Ha aperto i fuochi Salvini, ha fatto sponda l’imbarazzante Di Maio, li ha stanati Giuseppe Conte con una velenosa “chiamata di correo” (“Oggi abbiamo scoperto che c’è un negoziato che è in corso da un anno: il delirio collettivo sul Mes è stato suscitato dal leader dell’opposizione, lo stesso che qualche mese fa partecipava ai tavoli discutendo di Mes, perché abbiamo avuto vertici di maggioranza con i massimi esponenti della Lega – quattro incontri – e ora c’è chi scopre che era al tavolo ‘a sua insaputa’”).
In sintesi: l’Italia ha dato il suo consenso di massima a questa “riforma” già a giugno (governo gialloverde) e l’ha confermata pochi giorni fa (governo giallorosa). Tutti d’accordo e al servizio dell’Unione Europea quando siedono al governo, tutti all’oscuro e contrari quando fingono di fare l’opposizione, come patetici leoni da tastiera.
Chiusa la parentesi ridicola, occupiamoci ancora un volta del merito di questa “riforma”, visto che ieri è stata oggetto sia di un illuminante editoriale di Guido Salerno Aletta – pubblicato dall’Agenzia TeleBorsa, non da un oscuro blog nazionalista – sia dell’audizione di Vladimiro Giacché presso la Commissione Finanze del Senato.
Il primo esamina da par suo le conseguenze finanziarie immediate dell’adozione della nuova normativa: “perdite astronomiche ai risparmiatori ed agli investitori sui titoli di Stato, ed un guadagno certo e sicuro agli speculatori”. Come altre volte, ripubblichiamo il suo editoriale qui di seguito.
Quasi a dargli ragione, ma in assoluta autonomia, nelle stesse ore Patuelli, presidente dell’Abi – l’associazione della banche italiane – chiariva che «Se le condizioni relative al debito si alterano, o per maggiori assorbimenti o per elementi che favoriscono sinistri, è chiaro che le banche sottoscriveranno meno debito pubblico. Non compreremo più Btp».
Il presidente del Centro Europea Ricerche, Giacché, provava nel frattempo a spiegare ai senatori il significato sistemico negativo di una gestione della crisi in atto a oltre dieci anni secondo i dettami di una teoria economica che non sta più in piedi, se mai lo è stata.
“È forse venuto il momento di prendere atto che la soluzione – consistente nell’avviare un processo di generalizzazione del modello export driven tedesco, considerato tale da poter rendere simili tutti i Paesi dell’Eurozona e scongiurare l’eventualità di shock asimmetrici – non ha dato i frutti sperati. Né si può pensare di procedere introducendo, quasi per inerzia, sempre nuovi elementi di rigidità e sempre nuove condizionalità nelle politiche economiche e di bilancio. Occorrerebbe uscire da una trappola evoluzionista che, nonostante gli evidenti fallimenti, continua a incentrare ogni innovazione istituzionale dell’area sul principio originario dell’assimilazione ad un presunto modello migliore. Un modello che, peraltro, sta proprio in questi mesi incontrando i propri limiti strutturali“.
Il “pensiero unico” egemone dalla Caduta del Muro in poi, insomma, batte in testa. Ma siccome chi ne ha beneficiato non vuole perdere la posizione conquistata, ecco che parte un processo di cannibalizzazione interno alla “comunità europea”, con i paesi più deboli a fornire risorse a quelli più forti. Non è un obbiettivo apertamente dichiarato, com’è ovvio, ma la conseguenza “naturale” di un sistema di regole asimmetrico. E infatti:
“Il Mes costituisce un ulteriore rafforzamento delle regole che disciplinano la politica di bilancio dei Paesi dell’Eurozona, muovendosi in perfetta linea di continuità con le modifiche apportate al Patto di stabilità nel 2012.
Riguardo agli aspetti più tecnici della riforma, posso anticipare di condividere le argomentate perplessità già espresse in questa sede dal professor Giampaolo Galli. Occorre porsi due domande di fondo: il Mes è utile all’Eurozona? È utile all’Italia?
Riguardo alla prima domanda, per rispondere occorre verificare in quale misura il debito pubblico – e in generale i problemi inerenti alla disciplina di bilancio – costituisca oggi un fattore di rischio per la moneta unica. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’Eurozona si sia tenuta nel suo insieme ai precetti della disciplina di bilancio, e questo si è riflesso sulle dinamiche del debito, che sono più favorevoli nell’Eurozona rispetto a Stati Uniti e Regno Unito.
Ciononostante, il debito è aumentato anche nell’Eurozona, e questo fatto sta spingendo verso l’adozione di meccanismi di controllo ancora più stringenti, obiettivo a cui mira la riforma del Mes. In sostanza, si ritiene che, non essendo stato conseguito l’obiettivo di riduzione del debito, debba essere rafforzata la disciplina dei Paesi membri. Si compie, a nostro giudizio, un errore di analisi che non dovrebbe essere avallato”.
