di Michele Giorgio - il Manifesto
Non appartengono
ad alcun partito, sono ragazzini, alcuni poco più che bambini. Il
venerdì corrono urlando, alcuni stringendo una bandiera nella mano,
verso le barriere di demarcazione con Israele. Senza alcun timore, come
se non rischiassero la vita ad ogni metro percorso. E ormai non
badano più alle decisioni, politiche e «diplomatiche», del movimento
islamico Hamas che per il terzo venerdì consecutivo ha annullato le
proteste popolari contro il blocco di Gaza per non turbare le trattative
indirette che ha ripreso con Israele. Sul piatto c’è una
tregua a lunga durata destinata a non cambiare la condizione di Gaza di
grande prigione a cielo aperto ma solo a «migliorare» il disastro
umanitario che si è abbattuto su due milioni di civili palestinesi
dimenticati dal mondo. Donald Trump che in tre anni ha tagliato tutti i
fondi Usa destinati ai palestinesi, all’improvviso ha regalato a Gaza,
con pelosa generosità, un ospedale da campo in fase di allestimento non
lontano dal valico di Erez, intorno al quale regna sempre un fitto
mistero. A Gaza sussurrano che i particolari e le finalità del progetto,
favorito dalla mediazione del Qatar e approvato da Israele, sarebbero
conosciuti solo ai vertici di Hamas.
Fahad al Astal, 16 anni, viso di bambino, è caduto ieri
nella giornata internazionale a sostegno del popolo palestinese,
stabilita dalle Nazioni Unite. È l’ultimo ragazzo ucciso dal fuoco dei
tiratori scelti israeliani appostati sulle dune a ridosso delle
barriere. I suoi compagni dicono che ha lanciato un urlo prima
di accasciarsi al suolo, centrato in pieno all’addome. Inutile la corsa
all’ospedale, è morto in pochi minuti. Aveva cominciato la sua corsa
verso il proiettile che lo ha ammazzato da Al Adwa, all’altezza di Khan
Younis, uno campo di tende allestiti nel marzo 2018 per la Grande Marcia
del Ritorno. Laconica la versione israeliana dell’accaduto: «Alcune
decine di persone si sono affollate in un punto nel sud in prossimità
dei reticolati di confine. I soldati hanno notato che cercavano di
sabotarli e hanno reagito con mezzi di dispersione di dimostrazioni,
ricorrendo fra l’altro a proiettili Ruger». Il 16enne Al Astal stava
«sabotando» i reticolati? I palestinesi negano con forza. Ieri
in un ospedale è spirato anche Riad Sarsawi, 30 anni, ferito da un
bombardamento israeliano durante l’ultima escalation tra Israele e Gaza. Non era un civile ma un militante del Jihad Islamica. Sale a 36 il bilancio totale palestinesi uccisi in quei giorni.
Non c’è un comunicato dell’esercito invece sugli atti di
vandalismo avvenuti giovedì notte in villaggi palestinesi della
Cisgiordania, attribuiti a coloni israeliani. A Taibeh
(Ramallah), un’automobile è stata data alle fiamme: nelle vicinanze una
scritta ostile in lingua ebraica. Nella zona di Nablus decine di ulivi
sono stati sradicati e i palestinesi puntano il dito contro gli abitanti
del vicino avamposto coloniale di Rachelim. Atti che si stanno
moltiplicando e che si aggiungono a quelli del recente passato. A
condannarli sono stati anche i rappresentanti delle chiese cristiane in
Terra Santa che li hanno definiti «atti razzisti di vandalismo» e
chiesto di portare di fronte alla giustizia non solo chi compie gesti
del genere ma anche coloro che incitano alla violenza.
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