I Gilets Jaunes (gilet gialli o GJ)
hanno aperto uno squarcio nella sensazione d’immobilità, depressione e
impotenza che spesso ci portiamo dentro.
Quello che è successo negli ultimi mesi in Francia ha fatto tremare almeno un po’ il governo e il suo sistema di governance.
L’ha costretto a riorganizzarsi e rendere ancora più esplicito il suo apparato repressivo.
Molti che sono coinvolti da tempo nelle lotte sociali hanno incrociato e
attraversato l’esperienza dei GJ rimanendovi impressionati e
respirandone la novità e creatività.
Anche noi, che abbiamo avuto questa opportunità, abbiamo sentito il
bisogno di condividere esperienze, riflessioni e discussioni per
chiederci come l’esperienza dei GJ potesse contribuire attivamente anche
alle lotte fuori dal perimetro esagonale dove sono nati.
Il nostro è uno sguardo soggettivo che tenta di rispondere a semplici
domande sul movimento: chi sono? Come organizzano le loro lotte? Cosa
vogliono?
A un anno esatto dalla prima manifestazione dei GJ, vi proponiamo alcuni estratti di un testo più articolato intitolato“On est là”- Siamo qua – Gilets jaunes: il movimento tenace della Francia Invisibile.
Il 17 novembre 2018 in Francia l’appello
per il blocco del paese, diffusosi a macchia d’olio sui social, diviene
il detonatore di una lunga stagione di protesta insistendo soprattutto
sull’iniquità dell’aumento della benzina in un momento di crisi
economica che viene giustificata dal governo come “tassa per la
transizione ecologica”.
Se pensiamo alla situazione italiana, questo tipo di appello al “blocco”
a seguito delle troppe tasse, ci rimanda al cosiddetto movimento dei
forconi della stagione 2012-13.
In Francia un’esperienza regionale si era già inscritta in un registro simile: il movimento bretone dei “bonnet rouges” nel 2013 contro una ecotassa e che già allora bloccava la circolazione, i ponti in particolare.
Tuttavia questi riferimenti sono da ritenersi piuttosto marginali per la genesi dei GJ.
La spontaneità delle occupazioni delle rotatorie (i rond-point)
e delle prime mobilitazioni sembra emergere senza replicare modelli
precedenti ispirandosi spesso all’immaginario della rivoluzione
francese, oltre al tricolore.
A queste premesse si aggiunge l’elezione di un presidente della
Repubblica, Macron, raggiunta con il più alto tasso di astensionismo e
schede bianche dal 1969 e presentato come “meno peggio” rispetto ai
fascisti del “Rassemblement National” (ex FN).
Macron, populista di centro, ha cercato in ogni modo di creare un
rapporto presidente-popolo il più diretto possibile, spazzando via le
consuetudini di dialogo con i corpi intermedi della società. Questa
scelta si mostra come un elemento comune con i GJ, che dall’inizio del
movimento hanno cocciutamente rifiutato portavoce, e mediazioni.
Nell’autunno scorso, l’inedita irruzione di folle con un giubbotto
catarifrangente intente a bloccare incroci e traffico autostradale, ne
ha imposto l’attenzione sulla scena pubblica, mediatica e politica,
sorprendendo tutti per le sue modalità di organizzazione ed azione.
Ci sono stati numerosi tentativi di dare
una definizione ai Gilets Jaunes: movimento sociale, un segmento di
classe, un meme, una convergenza, un’insurrezione o... tutte queste
insieme.
Si può dire senz’altro che è una ricomposizione tra soggetti diversi,
tra segmenti (e frammenti) di classe che si mobilitano insieme.
All’interno di questa ricomposizione si trovano soprattutto persone non
politicizzate in senso classico, cioè senza appartenenze a partiti o
organizzazioni, con poca o nulla esperienza in mobilitazioni precedenti o
scioperi.