A quanto pare, però, su questa “riforma” l’Unione Europea si prepara a varare il voto a maggioranza, anziché – come finora – all’unanimità. In questo caso, anche l’improbabile “veto” del governo italiano, o di qualche altro paese in condizioni simili, verrebbe tranquillamente ignorato. Ma “è democrazia”, non temete!
Il problema, formalismi a parte, è che questa logica non funziona perché fa i conti con un modello astratto di “virtù economica” che non tiene conto della realtà storica. In altre parole:
“La discussione sulla riforma del Mes non può prescindere dalla possibile evoluzione ‘negativa’ degli scambi mondiali e del ciclo di crescita, per un motivo molto semplice: si tratta di fattori che incidono direttamente anche sulle prospettive delle finanze pubbliche. Ci troviamo nuovamente di fronte al tipico problema di uno shock simmetrico – una contrazione degli scambi mondiali – che può generare effetti asimmetrici sulle singole economie. Di fronte ad un indebolimento delle previsioni di crescita, i mercati potrebbero adottare un comportamento di ‘flight to quality’, e penalizzare quindi i Paesi con maggiore livello di debito pubblico come l’Italia.
Questo, indipendentemente dall’effettiva capacità del sistema economico di contrastare lo shock di origine. Capacità che, al momento, appare essere maggiore in Italia che in Germania“.
È in Germania, infatti, che il sistema del credito è ridotto alla condizione di zombie, con la banca più grande – Deutsche Bank – ridotta ad appestato da evitare con cura. Ma, come in un film di Romero, gli zombie cercano sempre di cibarsi dei vivi...
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Riforma del MES: un sistema robotizzato di autodistruzione dell’Euro
Almeno 500 miliardi di perdite con la ristrutturazione del debito pubblico italiano, che provocherà il collasso della moneta unica perdite astronomiche ai risparmiatori ed agli investitori sui titoli di Stato, ed un guadagno certo e sicuro agli speculatori.
Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa
Le smentite ufficiali non servono a niente, aggiungono solo silenzio a silenzio, nebbia a nebbia.
È una follia, questa riforma, che garantisce perdite astronomiche ai risparmiatori ed agli investitori sui titoli di Stato, ed un guadagno certo e sicuro agli speculatori.
Mentre erano tutti distratti, il 7 novembre, a Bruxelles, l’Eurogruppo ha concluso l’esame del pacchetto di riforme che sarà portato alla approvazione del Consiglio europeo del prossimo 5 dicembre.
Per l’Italia è pronta una bordata micidiale, con la riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità.
È nato come un Fondo Salvastati, finanziato da tutti gli aderenti al fine di concedere aiuti finanziari ai Membri in difficoltà. Finora, le condizioni per la concessione degli aiuti sono state decise di volta in volta dalla Commissione europea, d’intesa con la BCE.
La condizione preliminare che fu posta alla Grecia in difficoltà, quella di ristrutturare il suo debito pubblico, facendo partecipare gli investitori privati al costo della operazione secondo il principio “PSP” (Private Sector Partecipation), e che causò il panico sui mercati facendo guadagnare centinaia di miliardi agli speculatori, diviene la regola. Una follia.
Quella che allora fu una sorpresa piacevole per gli avvoltoi, ora diviene la certezza di fare affari d’oro. Nella riforma del MES, si stabilisce infatti che gli aiuti finanziari potranno essere concessi solo se viene verificata la sostenibilità del debito pubblico.
Per l’Italia, è più che una trappola, è una vera e propria dichiarazione di guerra che spiana la strada alla speculazione. Se, infatti, come è il caso dell’Italia, il rapporto debito/PIL è superiore al 60% ed il Paese che chiede aiuto non ha rispettato la regola prevista dal Fiscal Compact di ridurre l’eccesso di debito rispetto a questo livello di 1/20 l’anno, si deve procedere innanzitutto alla ristrutturazione del debito.
Gli avvoltoi non aspettano altro: scateneranno la crisi sul mercato vendendo, anche allo scoperto, titoli del debito pubblico, abbattendo così il valore delle emissioni in circolazione ed aumentando correlativamente il loro rendimento sul mercato secondario. Le nuove emissioni si dovranno allineare al nuovo rendimento corrente sul mercato, aumentando il costo di finanziamento per lo Stato. La richiesta di aiuti, e quindi la necessità di ristrutturare il debito, diventano una certezza.
Nel frattempo, il processo di svalutazione dei titoli sul mercato si autoalimenta, perché sono i risparmiatori terrorizzati a svendere, e gli speculatori a comprare a prezzi irrisori.
I risparmiatori accusano subito perdite terrificanti: se hanno comprato i titoli a 100 al momento della emissione, si accontentano di molto meno. Il prezzo sul mercato diminuisce giorno dopo giorno, prima scende a 90, poi ad 80, poi a 60, fino a 30. Esattamente come è successo già in Grecia.
