Ulteriori sviluppi, in Lombardia, della vicenda legata alla fornitura alla Regione di una grossa partita di camici, calzari e cuffie da parte della Dama, ditta di proprietà del cognato (e in parte della moglie) del presidente regionale Fontana.
Infatti, mentre il presidente Fontana continua a rifiutarsi di riferire sulla questione al Consiglio regionale, sono sempre più insistenti le voci che sostengono ci sia stato un “suggerimento” di Fontana al cognato nella trasformazione della fornitura da vendita a “donazione”, dopo che il Fatto Quotidiano e Report avevano cominciato a occuparsi del caso.
Inoltre, la Magistratura vuole capire perché, dopo che avvenne tale singolare trasformazione nella causale della fornitura, la ditta Dama interruppe le consegne. Tra l’altro, negli archivi della Regione si trova lo storico della proposta di vendita da parte di Andrea Dini, amministratore della Dama e cognato di Fontana e del successivo ordine da parte di Aria, agenzia regionale per gli acquisti, ma non risulta nemmeno iniziata una procedura di donazione. Infatti, fare una donazione a un ente pubblico come la Regione implica una serie di passaggi burocratici e amministrativi precisi di cui, al momento, non si trova alcuna traccia.
Nel frattempo, è giunta notizia che il Direttore Generale di Aria, Filippo Bongiovanni, indagato insieme a Dini, ha chiesto alla Regione di essere destinato ad altro incarico. In pratica, delle dimissioni, seppure formulate in modo inusuale, che sembrano annunciare una presa di distanza dell’alto funzionario dalla gestione della sanità lombarda.
Bongiovanni potrebbe essere interrogato dai magistrati milanesi anche sulla trasparenza di altri acquisti fatti da Aria, che durante l’emergenza Covid furono effettuati per un montante di miliardi e quasi tutti, data l’urgenza, senza bando di concorso. La Guardia di Finanza ha già acquisito un’ampia documentazione su tali acquisti durante la perquisizione effettuata presso la sede della regione Lombardia.
Acque sempre più agitate anche per l’assessore Gallera, ormai in palese difficoltà, vengono dalla tragica vicenda dei pazienti Covid positivi ricoverati nelle RSA. Infatti gli investigatori del nucleo di polizia economico finanziaria, durante una perquisizione al Pio Albergo Trivulzio, su ordine della Magistratura milanese, hanno raccolto documenti secondo cui tali pazienti non sarebbero stati 147, come sostiene Gallera, ma molti di più.
Il Pio Albergo Trivulzio, durante i mesi più duri della pandemia, operava da centro di smistamento dei pazienti che venivano dimessi dagli ospedali, perché ormai senza sintomi, ma ancora con carica virale, quindi potenzialmente contagiosi. Tali pazienti sarebbero stati almeno 7500, di cui 4700 positivi a bassa intensità e 2800 negativi (ma senza essere stati sottoposti alla prova del doppio tampone).
Resta da accertare quanti di questi pazienti siano stati effettivamente dirottati nelle RSA e in altre strutture sanitarie, ma è evidente che la cifra di soli 147 non è assolutamente credibile. Questo trasferimento, deciso con un’ordinanza regionale dell’8 marzo ha provocato la strage di anziani nelle RSA lombarde, poiché pazienti ancora contagiosi sono stati posti in strutture in cui si trovavano persone a rischio, evidentemente senza le tutele sanitarie opportune.
È normale che di fronte a tutto ciò aumenti l’inquietudine e l’insoddisfazione dei pazienti della vittime, che temono che tutto possa finire con inchieste addomesticate, come quella della Commissione Regionale sul Pio Albergo Trivulzio, sulla quale le famiglie dei deceduti hanno espresso il loro totale dissenso, precisando la loro solidarietà ai lavoratori e la critica alla gestione sanitaria regionale.
Anche per questo il Comitato “Noi denunceremo”, che raggruppa famiglie di deceduti della bergamasca, ha deciso di inoltrare una lettera alla Presidente della UE Von der Leyen e al Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Robert Ragnar Spanò perché, sostengono, nella vicenda bergamasca e lombarda si potrebbero configurare reati ascrivibili a “crimini contro l’umanità”.
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