Per una maggioranza di GJ vi è una forte distanza da ogni appartenenza
politica e partitica, soprattutto rispetto alle preferenze di voto
(quando praticato) e nella fiducia nei rappresentanti politici e
sindacali.
Attraversando il movimento si percepisce immediatamente la sua
eterogeneità per la presenza di generazioni distanti tra loro che si
uniscono nonostante i passati, le provenienze e i desideri.
Cerco la testa del corteo, ma non la trovo.
Cerco di capire quale sarà il percorso, ma tutti mi rispondono che non
si sa, ci sono dei luoghi dai quali si passa sempre, ma non si sa mai
come ci si arriva e con quale ordine.
Girovagando incontro un bel po’ di giovani tra i 20 e i 30 anni
ma, nella prima fase della manifestazione prima degli scontri
all’imbrunire, la componente principale sembrerebbe quella dei
cinquantenni, oltre ai pensionati spesso con i figli.
Vedo qualche gilet rosso della Cgt, un paio di
gruppetti di giovani incappucciati che lasciano tag sui muri e sulle
vetrine, la “batucada“ che suona le percussioni.
Faccio due chiacchiere con alcuni anarchici che riconosco per le scritte
riportate sui loro gilet, mentre non passa inosservato il collettivo di
studenti medi che cammina dietro al proprio striscione intonando cori
anticapitalisti.
Ci sono dei gruppetti di giovanissimi vestiti in stile banlieue (tuta
acetata, capellino, sneakers), accanto a qualche sovranista con cartelli
Frexit (la versione francese della Brexit), alcuni brandiscono il
simbolo della France Insoumise, mentre i trotskisti di Revolution
Permanente volantinano.
I portatori di handicap (chi in sedia a rotelle, chi in stampelle, chi
cieco) sono invece decisamente molti, soprattutto per essere una
manifestazione che finisce matematicamente in scontri con la polizia.
Inoltre nel corteo sono accolti con simpatia molti senza fissa dimora.
Una lettura della composizione sociale
del movimento indica come una maggioranza delle soggettività presenti
alle manifestazioni e alle azioni dei GJ venga dalle “periferie”.
Non tanto le spesso feticizzate banlieues, ma piuttosto quelle zone lontane geograficamente dai centri metropolitani e anch’esse abbandonate dai servizi.
Questo radicamento periferico si palesa nella scelta del nascente
movimento di occupare le arterie e i nodi stradali al di fuori dei
centri cittadini.
In molti si sentono presi in giro da un governo che mentre elimina la
tassa patrimoniale a beneficio dei più ricchi, aumenta le accise sulla
benzina giustificandola come misura ecologica.
Il volto di un ecologismo di facciata si mostra con il ghigno di un
governo che tassa i poveri e fa arricchire i capitalisti che inquinano,
niente di nuovo.
Una delle scintille dei GJ può essere ritrovata nell’essere
colpevolizzati per usare l’automobile, alimentando le emissioni di gas
serra, per poter accedere a tutte quelle opportunità e servizi
altrimenti ad appannaggio esclusivo di chi ci abita accanto.
Attraverso i GJ una parte di questa
popolazione periferica è stata in grado di organizzarsi, in un primo
momento occupando le rotonde o i pedaggi, per poi convergere il sabato
nelle manifestazioni che hanno offuscato (e talvolta danneggiato) i centri-vetrine delle principali città francesi.
Il “mondo militante” all’interno delle manifestazioni ha superato –
fortunatamente in maniera piuttosto tempestiva – lo scetticismo e ha
preso parte alle manifestazioni, soprattutto quelle nelle città,
apportando contributi importanti nei cortei di piazza allontanando in
molti casi i neofascisti (e i royalisti).
