Pubblichiamo gli audio del seminario su Gramsci avuto luogo lo scorso 25 ottobre, tenuto da Paolo Cassetta. Si è trattata della prima lezione – delle tre in cantiere, seguiranno aggiornamenti – sul pensiero gramsciano.
In questo caso, ci siamo concentrati sullo studio del contesto entro cui prendono forma i principali temi affrontati da Gramsci, messi in relazione al dibattito che negli anni Venti stava avvenendo nel movimento operaio internazionale. Temi che erano già al centro della discussione, che ruotava tutta attorno al motivo centrale della “rivoluzione in Occidente”: cosa significa rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato? Come fare la rivoluzione in Stati dalle evolute capacità di gestione del consenso (e del dissenso)? Sono domande che si fanno impellenti dopo il fallimento dei tentativi rivoluzionari in Germania, e che per la prima volta costringono a domande (forse) nuove: il rapporto con la socialdemocrazia, il valore delle alleanze sociali, la costruzione e il mantenimento di posizioni politiche in un contesto di (più o meno) raggiunte libertà civili e d’espressione, il “lungo periodo” come orizzonte politico. Insomma, la rivoluzione in Occidente è al tempo stesso una cosa uguale e diversa da ciò che è avvenuto in Russia. Questo fatto l’Internazionale comunista lo capisce bene.
Di qui un contesto dialettico purtroppo ormai trascurato. E di qui anche Gramsci e la sua fortuna. Una fortuna che però ha una sua traiettoria particolare e rivelatrice: decisamente secondaria fino alla Liberazione; costruita ideologicamente da Togliatti con la pubblicazione delle Lettere e dei Quaderni, costruzione funzionale al legame che Togliatti tesse tra marxismo e cultura nazionale mediato dallo storicismo, con l’obiettivo della piena legittimazione politica; vertigine della sua fortuna dagli anni Settanta in avanti, cercato da tutti ma modellato politicamente sulle esigenze di chi, invece di ragionare di rivoluzione, mirava piuttosto a combatterla, dilazionandola attraverso le riflessioni del “padre nobile” par excellence: rivoluzionario ma realista, militante ma intellettuale, duro ma libertario, marxista ma crociano, estremista ma moderato.
È in questo gioco di rimandi paradossali che trova accoglienza Gramsci un po’ ovunque. E invece, crediamo, Gramsci può esserci ancora utile. A patto di sottrarlo alle mene anestetizzanti di chi ne torce porzioni del suo pensiero per edificare il sillogismo tra riformismo e rivoluzione, come se in Occidente l’unica rivoluzione possibile sia quella pensata da Togliatti: la conquista del potere per via elettorale e la trasformazione della società per mezzo di riforme parlamentari. Sono questioni d’altri tempi, è un’evidenza. Ma nel nostro bagaglio politico non può non trovare spazio una problematizzazione di Gramsci e del suo pensiero. Per evitare l’assioma fasullo e pacificante del realismo riformista e dell’utopismo rivoluzionario, attraverso cui il Pci ha sempre combattuto ogni ragione rivoluzionaria dell’epoca.
Può esserci una realismo rivoluzionario: ogni rivoluzione del XX secolo si assesta su di un punto d’equilibrio che realizza la rivoluzione come atto d’estremo realismo, non di “fuga in avanti” o di estremismo inconcludente. Al bando ogni idealismo dunque: la rivoluzione, quando tornerà all’ordine del giorno, non sarà altro che la realpolitik adattata alle esigenze del proletariato. O come si vorrà chiamarlo in futuro.
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