La situazione in America Latina continua ad essere quanto mai dinamica e densa di cambiamenti. In positivo e, ahimè, anche in negativo.
Dall’ultimo articolo sull’argomento pubblicato sul nostro sito appena due settimane fa, “Cile ed Ecuador, riprendono le lotte antiliberiste”, ci sono state una serie di evoluzioni.
Per rimanere sui due paesi in questione – Ecuador e Cile – se il clima nel primo di questi due paesi sembra essersi stemperato, con la parziale vittoria dei manifestanti, i quali sono riusciti ad ottenere la cancellazione dell’odiata tassa sul diesel, la stessa cosa non si può dire per il Cile.
In quest’ultimo paese, nonostante la brutale e sanguinaria repressione portata avanti dal Governo Pinera – si parla di oltre 40 morti – e che ricorda tanto quella della dittatura militare degli anni ’70-‘80, le manifestazioni di protesta non accennano a placarsi. Anzi, vi sono quasi tutti i giorni dimostrazioni oceaniche contro il governo.
Anche perché i manifestanti non si sono limitati alle piccole richieste dalle quali era nata la protesta, bensì esigono il cambiamento della loro Costituzione. Quella attuale, infatti – è bene ricordarlo – è figlia della dittatura di Pinochet.
Ma le grosse novità arrivano da altri tre paesi, Argentina, Brasile e Bolivia.
Incominciamo dal primo: nel paese delle pampas, dopo quattro anni di governo di restaurazione liberista di Macrì – che è stato possibile solo grazie ad un golpe giudiziario, che fece fuori la legittima presidente Cristina Fernandez-Kirchner – alle recenti elezioni del 27 ottobre ha vinto il candidato della sinistra peronista, Alberto Fernandez, con Cristina Fernandez-Kirchner (i due non sono parenti, nonostante il cognome) come vice.
Si prefigura, dunque, per questo paese, la fine delle politiche liberiste e filo-USA ed un ritorno ad un orientamento più di tipo socialdemocratico e di maggiore autonomia rispetto agli yankees.
Un’altra notizia positiva arriva dal Brasile, dove la Corte Suprema ha deciso la liberazione di Lula, incarcerato a suo tempo con false accuse, solo per impedirgli di partecipare alle elezioni, “vinte” poi dal reazionario Bolsonaro.
La scarcerazione del leader del Partido dos Trabalhadores registra, evidentemente, un mutamento negli equilibri sociali del paese carioca e darà sicuramente nuova linfa non solo al partito in questione, ma anche un po’ a tutte le lotte e alla sinistra brasiliana.
Pessime notizie, viceversa, giungono dalla Bolivia, dove è in atto un classico golpe (anche se i nostri mass-media si guardano bene dal classificarlo come tale) contro Evo Morales, vincitore delle recentissime elezioni. Il colpo di Stato parte dalle destre di Mesa e Camacho, con il sostegno della polizia, dell’esercito e degli strati più benestanti della popolazione, ossia, quella di origine europea, ostile all’etnia indigena, rappresentata da Morales. E, naturalmente, con il sostegno degli Stati Uniti.
Non è ancora chiaro, tuttavia, come andrà a finire tale tentativo. Nel momento in cui scrivo vi è una sollevazione popolare di massa che rifiuta tale deriva e che è ben determinata a non cedere ai golpisti. Si attendono ulteriori sviluppi.
Andando al di là degli episodi di cronaca, va segnalata l’importanza strategica di questi tre paesi, ossia, Argentina, Brasile e Bolivia.
Il Brasile figura al settimo posto a livello mondiale come grandezza economica. Alla tradizionale vastissima produzione agricola – in gran parte esportata all’estero – si è aggiunto negli ultimi decenni un poderoso sviluppo industriale, frutto in gran parte delle delocalizzazioni fatte da imprese straniere. Enorme è, nel paese, la presenza – e dunque gli interessi – delle multinazionali straniere, soprattutto spagnole. Tra quelle italiane figurano, oltre alla ex FIAT, ora FCA, diverse altre aziende, ENEL, Telecom ecc.
Inoltre recentemente è stato scoperto, nel mare prospiciente il Paese, un vasto giacimento petrolifero.
Dopo il Brasile, la seconda economia sudamericana è quella argentina. Anche in questo caso abbiamo una enorme produzione agricola, finalizzata in misura massiccia all’esportazione, e un’industria di una certa consistenza. Neanche a dirlo, la presenza di multinazionali straniere nel paese, soprattutto USA e spagnole, è massiccia.
L’economia boliviana, viceversa, è assai più debole delle prime due – anche se in forte crescita negli ultimi anni – e si basa prevalentemente sulla produzione agricola. Ma anche il settore estrattivo occupa una rilevanza enorme e crescente. Nella regione, infatti, sono presenti importanti risorse naturali, quali il gas, il petrolio, ma anche l’oro, lo zinco e soprattutto il litio.
Inutile sottolineare gli appetiti delle multinazionali straniere per queste risorse, a suo tempo nazionalizzate da Morales.
In conclusione, dopo un periodo in cui l’ondata progressista latino-americana sembrava essersi assopita, mentre la restaurazione liberista appariva vincente e in procinto di riprendersi i vari paesi, negli ultimi mesi è emersa una realtà completamente diversa.
La situazione è in continuo evolversi e al momento è difficile prevedere quali saranno gli sviluppi futuri.
Ma il dato notevole è che il continente in questione si è decisamente “risvegliato” e i sintomi del crescente malcontento delle relative popolazioni per le politiche liberiste si percepiscono un po’ ovunque. Oltre ai paesi di cui sopra, andrebbero menzionati quantomeno il Messico, dove per la prima volta ha vinto un leader progressista come Lopez Obrador, e Haiti, dove da almeno due mesi è in corso una rivolta popolare pressoché ignorata dai nostri mass-media.
Ma segnali di sofferenza e di protesta, anche se in tono minore – almeno per il momento – si sentono anche da altre parti.
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