Su questo però bisogna distinguere: una cosa è stata allontanare quei
soggetti esplicitamente portatori di istanze fasciste e razziste,
un’altra è stata quella di tollerare tutto un universo di persone che
nella domanda di potersi riappropriare di un potere sulla propria vita
vede con simpatia alcune istanze sovraniste come la fuoriuscita dall’UE,
che ha un modo d’esprimersi sessista e talvolta anche con riferimenti
di matrice antisemita e razzista.
Sebbene nelle prime settimane ci siano stati alcuni circoscritti episodi
di matrice razzista ai blocchi dei ronds-points, la situazione poteva
prendere una piega ben peggiore, soprattutto se pensiamo all’Italia.
Un secondo contributo del “mondo militante” è stato dare maggior forza e
radicalità ai gilet gialli, costruendo insieme le azioni, portando
pratiche di piazza più organizzate e incisive per divenire sempre più
ingestibili per il presidente.
Immersione e spaesamento illustrano
ciò che vivo in quei momenti: persone mai viste prima, visibilmente
senza riferimenti militanti e nemmeno esperienza di cortei attraversano
il centro di Parigi urlando e ululando con un’energia e una gioia
contagiosa. Gli accenti sono forti a rappresentare i lunghi chilometri
attraversati per essere nella capitale. Bandiere regionali quasi
sconosciute sventolano qua e là svelando la provenienza di questo o quel
gruppetto.
“Te l’avevo detto che quella rossa con il leone è la bandiera che vedi
nella confezione del camembert, è la Normandia, non sono mica fasci
quelli, sono i normanni...”, un esempio dello spaesamento militante di
fronte ai gilet.
Nei gruppi ci sono molte donne, spesso di una certa età e non è affatto raro sentirle gridare indicazioni a quelli con loro.
I giovanissimi sono una minoranza, l’età mi sembra piuttosto alta, tra i
40 e i 50... tra gli uomini gente che sembra più avvezza ai lavori
manuali che a indossare completi nei quartieri degli uffici della
capitale. Manco la conoscono la capitale, infatti quando iniziamo ad
addentrarci tra le viuzze, le domande di orientamento sono frequenti.
Pochi parigini quest’oggi hanno il gilet.
I quartieri dello shopping si trasformano, la coda non è più
per entrare da Zara dalla porta, ma dalle finestre spaccate. Il
paesaggio è a tratti irreale, un amico fotografo non può farsi sfuggire
la silhouette di un bus carico di latinos che salutano i gilet mentre
scattano flash alla nube del fuoco delle barricate che oscura il
colonnato dell’Opera.
La domanda di giustizia sociale diviene
progressivamente l’asse centrale del movimento, che non si accontenta
più di concessioni, ma vuole rovesciare il tavolo della cena di gala
riservata ai ricchi macronisti. Vengono invocati l’aumento del salario
minimo (lo SMIC) e dei minimi sociali, limitando la differenziazione tra
popolazione precaria ma lavoratrice e quella precaria e disoccupata che
poteva sentirsi più spesso nel primo periodo.
I mesi di mobilitazione dei GJ hanno mutato e fatto evolvere le parole d’ordine gridate e i loro obiettivi.
Si è passati da un insieme di rivendicazioni particolari magari
contraddittorie, al consolidamento di una prospettiva condivisa di
cambiamento radicale della società e del suo modo di produzione e
sfruttamento. La questione anticapitalista ha conquistato spazio così
come la consapevolezza della connessione tra disuguaglianze sociali e
distruzione del vivente.
I GJ hanno rivendicato in maniera progressiva di essere la “pancia” del paese: i dimenticati, gli accantonati.
Un movimento popolare indifferente al gradualismo riformista e senza fiducia nelle promesse del governo.
Insomma, un movimento attraversato da una rabbia collettiva che si
sostituisce alla frustrazione individuale nei confronti della propria
situazione.
Una collera che nasce nella Francia periferica e che non si
limita ad invadere i centri cittadini ma vuole conquistare anche lo
spazio simbolico del potere che la relega ai margini.
1/continua...
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