Sono perdite immense per gli investitori: figuratevi le pressioni sulle banche e sulle assicurazioni italiane, che hanno in portafoglio titoli di Stato italiani per centinaia di miliardi, e che devono portare le minusvalenze in bilancio secondo il principio mark-to-market. Perderanno comunque, anche se non vendono allo sbaraglio, perché il meccanismo della ristrutturazione andrà comunque avanti. E le loro perdite ricadranno sui detentori di azioni e di obbligazioni bancarie, e sui depositanti, questo è sicuro.
Gli speculatori comprano comunque, ben sapendo che siederanno al tavolo del negoziato per la ristrutturazione: lo fisseranno al livello che conviene loro, guadagnando la differenza tra il nuovo valore del debito ed il prezzo a cui lo hanno comprato sul mercato.
Se lo Stato si trova a beneficiare di una riduzione del debito in circolazione, perché con la ristrutturazione il suo valore passa ad esempio da 100 ad 80, e quindi il debito scende di 20, gli speculatori guadagneranno comunque, tutta la differenza che intercorre tra nuovo valore del debito ed il prezzo a cui hanno acquistato i titoli sul mercato (da 79 in giù, fino a 30 ed ancor meno come successe in Grecia).
È una vera e propria bomba, questa condizione, che farà guadagnare centinaia e centinaia di miliardi alla speculazione finanziaria, pronta a mettere nel mirino l’Italia.
La riforma che si prospetta per il MES va nel senso esattamente contrario a quello che era stato auspicato mesi fa da Paolo Savona, quando era Ministro agli Affari Europei.
Savona proponeva di usare il MES come istituzione finanziaria capace di emettere sul mercato obbligazioni di rating molto elevato, safe asset che pagano dunque interessi estremamente bassi vista la solidità dell’emittente. La raccolta sarebbe stata girata a Stati come l’Italia, che invece pagano un prezzo alto sulle proprie emissioni, sulla base di chiare garanzie per il rimborso di queste somme: in questo modo, l’Italia avrebbe ridotto il peso degli interessi sul debito pubblico, azzerando il deficit che, da anni, deriva solo ed esclusivamente, dall’elevato tasso di interesse che paghiamo sulle emissioni.
Invece di abbattere il deficit pubblico e quindi la tendenza del debito pubblico italiano a crescere solo per via dell’elevato onere per interessi, come auspicava Savona, si abbatte il valore dei risparmi e degli investimenti in titoli del debito sottoscritti da privati, banche, assicurazioni e fondi previdenziali italiani che detengono oltre il 70% delle emissioni.
Mai e poi mai, si deve offrire alla speculazione la certezza che il debito sarà ristrutturato a suo favore dopo una crisi.
La regola vuole che intervengano le Banche centrali, acquistando senza limiti come “lender of last resort” i titoli posti in vendita sul mercato secondario e sottoscrivendo le nuove emissioni. È la tanto vituperata monetizzazione del debito, che non fa crollare i corsi e non fa impennare i rendimenti: la banca centrale stampa moneta e ritira titoli al valore di rimborso maturato.
Questo ultimo criterio, d’altra parte, è già stato adottato dalla BCE con il programma OMT, per battere la speculazione, dopo gli episodi critici dell’estate del 2012: prevede acquisti sul mercato di titoli del debito pubblico, senza limiti quantitativi prefissati, nel caso che il mercato richieda tassi di interesse non accessibili.
Affermare che con questa riforma il MES diviene finalmente il “lender of last resort” della Eurozona, colmando una grave lacuna, è una sciocchezza sesquipedale: non solo il MES non ha i mezzi finanziari illimitati, che invece sono a disposizione solo della BCE e che sono gli unici che mettono al tappeto la speculazione, ma spiana la strada agli avvoltoi.
Considerando approssimativamente un debito pubblico italiano di 2300 miliardi di euro ed un PIL attorno ai 1800 miliardi, si arriva ad un rapporto debito/PIL del 130% (aritmeticamente, con questi dati, è il 127%).
Immaginando che, di fronte ad una richiesta di aiuti da parte dell’Italia attaccata dalla speculazione, il livello di sostenibilità del debito sia posto tra l’80% ed il 90% del PIL, (semplificando, tra i 1400 ed i 1600 miliardi), il debito oggi in essere deve essere rispettivamente abbattuto tra i 900 ed i 700 miliardi di euro.
A voler essere generosi, considerando come sostenibile un rapporto debito/PIL del 100%, il debito dovrà essere comunque ridotto di 500 miliardi tondi (che è la differenza tra i 2300 miliardi di debito attuale ed i 1800 miliardi del pil attuale). Questa è la perdita minima che graverebbe sui risparmiatori e gli investitori. Se ci aggiungiamo i guadagni per la speculazione, che compra dagli investitori che svendono per paura, la botta sarà superiore, anche di un centinaio di miliardi.
Nessuno reggerà la botta.
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