Di vertici a tre a Palazzo Chigi ce n’è uno ogni due giorni, vista l’ampio ventaglio di temi su cui i due azionisti del governo sono lontani. Quello convocato stamattina, però, sembra proprio di quelli davvero “strategici”. Si parla della firma da apporre al Memorandum of Understanding tra Italia e Cina, prevista per venerdì 22, quando a Roma arriverà apposta il presidente cinese Xi Jinping.
L’accordo aveva già ricevuto ieri il via libera dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed è quindi abbastanza singolare che se e ritorni a parlare, visto che sembrava “convenuto”.
E invece è stato Matteo Salvini a riaprire le danze. “Prima di permettere a qualcuno di investire sul porto di Trieste o di Genova guarderei a fondo. Se fosse un americano nessun problema. Se invece venisse dalla Cina sarebbe diverso. Il memorandum non è un testo sacro, si può modificare, si può migliorare”.
Una volta tanto persino Salvini usa le parole in modo inequivoco, senza mirare alla “pancia” dell’elettorato; forse perché si parla di soldi e sudditanze geostrategiche, anziché di migranti e libertà di sparare.
“Se fosse un americano nessun problema”, ma “purtroppo” l’offerta di investimento per trasformare uno o entrambi i porti in terminali strategici della Via della Seta arriva dai cinesi... Quindi si deve ridiscutere un po’ tutto, secondo lui, a partire da “interoperabilità, energia, telecomunicazioni”.
Che, sia detto per chiarezza, sono esattamente le materie centrali del Memorandum, non dettagli marginali. Sulle telecomunicazioni il riferimento è ovviamente alla libertà di azione goduta in Italia, fino ad oggi, da Huawei, il colosso che sta testando anche nel nostro paese la tecnologia 5G ma che gli Usa di Trump hanno deciso di far fuori, arrivando ad ordinare l’arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore della società.
Ma è sul fronte dei porti che i movimenti geostrategici appaiono più evidenti. Si sa che Xi Jinpin dovrebbe confermare i 5 miliardi di investimenti sul porto di Palermo, cosa che non poteva dispiacere a Mattarella, naturalmente. Una cifra che ha senso solo se il progetto infrastrutturale complessivo prevede di farne un hub di collegamento tra Nordafrica ed Europa.
La sortita di Salvini, peraltro, avrebbe poco senso se riferita a un astratto “pericolo cinese”, visto che sta accadendo lo stesso anche nei porti di Egitto, Haifa (Israele), Malta, Valencia, Bilbao, Anversa, Amburgo, Marsiglia, Il Pireo...
Acquista una logica, invece, se si osserva quanto sta avvenendo in questi giorni intorno al porto di Gioia Tauro, in Calabria. Qui nei mesi scorsi era stata aperta una procedura di decadenza per Medcenter Container Terminal, società a forte partecipazione tedesca che non aveva contribuito per nulla a risollevare le sorti di questa mega-infrastruttura, fino al punto da essere più volte luogo di scioperi e proteste da parte dei lavoratori, sempre sul punto di essere licenziati.
Due giorni fa il ministro Toninelli ha reso noto di aver ricevuto “impegni precisi” da parte di Contship Italia riguardo “gli adempimenti necessari alla trattativa per la cessione al gruppo di Gianluigi Aponte delle quote, il 50%, in CSM Italia Gate Spa, la società che a sua volta controlla il 100% di Mct”.
Di fatto i tedeschi se ne vanno e lasciano la partita in mano ad Aponte, armatore italio-svizzero con forti legami francesi, ma soprattutto americani. Inevitabile vedere questa mossa come la risposta americana alla Cina. Il fatto che avvenga su un porto del Sud significa che, in qualche modo, il mezzogiorno è considerato strategico nei prossimi decenni.
Vista geopoliticamente la partita è complessa. I tedeschi (l’Unione Europea, come campo imperialista), non avendo progetti di sviluppo reali, preferiscono farsi sostituire dagli Stati Uniti per limitare “l’espansione cinese”. Ma non rinunciano certo a porsi come concorrente dell’Italia nel ruolo di gestore dell’interscambio con i cinesi. In pratica, i media “europeisti” sparano contro un accordo troppo esteso con la Cina per coprire i maxi-accordi che i tedeschi vanno stringendo con Pechino per essere loro a trarne (quasi) tutti i vantaggi commerciali. Alla faccia della “comunità di intenti” che dovrebbe essere il pilastro della UE...
