A 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, primo atto dello
sgretolamento del blocco sovietico e dell’evaporazione della sua
influenza globale, la Federazione Russa
ha presentato al mondo la sua politica africana con un evento senza
precedenti svoltosi il 23 e 24 ottobre scorsi nella città russa di Sochi. Il vertice, che ha visto la partecipazione di 10.000 persone, è stato presieduto congiuntamente da Vladimir Putin e dal presidente egiziano – e presidente dell’Unione Africana ‒ Abd al-Fattah al-Sisi:
un fatto che testimonia l’importanza che sia l’Egitto sia l’Unione
Africana rivestono nella strategia di Mosca dedicata al continente
africano. Una strategia che, altrettanto evidentemente, annovera tra i
propri obiettivi quello di allentare l’egemonia occidentale sull’Egitto e
di rilanciare l’Unione Africana in chiave multipolare.
Durante
il vertice Russia-Africa, il presidente della Federazione Russa Vladimir
Putin ha descritto l’Africa come «uno degli epicentri della crescita
economica mondiale»: gli accordi firmati tra Mosca e ben 43 Paesi
africani riguardano principalmente il settore militare, quello
energetico e quello alimentare, ma si estendono anche ad altri ambiti
come quello sanitario e della formazione (basti ricordare che la
Federazione Russa finanzia già gli studi di 17.000 africani).
Proseguendo, Vladimir Putin ha aggiunto: «Attualmente esportiamo verso
l’Africa beni alimentari per un valore di circa 25 miliardi di dollari,
un valore ben più alto di quello delle esportazioni di armamenti, circa
15 miliardi di dollari […] Nei prossimi quattro o cinque anni dovremmo
essere in grado come minimo di raddoppiare questo valore». Nonostante
l’interscambio tra Federazione Russa e continente africano valga
grossomodo un quarto di quello che vede protagonista la Cina (40
miliardi di dollari contro 204), il Cremlino detiene il primato nella
vendita di armi verso l’Africa.
Qui, come in Asia, si giocano i
delicati equilibri dell’asse sino-russo: proprio per questo almeno per
il momento sia Pechino ‒ già presente militarmente nel continente
africano con una base a Gibuti
‒ che Mosca muovono i propri passi cercando di minimizzare le frizioni.
L’assenza del forte connotato ideologico che caratterizzava quella
Unione Sovietica che fu la principale sostenitrice del movimento di
liberazione nazionale africano sembra rappresentare oggi un punto di
forza della politica del Cremlino.
Descrivendo il retaggio anticoloniale che lega Mosca all’Africa, il ministro dell’Industrializzazione e del Commercio della Namibia Tjekero Tweya, nel corso del vertice di Sochi ha ricordato che:
«Nei giorni in cui lottavamo per la nostra liberazione, la Russia fu
tra coloro che credettero nella nostra causa, che ormai era stata
abbandonata da quasi tutti. Ci siamo separati a causa del periodo di
transizione [russo], e ora ci stiamo riavvicinando».
Oggi
Mosca ha la possibilità di condurre la sua strategia e la sua tattica
senza alcun tipo di incombenza ideologica: questo permette a Mosca di
negoziare e stringere accordi praticamente con qualunque realtà
dell’Africa dei nostri giorni.
A nord, almeno per il momento, il Cremlino ha dalla sua quasi l’intero Maghreb, vantando buone relazioni sia con l’Algeria che con il rivale Marocco, sia con la fazione libica capeggiata da Fayez al-Sarraj sia con quella del generale Khalifa Haftar.
Nel
cuore del continente, la Repubblica Centrafricana, in cui continuano a
persistere gli strascichi della sanguinosa guerra civile combattuta tra
milizie cristiane e islamiche, costituisce già oggi uno dei pilastri
della strategia del Cremlino. La problematica repubblica, per ammissione
del suo stesso presidente Faustin-Archange Touadéra,
potrebbe addirittura ospitare ufficialmente in un futuro piuttosto
prossimo una base russa: una ipotesi che sta facendo registrare non
pochi malumori a Parigi.
A sud, Mosca gode di ottime relazioni
sia con la Namibia che con il Sudafrica: qui coltiva buoni rapporti con
quella che fu la fazione di Nelson Mandela (ANC), ma anche con la comunità boera.
Molti
sono gli interrogativi che riguardano le prospettive relative
all’“Africa russa” e all’“Africa cinese”. Su tutti quello che riguarda
la questione sociale e ciò di cui la forte presenza del Cremlino e del
Dragone si faranno foriere. Di certo, il colonialismo
russo si distinse in epoca imperiale da quello britannico e da quello
francese per la mescolanza e la commistione sociale che riguardava
coloni e colonizzati: avanzando pur violentemente verso l’Asia ed il
Caucaso, il colonialismo dell’Impero russo non fu mai discriminatorio
alla maniera della maggior parte degli altri colonialismi. Dal canto
suo, la Cina non può che conservare la memoria della tragica esperienza
del giogo coloniale. Sebbene questi elementi storici non appaiano in
quanto tali sufficienti a sminuire i rischi a cui la nuova Africa
multipolare resta esposta, sembra comunque possibile che un mutamento
delle attuali egemonie nel continente ‒ in particolare quella francese e
quella statunitense ‒ possa metterlo nella condizione di sviluppare una
propria intellighenzia, una propria personalità storica indipendente e
di emanciparsi così da ogni logica predatoria.
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