La scelta, che al momento pare irreversibile, del colosso indiano dell’acciaio di revocare l’investimento in Italia ha messo il Governo, Cgil Cisl Uil e Confindustria davanti alla necessità di dare una risposta alternativa, che non avevano mai davvero preso in considerazione, alla questione del gruppo siderurgico.
L’orientamento che accomuna tutti questi soggetti è quello di garantire la produzione dell’acciaio a prescindere. Non solo non c’è nessun ripensamento autocritico rispetto alla disastrosa scelta politica di svendere il gruppo ai privati dopo la tragica esperienza della famiglia Riva. ArcelorMittal è stato accolto da Cgil Cisl Uil, da Confindustria, governo Gentiloni e dall’ex ministro Calenda come il salvatore della patria, come il miglior produttore di acciaio al mondo, come colui che avrebbe coniugato lavoro e diritto alla salute.
Appare inutile sottolineare come in poco più di un anno tali scellerate certezze si siano sciolte come neve al sole.
Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, il disegno criminoso contro i lavoratori ex Ilva e i cittadini di Taranto trova nuova linfa nel tentativo di garantire la continuità della produzione dello stabilimento.
In un moto di particolare e del tutto inconsueta combattività, Fim Fiom Uilm hanno infatti annunciato lo sciopero alla rovescia, ovvero l’insubordinazione alle disposizioni di ArcelorMittal ai dipendenti per evitare il progressivo spegnimento degli impianti.
Un annuncio tanto “sovversivo” quanto solo mediatico. In primo luogo perché ArcelorMittal non ha mai dichiarato, se si esclude l’AFO2 sul quale pende, giustamente, l’obbligo di fermo della magistratura, di voler spegnere tutti gli altoforni ma semplicemente di volerli portare al minimo tecnico per la loro riconsegna all’amministrazione straordinaria.
In secondo luogo Fim Fiom Uilm sanno bene che senza approvvigionamento costante delle materie prime l’insubordinazione declamata è uno zero al quadrato.
Tutto serve a creare la drammatizzazione necessaria per disfarsi dei diritti, derogare alle leggi dello Stato e imporre la primazia dell’acciaio sopra uomini, donne e ambiente.
Sindacati confederali, alcune istituzioni e certa politica appaiono tutte insieme appassionatamente per garantire l’acciaio.
Tutti pronti a evocare anche la tanto vituperata ipotesi della nazionalizzazione, ma solo in funzione di diverse ipotesi societarie, con un punto in comune però: lo Stato si deve accollare i costi, ma i profitti dovranno essere solo dei privati. Una visione dell’intervento pubblico del tutto particolare che ovviamente piace molto ai padroni ma clamorosamente piace tanto anche ai segretari confederali Landini, Barbagallo e Furlan.
Taranto gioca oggi la sua partita più difficile di sempre. Lo stabilimento siderurgico potrà forse vedere un allungamento della sua lenta agonia a costi economici, sociali e umani rilevantissimi ma è destinato inevitabilmente a spegnersi senza alcuna programmazione, senza un piano strategico di politica ambientale ed industriale che garantisca davvero il diritto alla salute, l’occupazione e il reddito.
I difensori dell’acciaio a ogni costo si sono organizzati e hanno un peso preponderante ma la partita è aperta. Occorre dare forma e sostanza all’altro punto di vista, quello che non può godere di appoggi nelle alte sfere dei palazzi romani ma che è certamente maggioritario tra i cittadini di Taranto e tra i lavoratori ex Ilva.
Occorre una mobilitazione straordinaria di tutti e tutte coloro che chiedono di eliminare le fonti inquinanti della fabbrica di morte.
Se non riuscissimo a bloccare ogni ipotesi di prosecuzione delle produzioni a caldo avremmo ancora anni di veleni, di risorse sprecate e di ingenti danni all’ambiente.
Occorre mobilitarsi da subito a livello cittadino.
Come USB abbiamo deciso uno sciopero generale per il prossimo 29 novembre con manifestazione nazionale a Taranto.
È un’iniziativa di lotta a disposizione di tutti coloro che rivendicano il diritto ad un’esistenza dignitosa e contro chi pretende di impedirci di aprire le finestre nelle giornate di vento.
La città, i lavoratori, la politica e il mondo dell’associazionismo sono chiamati a schierarsi. Diamo gambe alla mobilitazione, liberiamo Taranto.
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