppo operativo della Divisione “Nord” (Headquarters Multinational Division North) della NATO, oltre al battaglione multinazionale dell’Alleanza atlantica, schierato dal 2017.
Secondo il vice segretario del Consiglio di sicurezza russo, Mikhail Popov, Washington e Ottawa stanno riversando sempre più forze nelle immediate vicinanze dei confini russi, tanto che, dal 2016 a oggi, il numero di soldati NATO del cosiddetto Impegno operativo prioritario sarebbe aumentato da 25.000 a 40.000 uomini. Questo, oltre al nuovo piano USA “3 per 30” per il Baltico, che prevede l’impegno operativo di “30 battaglioni meccanizzati, 30 squadriglie aeree e 30 vascelli nel giro di 30 giorni”. Inutile specificare che tra queste forze ci sono anche uomini e mezzi italiani: per l’esattezza, nel battaglione NATO sotto comando canadese, dislocato proprio in Lettonia (gli altri sono in Polonia, Estonia e Lituania) ovviamente, contro “l’aggressione russa”.
Uno spiegamento ritenuto da qualcuno ancora insufficiente. Intervenendo a Washington, la Presidente estone Kersti Kaljulaid ha ripetuto che Tallin teme “possibili aggressioni russe”, che dunque l’appartenenza a UE e NATO è una garanzia di conservazione della sovranità e che gli Stati baltici “vorrebbero vedere una maggior presenza statunitense nella regione”. Questo, nonostante i sondaggi e le ricerche del sociologo lettone Mārtiņš Kaprāns, riprese dall’agenzia regnum.ru, indichino un sensibile calo, tra la popolazione dei tre Paesi baltici, dei timori di “minacce militari russe”, pur se associato alla contrarietà ad allentare le sanzioni occidentali contro Mosca.
In effetti, quanto il dispiegamento militare USA e NATO, nei Baltici come nel resto degli oltre cento paesi in cui Washington mantiene proprie truppe – e dai quali esige ora, per il loro acquartieramento, il rimborso delle spese più il 50% dell’importo – sia dettato da preoccupazione per la loro “libertà” e da rispetto per i loro “valori democratici”, lo testimonia un piccolo quanto emblematico episodio, riportato dall’agenzia Delfi-latvia, secondo cui lo scorso 8 marzo due marines yankee sarebbero stati multati di 400 euro ciascuno dalla polizia municipale di Riga per aver espletato impellenti bisogni fisiologici.
E dove altro avrebbero potuto farlo, per meglio simbolizzare il loro rispetto per il paese? Senz’altro, sul prato che circonda il monumento alla Libertà della capitale lettone. Là dove, proprio ieri, gruppi del Latvijas antifašistiskā komiteja hanno manifestato contro la sfilata neonazista, innalzando striscioni con le scritte “Essi combatterono dalla parte di Hitler”.
Sarà forse per questo, per accertarsi dei “bisogni” delle truppe NATO e USA in terra baltica, che il 18 marzo inizia proprio dalla base di Ādaži, vicinissima a Riga, l’ispezione della commissione russa per la verifica delle informazioni fornite dall’OSCE, circa il battaglione multinazionale NATO e il Comando della Divisione “Nord”.
Tali verifiche non hanno nulla di eccezionale: sono previste dal Documento di Vienna del 2011 per lo scambio annuale delle informazioni su armamenti, numero e composizione dei contingenti militari, finanziamento delle forze armate. Cionondimeno, a Mosca non possono fare a meno di ricordare come, anche sul piano della retrospettiva storica, l’odierno dispiegamento delle forze NATO di fronte ai confini russi ricordi molto da vicino la disposizione d’attacco dei gruppi di Armate “Süden”, “Norden” e “Zentrum” della Wehrmacht all’inizio dell’invasione nazista.
Tutti sanno come sia finita; e a quale prezzo.
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