di Roberto Prinzi
È stata l’ennesima giornata di sangue ieri in Iraq: le forze di sicurezza irachene hanno ucciso infatti almeno 45 manifestanti in varie aree del Paese. Il
bilancio più grave (29 morti) si è registrato nella città meridionale
di Nassiriya dove le truppe hanno aperto il fuoco sui dimostranti che
bloccavano un ponte. Secondo fonti mediche, in città sarebbero
decine i feriti. Migliaia di persone hanno poi sfidato il coprifuoco
circondando il quartier generale dell’esercito.
Situazione molto tesa anche nella capitale Baghdad dove i
manifestanti uccisi dalle pallottole vere e di gomma sparate dalla
polizia sono stati 4. Bagno di sangue anche a Najaf dove 12 persone hanno perso la vita negli scontri con le forze dell’ordine. Nella città, importante meta di pellegrinaggio per gli sciiti e sede del potente clero sciita iracheno,
la tensione è altissima da quando (mercoledì sera) i manifestanti hanno
dato alle fiamme la rappresentanza diplomatica iraniana,
situata non molto distante dall’abitazione della massima autorità sciita
del Paese, l’Ayatollah al-Sistani. A gettare benzina sul fuoco è stato
poi ieri Abu Mahdi al-Muhandis, il comandante
delle Forze di Mobilitazione popolare (strettamente legate a Teheran),
che ha minacciato che “taglierà le mani a chiunque proverà a toccare
al-Sistani”.
L’assalto al consolato iraniano è di sicuro un dato politico molto
significativo perché mostra in modo palese l’insofferenza di non pochi
iracheni nei confronti dell’influenza di Teheran nell’Iraq post-Saddam,
dono della “democrazia esportata” dagli occidentali (Usa in testa) nel
2003. Che la tensione sia alta è chiaro anche all’Iran che ieri
sera ha deciso di chiudere il valico di confine di Mehran “per motivi di
sicurezza”. A riferirlo è stata l’agenzia statale iraniana
Mehr citando l’ufficiale di sicurezza Mojtaba Soleimani. “Con attenzione
ai recenti eventi e ai tumulti avvenuti in Iraq, il valico di Mehran
sarà chiuso a partire da stanotte” ha detto Soleimani che non ha
chiarito quando sarà riaperto. L’ostilità montante anti-iraniana si
tocca con mano a Najaf dove i manifestanti, per la stragrande
maggioranza sciiti, hanno accusato le autorità locali di agire contro
gli interessi del popolo iracheno pur di difendere gli interessi del
potente vicino.
“Tutta la polizia antisommossa e le forze di sicurezza ci hanno
sparato come se stessimo bruciando l’intero Iraq” ha sintetizzato un
manifestante alla Reuters. Un altro di nome Alì ha descritto l’assalto
al consolato come un “atto coraggioso”, “una reazione del popolo
iracheno”. “Non vogliamo gli iraniani” ha chiosato. Da parte sua
l’Iran, per bocca del suo ministro degli esteri, ha chiesto a Baghdad
una “risposta ferma contro gli aggressori” del consolato. E la risposta è
venuta subito ed è la stessa che si ripete dal 1 ottobre: pallottole
vere, gas lacrimogeni sparati ad altezza uomo che hanno fatto schizzare
il bilancio delle vittime delle proteste ad almeno 408 persone.
Di fronte alle istanze di migliaia di iracheni che da quasi due mesi
scendono in strada chiedendo lo smantellamento dell’intero sistema di
potere politico ed economico, fatto di corruzione, settarismo e
liberismo selvaggio, la politica non sa offrire alcuna risposta se non
quella basata sulla repressione. Il premier Abdel Mahdi si è finora rifiutato di dimettersi
(lo ha ribadito in più incontri a cui ha preso parte anche Qassem
Soleimani, il comandante delle Forze al-Quds delle Guardie
Rivoluzionarie iraniane) e si è limitato ieri a convocare un comandante
militare della provincia di Dhi Qar (dove è situata Nassiriya) per
sapere quanto sta accadendo al sud. L’influente leader religioso
Moqtada al-Sadr ha invece chiesto nuovamente al governo di dimettersi
avvertendo però nello stesso tempo i manifestanti che la loro azione
contro il consolato iraniano potrebbe portare a una violenta repressione
delle proteste da parte di Baghdad. Sadr sta facendo
astutamente l’equilibrista: pubblicamente si schiera con i manifestanti
(“Non permettete di dare a loro [le autorità, ndr] un pretesto per porre
fine alla vostra rivoluzione”) chiedendo con forza la fine del governo
al-Mahdi perché se ciò non accade “è l’inizio della fine dell’Iraq”.
Dall’altro, però, non arriva alla completa rottura con il governo e con
le istituzioni (di cui fa parte) in questa fase dove gli esiti delle
proteste appaiono ancora incerti.
Al di là del chiaro messaggio politico che porta con sé, quanto
accaduto a Najaf con l’assalto al consolato iraniano potrebbe essere
strumentalizzato dal governo per giustificare una maggiore repressione
delle proteste. Se così si decidesse a Baghdad, potrebbe essere
data luce verde al comandante del Forze di mobilitazione popolare Abu
Mahdi al-Muhandis per chiudere la partita con i manifestanti. La scusa è
giù pronta sul tavolo: è in gioco l’incolumità di al-Sistani. Eppure
al-Sistani, massima figura sciita in Iraq, vestendo i panni del
pompiere, sin dall’inizio ha ufficialmente sostenuto i manifestanti e ha
invitato i politici ad ascoltare le loro richieste. Del resto
il caos e l’incertezza non convengono al potente clero sciita locale,
Sistani questo lo sa bene. Ma l’invito ad abbassare i toni dello scontro
non è compreso a Baghdad: le autorità hanno infatti annunciato la
creazione di “cellule di crisi” chiamati a gestire i servizi di
sicurezza con l’obiettivo di fermare la protesta.
AGGIORNAMENTO
ore 16:50 Il premier iracheno Abdel Mahdi ha rassegnato le dimissioni
Il premier iracheno Adel Abdul Mahdi ha annunciato che presenterà le
sue dimissioni al parlamento. Alcune ore prima, nel suo sermone
settimanale, la massima autorità religiosa del Paese, lo sciita
al-Sistani, aveva chiesto un cambiamento di leadership. Detto, fatto:
nel suo comunicato Abdel Mahdi ha detto “di aver ascoltato con grande
preoccupazione” le parole di al-Sistani e di aver preso questa decisione
in risposta al suo appello così da “facilitare e sveltire il suo
adempimento al più presto possibile”. La decisione giunge dopo la
giornata di sangue di ieri durante la quale sono stati uccisi più di 50
dimostranti dalle forze di sicurezza irachene.
Le dimissioni di Abdul Mahdi sono state accolte a Baghdad con canti e
gioia a Piazza Tahrir, centro delle proteste anti-governative. Tuttavia
i manifestanti hanno subito ribadito che la loro lotta continuerà
finché tutte le loro istanze non verranno implementate. “La condizione è
che tutti i partiti se ne vadano. Non sono più accettabili. Tutti hanno
preso parte agli omicidi criminali di dimostranti” ha detto uno di loro
intervistato da al-Jazeera.
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