Il 60% delle rotaie delle ferrovie italiane le compriamo dall’estero.
È il 1992 quando lo stabilimento siderurgico di Piombino viene scorporato dall’Ilva e passa nelle mani di una nuova SpA “Acciaierie e Ferriere di Piombino”. Nella spa ci sono i residui della mano pubblica (Ilva) ed entra una società privata: il “Gruppo Lucchini” di proprietà dal “patron” della siderurgia italiana Luigi Lucchini. Ovviamente, dopo soli tre anni l’acciaieria di Piombino passa completamente nelle mani private del gruppo Lucchini diventando la “Lucchini Siderurgica”, e nel 1998 “Lucchini SpA”.
Nel 2003 il gruppo Lucchini attraversa una crisi finanziaria, viene ristrutturato e diventa una holding finanziaria. L’acciaieria di Piombino diventa una business unit. Ma solo due anni dopo, a seguito dell’ennesima ristrutturazione finanziaria, la maggioranza (60%) del gruppo Lucchini passa, a Severstal, un gruppo industriale russo ed uno dei più maggiori produttori siderurgici al mondo.
Ad aprile del 2014 l’altoforno di Piombino è stato spento sulla base di un accordo di programma per la riqualificazione del polo siderurgico siglato dall’azienda con la regione Toscana e il governo Renzi. A novembre dello stesso anno, compare il gruppo algerino Cevital che si aggiudica il bando per gli asset dell’acciaieria e a luglio 2015 acquista lo stabilimento di Piombino. Viene così costituita la AFERPI Spa (Acciaierie e Ferriere Piombino).
Non trascorrono neanche tre anni che le Acciaierie di Piombino passano ancora di mano. Nel maggio 2018 è firmato l’accordo per cedere la società Aferpi dagli algerini della Cevital al gruppo indiano JSW ovvero Jindal South West di proprietà di Saijan Jindal. Lo Stato ovviamente ci mette un po’ di soldi (un finanziamento statale di 15 milioni di euro ed uno regionale di 30 milioni).
I lavoratori in cassa integrazione, sono ancora 1950. Quando la fabbrica era di proprietà delle partecipazioni statali vi lavoravano 8.100 operai, quando l’hanno privatizzata consegnandola a Lucchini erano diminuiti a 2.200. Piombino ha poco più di 33mila abitanti. Le Acciaierie sono tutto, un po’ come ha provato a raccontare Silvia Avallone nel suo romanzo “Acciaio” ambientato proprio a Piombino nel quartiere operaio di fantasia Stalingrado (in realtà il quartiere si chiama Cotone secondo alcuni, Salivoli secondo altri).
“Dopo aver mandato via una multinazionale Algerina, e proclamando vittoria per l’arrivo di una multinazionale Indiana, oggi dopo un anno non è ancora stato fatto niente parole, parole, parole, e i lavoratori sono stanchi soprattutto a livello psicologico e salariale” scrive ad agosto di quest’anno l’Usb, la quale informa i lavoratori che il Governo e la Regione avevano stanziato ulteriori 100 milioni di euro per Jindal per le bonifiche, la sicurezza ambientale e le nuove tecnologie. “Jindal in tutto questo non ha ancora presentato niente di concreto. Ad Ottobre scade la Cig per i lavoratori della Piombino Logistics e successivamente da Novembre agli altri”. Siamo ormai a fine novembre.
“E mentre si importa acciaio dall’estero – denuncia un sindacalista della Uil – a Piombino, unico produttore italiano di rotaie, è stato assegnato solo il 40% delle 240 mila tonnellate per le ferrovie italiane ed il restante è andato a gruppi che producono fuori dal Paese. Tra cui Arcelor Mittal”.
Dopo un deludente incontro al Ministero lo scorso luglio, a settembre la situazione di Jsw Steel Italy (ex Aferpi) preoccupa ancora i lavoratori, a causa di un piano di rilancio ancora a metà del guado, e con l’azienda che deve ancora dare conferme sull’avvio della costruzione del nuovo forno elettrico. Il dossier, come molti altri, è sul tavolo del nuovo Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli, e del nuovo governo “Conte II”.
Ma a Piombino anche l’altra acciaieria – la storica Magona – non vive sorte migliore. Il 16 settembre scorso la Magona di Piombino è passata dalle mani del gruppo Arcelor Mittal (lo stesso dell’Ilva) alla Liberty Steel del gruppo indiano Gfg Alliance. La Liberty Steel, il primo luglio 2019 ha infatti rilevato la storica Magona (455 dipendenti ed una capacità di 530 mila tonnellate) finora parte di ArcelorMittal, la quale ha dovuto cederla per imposizione dell’Antitrust, quando ha acquisito l’Ilva insieme a un pacchetto di altre sei acciaierie europee.
Insomma la ghisa la compreremo dalle industrie cinesi, le rotaie per le ferrovie dalle industrie indiane. Gli autobus che prima producevano Irisbus e Breda Menarini (chiuse o quasi) adesso li compriamo da aziende francesi, tedesche, israeliane. Una volta si chiamava dipendenza, adesso la chiamano competitività. Il risultato è disoccupazione, desertificazione, deindustrializzazione. E non sembra proprio che in cambio ambiente, salute e benessere sociale ne stiano traendo giovamento.
Le altre puntate:
Il delitto dell’Italsider di Bagnoli
I fantasmi delle Ferriere di Trieste
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