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27/09/2020

Dopo la Brexit, dove va la finanza europea?

“Non ci possiamo permettere di essere l’unico grande blocco economico nel mondo con un settore finanziario sottosviluppato”, afferma un rappresentante della Commissione Europea. Il divorzio da Londra ha di fatto accelerato il progetto di un polo finanziario della UE autonomo dalla City, da cui passano all’oggi un terzo delle attività dei mercati finanziari globali.

Non un compito semplice, ma necessario, considerate le conseguenze per l’Unione.

Valdis Dombrovskis, vice-presidente della Commissione Europea e supervisore dei regolamenti finanziari ne è pienamente conscio: ”certamente il fatto che il più imponente centro economico europeo abbia lasciato l’Unione e sia sul punto di uscire anche dal mercato unico, avrà forti ripercussioni”.

Anche se questo comporta per ora “fare a sportellate” con il Regno Unito, limitandone le prerogative di cui aveva goduto fin qui.

Lo impone una visione di lungo periodo che bypassi i traumi della transizione e ricomponga una quadro centrale frammentato, nella direzione di una maggiore autonomia da Londra e di una centralizzazione di questa funzione essenziale per ogni competitor globale degno di questo nome.

In questa ridefinizione delle gerarchie delle borse a livello continentale è chiaro che si amplierà la distanza tra un centro – collocato presumibilmente all’interno del perimetro franco-tedesco – ed una periferia, “degradando” quelli che erano comunque poli importanti della finanza e quindi, con ogni probabilità, ridimensionando la valenza di attrattori di capitali e di vettori complessivi di sviluppo; si pensi in Italia a Milano.

Non sarà una passeggiata, visto il ruolo predominante che svolge Londra – si pensi al ruolo di “copertura” degli investimenti in derivati finanziari, pari ora al 90% di quelli europei – ma più grande è stata la dipendenza da Londra, più deciso dovrà essere lo slancio per liberarsene.

“Questa dipendenza strategica però, ha reso Bruxelles, fortemente spalleggiata dalla Francia, ancora più determinata nella costruzione di una capacità di compensazione propria europea”, afferma l’autore dell’articolo del «Financial Times» che abbiamo tradotto, “Brexit and the City: Brussel’s new battle to rival London in finance”.

Il ruolo di Parigi – non a caso la più intransigente con Londra negli estenuanti colloqui sulla Brexit – è giustamente evidenziato da Fleming, Brunsden e Stafford, sottolineando le differenze con atteggiamenti più conciliatori.

Le istanze decisionali della UE sono chiamate ad una trasformazione della propria governance finanziaria, considerati anche gli scenari di non facili rapporti con gli USA – in specie in caso di conferma di Trump alla Casa Bianca – e l’ascesa della Cina come piazza finanziaria dal peso accresciuto, e dunque catalizzatore di investimenti finanziari colossali.

Qui siamo di fronte ad una contraddizione evidente: la necessità di apertura dei mercati si scontra con il processo di chiusura dei maggiori blocchi geopolitici, all’interno di una competizione che diventa sempre più antagonismo e mina alla base la globalizzazione neo-liberista per come l’abbiamo conosciuta.

Il mercato comune è uno degli aspetti strutturanti del progetto dell’Unione Europea, ora si tratta di fare un “salto di qualità” nella direzione di un mercato finanziario unico e transnazionale, con regole comuni.

“C’è bisogno di uno di uno sforzo molto chiaro e coordinato che parta dal livello politico più alto dell’Europa”, afferma un responsabile del settore finanziario.

A vantaggio delle oligarchie europee, aggiungiamo noi, e a detrimento di tutti gli altri a cominciare dalle classi subalterne – ma anche di pezzi di “ceto medio residuale” – dei Paesi della periferia continentale.

Buona lettura.

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Entro poche ore dal risultato del referendum per la Brexit nel 2016, Jason Waight, insieme ai collaboratori della piattaforma di trading economico MarketAxess, si sono incontrati nei loro uffici a Londra per discutere l’apertura di una nuova filiale nell’Europa continentale.

La decisione era inevitabile, dice, essendo chiara la necessità di assicurare che i clienti dei paesi europei non subissero l’interruzione dei servizi come conseguenza della decisione del Regno Unito di lasciare l’edificio europeo.

