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29/11/2019

Iraq - Escalation della repressione, massacro di civili

di Roberto Prinzi

È stata l’ennesima giornata di sangue ieri in Iraq: le forze di sicurezza irachene hanno ucciso infatti almeno 45 manifestanti in varie aree del Paese. Il bilancio più grave (29 morti) si è registrato nella città meridionale di Nassiriya dove le truppe hanno aperto il fuoco sui dimostranti che bloccavano un ponte. Secondo fonti mediche, in città sarebbero decine i feriti. Migliaia di persone hanno poi sfidato il coprifuoco circondando il quartier generale dell’esercito.

Situazione molto tesa anche nella capitale Baghdad dove i manifestanti uccisi dalle pallottole vere e di gomma sparate dalla polizia sono stati 4. Bagno di sangue anche a Najaf dove 12 persone hanno perso la vita negli scontri con le forze dell’ordine. Nella città, importante meta di pellegrinaggio per gli sciiti e sede del potente clero sciita iracheno, la tensione è altissima da quando (mercoledì sera) i manifestanti hanno dato alle fiamme la rappresentanza diplomatica iraniana, situata non molto distante dall’abitazione della massima autorità sciita del Paese, l’Ayatollah al-Sistani. A gettare benzina sul fuoco è stato poi ieri Abu Mahdi al-Muhandis, il comandante delle Forze di Mobilitazione popolare (strettamente legate a Teheran), che ha minacciato che “taglierà le mani a chiunque proverà a toccare al-Sistani”.

L’assalto al consolato iraniano è di sicuro un dato politico molto significativo perché mostra in modo palese l’insofferenza di non pochi iracheni nei confronti dell’influenza di Teheran nell’Iraq post-Saddam, dono della “democrazia esportata” dagli occidentali (Usa in testa) nel 2003. Che la tensione sia alta è chiaro anche all’Iran che ieri sera ha deciso di chiudere il valico di confine di Mehran “per motivi di sicurezza”. A riferirlo è stata l’agenzia statale iraniana Mehr citando l’ufficiale di sicurezza Mojtaba Soleimani. “Con attenzione ai recenti eventi e ai tumulti avvenuti in Iraq, il valico di Mehran sarà chiuso a partire da stanotte” ha detto Soleimani che non ha chiarito quando sarà riaperto. L’ostilità montante anti-iraniana si tocca con mano a Najaf dove i manifestanti, per la stragrande maggioranza sciiti, hanno accusato le autorità locali di agire contro gli interessi del popolo iracheno pur di difendere gli interessi del potente vicino.

“Tutta la polizia antisommossa e le forze di sicurezza ci hanno sparato come se stessimo bruciando l’intero Iraq” ha sintetizzato un manifestante alla Reuters. Un altro di nome Alì ha descritto l’assalto al consolato come un “atto coraggioso”, “una reazione del popolo iracheno”. “Non vogliamo gli iraniani” ha chiosato. Da parte sua l’Iran, per bocca del suo ministro degli esteri, ha chiesto a Baghdad una “risposta ferma contro gli aggressori” del consolato. E la risposta è venuta subito ed è la stessa che si ripete dal 1 ottobre: pallottole vere, gas lacrimogeni sparati ad altezza uomo che hanno fatto schizzare il bilancio delle vittime delle proteste ad almeno 408 persone.

Di fronte alle istanze di migliaia di iracheni che da quasi due mesi scendono in strada chiedendo lo smantellamento dell’intero sistema di potere politico ed economico, fatto di corruzione, settarismo e liberismo selvaggio, la politica non sa offrire alcuna risposta se non quella basata sulla repressione. Il premier Abdel Mahdi si è finora rifiutato di dimettersi (lo ha ribadito in più incontri a cui ha preso parte anche Qassem Soleimani, il comandante delle Forze al-Quds delle Guardie Rivoluzionarie iraniane) e si è limitato ieri a convocare un comandante militare della provincia di Dhi Qar (dove è situata Nassiriya) per sapere quanto sta accadendo al sud. L’influente leader religioso Moqtada al-Sadr ha invece chiesto nuovamente al governo di dimettersi avvertendo però nello stesso tempo i manifestanti che la loro azione contro il consolato iraniano potrebbe portare a una violenta repressione delle proteste da parte di Baghdad. Sadr sta facendo astutamente l’equilibrista: pubblicamente si schiera con i manifestanti (“Non permettete di dare a loro [le autorità, ndr] un pretesto per porre fine alla vostra rivoluzione”) chiedendo con forza la fine del governo al-Mahdi perché se ciò non accade “è l’inizio della fine dell’Iraq”. Dall’altro, però, non arriva alla completa rottura con il governo e con le istituzioni (di cui fa parte) in questa fase dove gli esiti delle proteste appaiono ancora incerti.

Al di là del chiaro messaggio politico che porta con sé, quanto accaduto a Najaf con l’assalto al consolato iraniano potrebbe essere strumentalizzato dal governo per giustificare una maggiore repressione delle proteste. Se così si decidesse a Baghdad, potrebbe essere data luce verde al comandante del Forze di mobilitazione popolare Abu Mahdi al-Muhandis per chiudere la partita con i manifestanti. La scusa è giù pronta sul tavolo: è in gioco l’incolumità di al-Sistani. Eppure al-Sistani, massima figura sciita in Iraq, vestendo i panni del pompiere, sin dall’inizio ha ufficialmente sostenuto i manifestanti e ha invitato i politici ad ascoltare le loro richieste. Del resto il caos e l’incertezza non convengono al potente clero sciita locale, Sistani questo lo sa bene. Ma l’invito ad abbassare i toni dello scontro non è compreso a Baghdad: le autorità hanno infatti annunciato la creazione di “cellule di crisi” chiamati a gestire i servizi di sicurezza con l’obiettivo di fermare la protesta.

AGGIORNAMENTO

ore 16:50 Il premier iracheno Abdel Mahdi ha rassegnato le dimissioni

Il premier iracheno Adel Abdul Mahdi ha annunciato che presenterà le sue dimissioni al parlamento. Alcune ore prima, nel suo sermone settimanale, la massima autorità religiosa del Paese, lo sciita al-Sistani, aveva chiesto un cambiamento di leadership. Detto, fatto: nel suo comunicato Abdel Mahdi ha detto “di aver ascoltato con grande preoccupazione” le parole di al-Sistani e di aver preso questa decisione in risposta al suo appello così da “facilitare e sveltire il suo adempimento al più presto possibile”. La decisione giunge dopo la giornata di sangue di ieri durante la quale sono stati uccisi più di 50 dimostranti dalle forze di sicurezza irachene.

Le dimissioni di Abdul Mahdi sono state accolte a Baghdad con canti e gioia a Piazza Tahrir, centro delle proteste anti-governative. Tuttavia i manifestanti hanno subito ribadito che la loro lotta continuerà finché tutte le loro istanze non verranno implementate. “La condizione è che tutti i partiti se ne vadano. Non sono più accettabili. Tutti hanno preso parte agli omicidi criminali di dimostranti” ha detto uno di loro intervistato da al-Jazeera.

Fonte

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