Quanto si è palesato per le strade della Capitale il giorno della Festa della Repubblica va compreso molto bene, oltre quello che i media mainstream pompano oltre ogni ritegno.
L’idea che viene diffusa a piene mani è quella che il governo Conte debba mettere fine alla sua esistenza ed essere sostituito da un governo di unità nazionale – magari guidato da Draghi – per gestire la crisi economica e l’emergenza sociale che ne sta derivando. L’attuale esecutivo, reso poco credibile dalla presenza del M5S, non viene ritenuto adatto allo scopo e già da mesi veniva evocato Draghi come salvatore della Patria.
Paradossalmente su questo obiettivo convergono La Repubblica o il gruppo Cairo e la destra, la Confindustria e l’establishment europeo.
E tutti usano le piazze della destra, ma non solo, per dare l’immagine di una situazione insostenibile e che richiede un cambio di governo, già evocato prima dell’emergenza coronavirus e congelato proprio a causa della pandemia. Ma adesso che le restrizioni sono finite o ridotte, che la stessa percezione del pericolo viene relativizzata in mille modi (dai luminari della sanità privata ai fomentati del basta mascherine), il conto alla rovescia per il governo Conte ha acquistato velocità.
Che il clima politico e sociale in Italia sia rovente e che sia già conclusa la fase “unitaria dovuta all’emergenza Covid-19” lo ha notato rapidamente la stampa tedesca. Il 2 giugno, nota la Sueddeutsche Zeitung, “di norma non si protesta, ma questa volta la destra e i Gilet arancioni sono scesi in piazza per manifestare contro il governo e la sua gestione della crisi”.
Nella manifestazione della destra istituzionale lungo via del Corso, Forza Italia si è sentita un po’ tirata per i capelli dagli alleati Lega e Fratelli d’Italia ed è stata costretta a stare in piazza, ma lo giustifica come un tentativo di contenere la rabbia che sale nel paese. Lo ha spiegato Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, intervenendo ad “Agorà” su Rai Tre. “Certo a Roma qualche assembramento c’è stato, credo fosse inevitabile: ma come Forza Italia abbiamo avuto una grandissima attenzione e credo che lo stesso abbiano fatto i nostri alleati”, ha detto, spiegando che la volontà “era quella di rappresentare un’alternativa e non far scivolare il paese nel ribellismo o nella rabbia, sentimenti che ci sono: noi invece vogliamo rappresentare un’alternativa repubblicana al governo Conte”.
Ma le marce su Roma del 2 giugno, hanno trovato una visibilità enorme anche sui media “liberal” come quelli del gruppo Fiat/La Repubblica o La 7. Non solo quelle della destra istituzionale, ma anche quella della deep society, un fenomeno grigio, tendente al nero, che ha trovato nelle restrizioni sanitarie dovute alla pandemia un fattore detonante e che ha individuato nell’ex generale dei carabinieri Pappalardo il suo totem. “Siamo stati costretti a vivere nelle nostre abitazioni come reclusi mentre mascalzoni vendono il nostro paese alle potenze straniere. Mussolini durante la marcia su Roma non l’ha fermato nessuno, ma a noi ci vogliono fermare, hanno fermato i nostri pullman per non farci manifestare” ha detto il generale e leader dei Gilet arancioni Antonio Pappalardo dal palco di piazza del Popolo, dove ha replicato la manifestazione senza mascherine di Milano una settimana fa.
Ma questo movimento non ha trovato il gradimento dei neofascisti più strutturati. Uno dei caporioni di Casa Pound ha liquidato le sortite del generale Pappalardo come “una supercazzola”.
La settimana scorsa poi c’era stata la gazzarra in piazza organizzata da un raggruppamento che si definisce “Marcia su Roma”, evocando quella delle camice nere all’inizio del ventennio fascista. Anche questa, nonostante i numeri ridottissimi, aveva trovato ampia amplificazione in modo decisamente trasversale.
Infine l’offensiva della destra sulla Capitale sembra non essersi ancora conclusa. Come riferiamo in altra parte del giornale, il prossimo appuntamento lo stanno indicando alcuni settori degli ultras di varie curve in fortissimo odore di estrema destra.
Insomma, l’immagine che restituiscono queste piazze piene di risentimento sociale non vanno però oltre la declinazione degli interessi di precisi settori sociali penalizzati dalla recessione prima e dal lockdown poi: commercianti, artigiani, partite Iva, piccoli esercenti, ambulanti, fornitori di servizi marginali con un piede dentro e uno fuori le regole. Cioè di tutti coloro che non avevano l’autonomia economica per reggere a lungo neanche prima dell’emergenza sanitaria e che oggi hanno prospettive ancora più incerte. Dietro di loro soffiano sul fuoco gli interessi ben strutturati in Confindustria che punta a fare rubamazzo degli aiuti di Stato e di quelli europei.
Da queste piazze mancano ancora i lavoratori dipendenti pubblici e privati, gli operatori sanitari passati nelle trincee dell’emergenza pandemica, i disoccupati veri e propri. Da troppi anni questi interessi materiali hanno perso la loro rappresentanza politica organizzata. In parlamento e nel paese non ci sono più i “partiti dei lavoratori”, ci sono solo quegli altri.
Sta in questa assenza il buco da riempire e rapidamente. La lotta di classe, che qualcuno voleva liquidata, oggi infuria più feroce di prima, ma una delle parti in conflitto combatte con entrambe le mani legate dietro la schiena, viene continuamente imbrigliata in discorsi che ne confondono identità e coscienza sociale e ne indeboliscono le potenzialità.
Le piazze della destra preoccupano ma vengono strumentalizzate in modo trasversale. È urgente che altre piazze si manifestino creando un dualismo di interessi sociali e di potere politico. Arrivare ai passaggi decisivi dei prossimi mesi (a cominciare dalla Legge di Stabilità che disegnerà le priorità sociali) non con le mani legate, ma con le mani pienamente disponibili, potrebbero essere non solo utile ma indispensabile.
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