E mentre si avvicina il divorzio del Regno Unito dal mercato unico, alla fine di dicembre, Waight afferma che la spinta esercitata da Londra resta innegabile – cosa che costringerà le ambizioni europee a promuovere il controllo sulle attività finanziarie.

“Sarebbe un’impresa enorme cercare di replicare la grande portata e la complessità di ciò che accade a Londra”, dice Waight, a capo dei regulatory affairs in Europa. “È una questione di peso e “forza gravitazionale”. C’è una profondità di esperienza e portata che non può essere smossa facilmente, neanche se uno lo volesse.”

Questa non è una richiesta che trova la necessaria accoglienza tra le capitali europee, perché sono impegnate in un sempre più intenso dibattito riguardo al grado di dipendenza da Londra come cardine centrale finanziario del continente per gli anni a venire.

La Commissione Europea darà il via nei prossimi giorni ad un nuovo tentativo per rilanciare un suo mercato dei capitali. Questo è un progetto che è stato incluso nello slancio europeo verso una più efficiente “economia strategica”, date le evidenti le debolezze che la pandemia del Covid-19 ha messo in luce, come anche l’accesa rivalità tra Stati Uniti e Cina.

Lo stato delle relazioni con il Regno Unito, sempre più guastato nelle ultime settimane, ha rafforzato il proposito dell’UE di reggersi in piedi da sola (almeno così dicono i suoi funzionari).

La decisione di Londra di svincolarsi dalla legge internazionale (gli accordi con Bruxelles) intacca ulteriormente l’intenzione da parte dell’UE di proporre al Regno Unito l’accesso al mercato finanziario – oppure l’equivalenza – per i settori fondamentali.

“Non ci possiamo permettere di essere l’unico grande blocco economico nel mondo con un settore finanziario sottosviluppato”, commenta un rappresentante della Commissione Europea.

“La crescita degli scorsi giorni e settimane non ha rassicurato sul fatto che si possa costruire un rapporto economico con l’Inghilterra che sia basi sulla fiducia. Nessuno sta parlando di non fare più affari con il Regno Unito; Londra resterà un centro finanziario globale, c’è da vedere a quali condizioni”.

Centri finanziari frammentati

L’UE ha fatto numerosi tentativi, nel corso degli anni, per rinforzare i suoi centri economici – ma ha faticato molto a registrare un avanzamento significativo. Trasformare il mix delle più piccole capitali finanziarie in un sistema di prim’ordine è più facile a dirsi che a farsi, e non richiederà solo una strategia più chiara da parte dell’UE, ma anche un miglior coordinamento internazionale.

Nei prossimi giorni la Commissione Europea svelerà il suo ultimo tentativo di fondere insieme i diversi mercati e librare il canale che porta soldi dagli investitori alle imprese, con un piano di riforme che includono l’incremento della supervisione sul mercato europeo – azione diventata necessaria dopo lo scandalo tedesco del caso Wirecard.

Valdis Dombrovskis, vice-presidente della Commissione Europea e supervisore dei regolamenti finanziari, ritiene che sia fondamentale per l’UE raggiungere la condizione che le permetta di essere in grado di fare tutto ciò di cui Londra è capace.

“Questo è il nostro obiettivo, avere i mercati che possano aiutare l’economia e le compagnie europee. Il progetto Capital Markets Union è antecedente alla Brexit, ma certamente il fatto che il più imponente centro finanziario europeo abbia lasciato l’Unione e sia sul punto di uscire anche dal mercato unico, avrà forti ripercussioni”.

Per ora Londra rimane il fulcro finanziario dominante del continente rappresentando, secondo il gruppo inglese di esperti del New Financial, poco meno di un terzo dell’attività di tutti i mercati finanziari.

D’altra parte, invece, l’attività in Europa è frammentata, con i centri economici che scarseggiano di scambi commerciali e di una buona parte di servizi legali e di consulenza che conferiscono a Londra la sua importanza globale. Francoforte e Parigi possiedono la propria industria bancaria, Dublino e Lussemburgo sono, invece, centri di investimento, mentre Amsterdam ospita alcuni dei più grandi investitori.