Ma anche gli Stati Uniti, da alcuni anni in ritirata dal Mediterraneo (vedi le vicende di Libia e Siria, avventure sostanzialmente volute dalla Francia), non sembrano avere alcun progetto economico reale nel Sud Italia. Che certamente continuano a vedere come portaerei naturale verso Africa e Medio Oriente; ossia in ottica militare (vedi, tra le altre, le basi di Sigonella e i radar Muos di Niscemi).
La Cina ha invece un piano economico chiaro, visibile, contrattabile, e soprattutto di grande rilevanza per il futuro sviluppo di tutta l’area mediterranea e africana. Il tutto giocato in chiave di reciproco vantaggio, almeno formalmente (nel capitalismo nessuno regala niente...).
A noi sembra chiara una sola cosa, in tutto questo complicato gioco di interessi strategici a lungo termine: il nostro paese è una preda, e basta. E le divisioni tra le forze politiche riguardano soltanto la preferenza per uno o l’altro dei contendenti globali.
In assenza di un interesse “europeo” per il Mezzogiorno d’Italia – così va interpretata la gestione e poi la fuga dal porto di Gioia Tauro – Salvini si pone come leader del mai morto “partito americano” in Italia. Anche lui non per dare una prospettiva di sviluppo al Sud (sulla Via della Seta pesano già gli appetiti del Nordest leghista pro-Trieste e del Nordovest piddin-leghista pro-Genova), ma solo per “sbarrare la strada” a Charlie (nickname con cui da sempre gli yankees apostrofano l’asiatico nemico di turno...).
La conferma arriva esplicitamente da Andrew Spannaus, analista Usa di lungo corso: “l’Occidente si è concentrato solo sulla finanza, pensando di poter controllare il mondo con i mercati finanziari e la speculazione. Sono 20 anni che si parla di Via della Seta, non è un progetto nato nel 2013, si sapeva già dalla metà degli anni '90 che i cinesi sarebbero andati in questa direzione. L'Occidente è rimasto su finanza e servizi, pensando che non servisse più la capacità industriale, quella roba sporca, brutta e vecchia. Così, invece di lavorare insieme alla Cina per evitare uno squilibrio, è successo che la Cina di fatto ha acquisito ormai un potere che fa paura agli Usa”.
La produzione materiale (comprensiva anche del presunto “immateriale”) sta battendo i mercati finanziari e chi aveva fondato il suo potere su questi ultimi (e la potenza militare) ora vede profilarsi il sorpasso egemonico. Sarà dura per l’Occidente invertire e riconvertire il modello di sviluppo degli ultimi 30 anni (quelli della presunta “fine della Storia”, dopo la caduta del “socialismo reale”). Perché nel frattempo anche la leadership tecnologica sta declinando rapidamente.
Due prove? Nell’Unione Europea non esiste alcuna società che abbia sviluppato tecnologia 5G sul piano infrastrutturale. E gli aerei statunitensi, sia civili (il Boeing 737 Max) sia militari (F35), non stanno per aria.
Qualcuno dovrebbe spiegarlo a quei tre poveretti che, a Palazzo Chigi, hanno poi concluso il propro incontro con il classico “lodo Conte”: “Si firma il memorandum, ma è un accordo quadro non vincolante non è un accordo internazionale. Sarebbe stato un po’ eccentrico non partecipare a questo progetto internazionale, d’altra parte. È una grande opportunità per riequilibrare la bilancia commerciale con la Cina. L’Italia è l’unico Paese (rispetto alle 13 nazioni dell’Unione europea che hanno sottoscritto il Memorandum tra Italia e Cina) ad aver preteso e imposto il rispetto dei principi e delle regole europee”.
Immaginate la faccia di Xi Jinping quando, venerdì prossimo, si vedrà condire questo discorsetto scombinato su un “accordo quadro non vincolante”...
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