Le autorità iraniane hanno arrestato la scorsa settimane almeno 8
persone collegate alla Cia. A dirlo è stata ieri l’agenzia ufficiale
iraniana Irna. “Questi elementi – scrive Irna riportando le parole del
ministro dell’Intelligence iraniano – hanno ricevuto un addestramento
finanziato dalla Cia in vari paesi mentre erano sotto copertura come
giornalisti-cittadini. Sei di loro sono stati arrestati mentre
partecipano ai disordini ed eseguivano gli ordini [della Cia]. Gli altri
due mentre tentavano di mandare informazioni all’estero”.
La notizia degli arresti giungeva qualche ora dopo all'annuncio in cui la Guida Suprema Ali Khamenei descriveva le due settimane di protesta anti-governative come una “cospirazione molto pericolosa”.
“Il popolo ha sventato un vasto e profondo complotto su cui sono stati
spesi molti soldi per la distruzione, la crudeltà e l’omicidio di
persone” ha spiegato la massima figura religiosa del Paese partecipando
ad un raduno dei Basij, la forza volontaria della Guardia rivoluzionaria
iraniana che sarebbe stata in prima linea nel reprimere le proteste
degli scorsi giorni. Una repressione dai contorni ancora poco
chiari: il governo non ha infatti ancora presentato numeri ufficiali sui
morti e i feriti delle manifestazioni antigovernative scoppiate a metà
novembre. L’ong internazionale per i diritti umani Amnesty International ha accusato Teheran di aver ucciso almeno 143 persone, dato che è stato duramente criticato dalle autorità iraniane in quanto privo di prove.
Duro è anche il commento di Human Rights Watch (Hrw) che ha
accusato ieri il governo Rouhani di aver “deliberatamente insabbiato”
l’entità della repressione. Hrw ha pertanto invitato le
autorità a fornire “immediatamente il numero di morti, gli arresti e
permettere una inchiesta indipendente sui presunti abusi compiuti”.
Michael Page, vice direttore per il Medio Oriente di Human Rights
Watch, ha poi spiegato che “tenere le famiglie all’oscuro su quanto
accaduto ai loro cari, mantenendo vivo un clima di paura e rappresaglia,
è una deliberata strategia da parte del governo per soffocare il
dissenso”. Per molti giorni, a partire dal 16 novembre, Teheran ha
bloccato Internet limitando le comunicazioni con il mondo esterno nel
tentativo così di limitare la diffusione delle proteste. La situazione
sembra essere migliorata, sebbene la presenza della rete sui
telefoni cellulari resti ancora difficile.
Proprio alla rete, e per la precisione a Twitter, ieri si era
affidato la Guida Suprema per esprimere “la sua sincera gratitudine e
apprezzamento” agli iraniani. “Il popolo – ha cinguettato – ha
dimostrato di nuovo di essere potente e grande e sconfiggendo con la sua presenza il grande complotto del nemico”. Il tweet puntava
il dito precisamente contro “l’arroganza globale e il sionismo” in un
chiaro riferimento ai due principali rivali iraniani, gli Stati Uniti
d’America e Israele.
Dopo quasi due settimane di silenzio, intanto, ieri è arrivata una
prima conferma da parte di Teheran sulla consistenza delle dimostrazioni
anti-governative, le più grandi da almeno 10 anni a questa parte (nel
2009 fu il Movimento verde a portare in piazza migliaia di giovani
contro l’allora presidente Ahmadinejad). Il ministro degli Interni Abdolreza Rahmani Fazli ha detto infatti che almeno 200.000 persone hanno preso parte alle proteste.
Secondo quanto dichiarato da Fazli, i dimostranti hanno danneggiato 50
stazioni di polizia, 34 ambulanze, 731 banche e 70 stazioni di benzina.
Citato dall’agenzia Iran, il ministro ha detto che “abbiamo individui
uccisi da coltelli colpi di pistola e incendi”.
E mentre la situazione resta tesa nella Repubblica islamica a causa
della difficile condizione economica resa insostenibile dal recente
aumento dei prezzi del carburante – su cui pesano fortemente le
sanzioni e i blocchi statunitensi decisi dall’Amministrazione Usa di
Donald Trump dopo il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano – continuano le manifestazioni contro il governo in Iraq. Proteste che spesso hanno avuto palesi tratti anti-iraniani.
L’ultimo caso evidente ieri quando un gruppo di dimostranti ha
assaltato il consolato iraniano nella città di Najaf (non si sono
registrate vittime). L’attacco ha mandato su tutte le furie Teheran che,
tramite il portavoce del ministero degli esteri Abbas Moussavi, ha
chiesto a Baghdad “una risposta ferma contro gli aggressori”.
Le autorità irachene, responsabili finora dell’uccisione di oltre 320
dimostranti, hanno subito decretato il coprifuoco nell’area. Molti
manifestanti iracheni accusano le forze straniere – soprattutto l’Iran –
del baratro economico e sociale in cui versa il loro Paese.
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