Michel Barnier, capo europeo della negoziazione per la Brexit, ritiene che l’UE non possa lasciare le cose così come stanno. Ha inoltre sottolineato il fatto che il blocco europeo farebbe uno sgarbo a sé stesso se permettesse a Londra di mantenere i benefici del mercato unico, anche se mettere delle barriere implicherà costi aggiuntivi per le stesse compagnie europee.

“Dobbiamo guardare oltre i costi di adattamento a breve termine, verso i nostri interessi a lungo termine”, sono state le parole di Barnier a giugno. “Ci dobbiamo chiedere se è veramente nell’interesse dell’UE che il Regno Unito mantenga una posizione così di spicco.”

Trovare l’”equivalenza”

Questo modo di pensare ha favorito l’avvicinamento alla posizione di Bruxelles nelle discussioni sulla Brexit, accompagnando anche il dibattito sul fatto che l’UE non può lasciare la stabilità del suo sistema finanziario ostaggio degli sviluppi regolativi in un Regno Unito determinato a liberarsi delle regole comunitarie.

L’Unione Europea ha insistito, fin dall’inizio della negoziazione, sul fatto che il futuro accesso al mercato dovrebbe essere determinato dalle decisioni indipendenti, di ciascuna parte, di concedere i permessi, basandosi sulla qualità della regolamentazione e supervisione dell’altra parte.

In questo modo Bruxelles può, per esempio autorizzare compagnie europee a scambiare azioni nelle sedi in altri paesi, oppure di utilizzare le infrastrutture critiche per gestire i rischi. Questo è un approccio che l’Unione Europea ha già con altri paesi, inclusi gli Stati Uniti e Singapore, e si basa su un insieme di provvedimenti frammentari distribuiti in diverse leggi Europee.

L’industria finanziaria inglese contesta il fatto che il sistema, conosciuto come “equivalenza” nel gergo europeo, è per natura instabile – l’accesso può essere ritirato dall’UE con un preavviso di 30 giorni e senza ricorso.

I funzionari dell’Unione Europea sostengono che ogni altro approccio dovrebbe sempre basarsi sull’equivalenza, considerata la decisione della Gran Bretagna di lasciare il mercato unico e dare priorità alla propria autonomia regolativa rispetto ai (vicini) vincoli economici.

Nella pratica, l’UE si è impegnata fermamente sin dal 2016 per rendere l’equivalenza più difficile da garantire, in particolare incrementando le richieste di supervisione sulle attività negli altri centri finanziari.

Esponenti dell’Unione affermano che i cambiamenti erano necessari alla preparazione della Brexit.

Il blocco europeo ha inoltre assunto una posizione sempre più aggressiva rispetto a quali diritti di accesso dovrebbero essere concessi all’UK.

Prima di quest’anno, come parte del lavoro di valutazione di Bruxelles per l’equivalenza del Regno Unito, gli esponenti inglesi hanno riempito 2.500 pagine di questionari riguardo i futuri piani di regolamentazione del Paese, solo perché la commissione rivelasse – con una nota a fondo pagina nel documento sulla Brexit di luglio – che le autorizzazioni d’accesso, in cima alla lista delle richieste del Regno Unito, erano “fuori dal tavolo” (fuori discussione) in quel momento.

La famigerata nota 21 comunicava che Bruxelles non avrebbe concesso diritti di accesso in tutta l’Europa, “a breve o medio termine”, per aziende situate nella City.

Dombrovskis ha dichiarato che il ritardo è stato logistico – L’UE ha una nuova legislazione in quell’area. I rappresentanti europei però riconoscono privatamente dei reali dubbi riguardo al dare all’Inghilterra una ricompensa, considerate le ambizioni del blocco continentale di sviluppare il proprio settore finanziario.

Accesso al mercato

La resistenza dell’Unione Europea verso “l’ordinaria amministrazione”/“alla vecchia maniera” è al suo massimo nella delicata area delle camere di compensazione: istituzioni sistematicamente importanti che prevedono gli effetti di un default, per crolli nel sistema finanziario.

La capitale inglese domina sulla compensazione dei derivati, e gestisce la fetta maggiore dei 735 miliardi di euro circolanti nel mercato europeo. La LCH, camera di compensazione della London Stock Exchange Group, tratta circa il 90% delle transazioni di scambio europee.

