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18/11/2019

Iraq - Bloccato il porto di Umm Qasr il il terzo ponte nella capitale

Non si fermano le proteste in Iraq. Stamattina i manifestanti anti-governativi hanno bloccato l’entrata del porto di Umm Qasr (vicino a Bassora, sud del Paese) impedendo ai lavoratori e alle autobotti di entrare. Secondo alcune fonti locali, al momento le attività sono ferme al 50%, ma, se il blocco dovesse continuare anche nel pomeriggio, le operazioni saranno paralizzate del tutto come è già accaduto dal 29 ottobre al 9 novembre (eccetto una breve ripresa tra il 7 e il 9).

Bloccare Umm Qasr è un atto molto significativo: è infatti il principale porto del Paese dove transitano le importazioni di grano, oli vegetali, zucchero. Beni indispensabili per un Paese che per lo più importa cibo. Non solo: secondo quanto ha riferito lo scorso mese un portavoce del governo, l’ultimo blocco costò al Paese 6 miliardi di dollari solo la prima settimana. Oltre a Nassiriya e Bassora dove i manifestanti hanno bloccato strade e bruciato pneumatici, cortei di protesta si sono registrati nel sud anche a Kut, Najaf e Diwaniyah. In queste città le scuole e gli uffici governativi sono rimasti chiusi e le piazze si sono riempite di manifestanti.

Ma le mobilitazioni anti-governative continuano anche a Baghdad dove ieri gli attivisti hanno occupato un terzo ponte che porta alla Zone verde (l’area della capitale dove si trovano i ministeri e le ambasciate) nonostante l’ampio uso di gas lacrimogeni, bombe stordenti e pallottole vere da parte delle forze di sicurezza. Ieri a Baghdad sono confluiti migliaia di attivisti per protestare contro il governo, la corruzione e la grave situazione economica. In piazza c’erano anche centinaia di studenti che si sono riuniti nella centrale Piazza Tahrir (il centro nevralgico delle proteste) e hanno esposto uno striscione che recitava: “No alla politica, no ai partiti, questo è un risveglio studentesco!”. “Come studenti siamo qui per aiutare gli altri manifestanti, non faremo nessun passo indietro” ha detto uno di loro alla Reuters. “Continueremo la nostra protesta e il nostro sciopero generale insieme a tutti gli altri iracheni finché non costringeremo il governo a dimettersi”, gli ha fatto eco l’avvocato e militante Hassan al-Tufan. Cortei e sit-in di protesta si sono registrati anche a Hillah, a sud di Baghdad: qui gli attivisti si sono radunati di fronte ai palazzi provinciali.

La conquista ieri del ponte Ahrar fa seguito alla rioccupazione dei manifestanti del ponte Sinak e di un alto palazzo nelle sue vicinanze avvenuta sabato a Baghdad. Dal 25 ottobre i dimostranti occupano un terzo ponte pure, quello di Jamhuriya, portando così la loro voce di protesta anche in altre aree della capitale.

La presa del ponte Ahrar ha avuto però come al solito un caro prezzo umano: ieri, infatti, un manifestante è stato ucciso per una ferita riportata da un gas lacrimogeno sparato ad altezza uomo. Più di 40 sono stati poi i feriti. Dall’inizio delle proteste, lo scorso 1 ottobre, le forze di sicurezza hanno ucciso più di 320 dimostranti. Migliaia i feriti. La polizia è da tempo accusata dagli attivisti e dalle organizzazioni umanitarie locali e internazionali per l’uso massiccio di pallottole vere (perfino a volte mitragliatrici) e di lacrimogeni a distanza ravvicinata. La repressione sanguinosa del governo iracheno è stata ieri criticata anche dal capo uscente della missione Nato in Iraq, il Maggior Dany Fortin, secondo il quale la violenza delle autorità in questo mese è “un’assoluta tragedia” e ha invitato pertanto il governo alla “moderazione”. Ma l’esecutivo di Abdel Mahdi pare non ascoltare né le critiche internazionali né soprattutto i manifestanti: le riforme che ha promesso (ma quando verranno implementate?) sono giudicate dagli attivisti ben poco cosa. “Quanto proposto è solo oppio per le masse. Né più né meno” ha sintetizzato così ieri un dimostrante a Baghdad.

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