Omicidio preterintenzionale. Dodici anni di carcere. Soltanto due in più del tempo che è servito affinché un giudice abbia deciso che quello di Stefano Cucchi è stato un omicidio, e che i due autori materiali del pestaggio che causò la sua morte, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, sono due assassini.
Dieci anni lunghissimi, durante i quali è successo di tutto: depistaggi, falsificazioni, menzogne, offese (alla famiglia ed alla memoria di Stefano). È capitato addirittura che un ministro dell’Interno – Angelo Alfano – mentisse durante un intervento in Senato sulla base di una serie di atti falsi che erano arrivati a lui dopo un delirante percorso di mistificazione della realtà partito nella caserma dove avvenne materialmente il pestaggio e proseguito attraversando le gerarchie dell’Arma dei Carabinieri.
Un susseguirsi di falsità volte non solo a nascondere quello che era realmente avvenuto, ma anche a screditare quei pochi che provavano a dirla, la verità; come ad esempio il carabiniere Riccardo Casamassima, tra i primi a raccontare quello che era successo e per questo oggetto di accuse (quasi tutte inventate) ed allusioni.
Ce ne sono tante di storie così, all’interno della grande e tragica storia della morte di Stefano.
Una storia che ieri ha avuto una sua prima conclusione, finalmente vera.
La sentenza emessa ieri dalla Corte d’Assise di Roma ha fatto giustizia, anche se ha parzialmente alleggerito le pene che erano state richieste dal pm Giovanni Musarò: aveva chiesto 18 anni per D’Alessandro e Di Bernardo, che sono stati invece condannati, appunto, a dodici anni di carcere. Condannato a due anni e sei mesi per falso il carabiniere Francesco Tedesco, uno dei testimoni chiave del processo (assistette al pestaggio da parte dei suoi due colleghi) e, sempre per falso, a tre anni e otto mesi Roberto Mandolini, al tempo comandante interinale della Stazione Appia (che è stato assolto invece dal reato di calunnia). Tedesco è stato assolto dalla condanna di omicidio.
Una assoluzione e quattro prescrizioni, invece, per i cinque medici imputati (inizialmente per abbandono d’incapace, poi per omicidio colposo): assolta Stefania Corbi, prescritti il primario del reparto di Medicina Protetta del Pertini (dove era stato portato Stefano) Aldo Fierro ed i medici Flaminia Bruno, Luigi de Marchis Preite, Silvia Di Carlo.
Ancora aperto invece il processo che riguarda i depistaggi sulla morte di Stefano, che ha comunque avuto il suo colpo di scena: in apertura di udienza uno dei giudici, Federico Bonagalvagno, si è dovuto astenere dal processo in quanto ex carabiniere in congedo.
La decisione è arrivata solo dopo una richiesta esplicita dei legali della famiglia Cucchi (il giudice aveva organizzato convegni invitando alti ufficiali dell’Arma, e dai report era venuta fuori la sua precedente carriera in quel corpo). È da sottolineare come a questo giudice non fosse nemmeno venuto in mente di astenersi spontaneamente dalla causa (come se non si fosse reso conto del clamoroso “conflitto di interessi”). E va altrettanto sottolineato che continuerà la sua carriera da magistrato giudicante: ossia ad emettere sentenze sulla base di rapporti delle “forze dell’ordine” (carabinieri e polizia giudiziaria), che presumibilmente avranno per lui un’attendibilità maggiore rispetto a qualsiasi altro “giudice terzo”.
Processo altrettanto importante, quello sui depistaggi: la macchina della disinformazione che fu allestita per coprire le azioni dei due carabinieri poi condannati è così ampia, articolata ed inesorabile da rappresentare una ferita enorme per una democrazia come dovrebbe essere la nostra. Lo Stato che, pur di difendere se stesso, mente a danno di chi dovrebbe massimamente tutelare: i cittadini. Un’altra storia nella storia, quella di Stefano, che quindi fu assassinato: picchiato, piegato, massacrato e lasciato morire.
È naturale che tornino alla mente le parole di Matteo Salvini, di Gianni Tonelli, di Carlo Giovanardi, di Ignazio La Russa e di tutti coloro scelsero – per ideologia, per convinzioni personali, per incapacità di avere pensieri diversi e più grandi di quelli che hanno – di difendere ciecamente i carabinieri soltanto perché tali.
Parole spazzate via dalla verità processuale, che naturalmente ha tutti i gradi di giudizio previsti per poter essere confermata. Parole che però in qualche modo meritano di essere spazzate via, come tutte le cose brutte o alla fine irrilevanti della storia.
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