L’eurozona offre poche sedi alternative che possano far fronte a questo volume di affari, e sia la Banca Centrale Europea sia la Banca d’Inghilterra hanno avvertito riguardo alla minaccia alla stabilità finanziaria, se Londra dovesse improvvisamente perdere la sua posizione.

Questa strategica dipendenza però, ha reso Bruxelles, fortemente spalleggiata dalla Francia, ancora più determinata nella costruzione di una propria capacità di compensazione europea.

La soluzione proposta, scelta dalla Commissione Europea, consiste nel consentire alle banche del blocco europeo un accesso continuo alle camere di compensazione inglesi fino a metà del 2022, aumentando nel frattempo le sollecitazioni per il trasferimento delle attività in Europa.

L’Unione Europea si è impegnata negli scorsi anni ad attrezzarsi con gli strumenti di regolamentazione per fare ciò. Nel 2019 è stata emanata una riforma che autorizza Bruxelles a giudicare se una clearing house è così “sistemica” da dover essere autorizzata ad avere clienti europei se trasferisce le attività in Europa – misura largamente intesa come mirata alla LCH.

Ci sono stati indizi di misure più restrittive anche in altre aree. La European Securities and Markets Authority, società europea con sede a Parigi, ad agosto ha richiesto che il blocco europeo stabilisse limiti più chiari riguardo la misura in cui i fondi d’investimento possono risiedere in Europa ed essere amministrati dall’esterno.

In Inghilterra, questa impostazione ha generato il dubbio che Bruxelles consideri le decisioni sull’equivalenza come strumenti di politica industriale, piuttosto che per la stabilità finanziaria. “L’UE le vede un po’ come un gioco a somma zero, con cui possono incrementare l’attività interna costringendo a trasferimenti fuori dall’UK.”

All’interno dell’Unione ci si chiede quanto a lungo si dovrà percorrere questa strada. La Francia ha promosso una linea restrittiva verso il Regno Unito, in quanto cerca di rinforzare Parigi, mentre il Lussemburgo ha chiesto che venga mantenuto un ponte tra Londra ed i centri economici europei.

Simili dibattiti interni danno forma allo scenario per l’inserimento delle decisioni sulle condizioni di accesso, che l’Unione Europea deve prendere nei prossimi mesi, incluse riforme di leggi e regolamenti sullo spostamento di azioni e derivati e gestione dei fondi speculativi.

I rappresentanti europei sottolineano che, in ogni caso, i rapporti con Londra saranno ancora molto importanti all’interno di un mondo finanziario interconnesso, in cui le compagnie europee si procurano servizi da tutto il globo. Sono in gioco la facilità di accesso e le aree in cui l’UE vuole sforzarsi di competere.

Stéphane Boujnah – capo esecutivo dell’Euronext, che gestisce i maggiori scambi azionari di Parigi, Amsterdam, Dublino, Bruxelles, Lisbona e Oslo – pone l’accento sul fatto che l’Unione Europea vuole mantenere i contatti con gli altri centri d’interesse finanziario, fin quando questi si attengono alle regole.

Dice: “Tutti vogliono un mercato aperto dei capitali. Nessuno sta suggerendo (l’UE dovrebbe) di costruire una fortezza europea.”

Le banche, inoltre, vogliono mantenere la frammentazione al minimo. Secondo Pablo Portugal, amministratore delegato alla Association for Financial Markets in Europe, “imposizioni sovrapposte e competitive sugli scambi in Europa e Regno Unito avrebbero un impatto negativo per gli investitori europei, con rischio di incertezza nell’adattamento, costi maggiori di esecuzione e impossibilità ad accedere a prezzi e volumi migliori“.

Unione dei mercati

Parallelamente alle delibere sull’UK, l’Unione Europea ha bisogno di far crescere le capacità dei propri mercati. L’idea di promuovere i centri finanziari, stimolando l’attività internazionale e fondendo i diversi mercati, è stata l’operazione vincente delle varie amministrazioni di Bruxelles negli scorsi 20 anni.

Tuttavia, per dirla in modo gentile, il progresso è stato ineguale.

Il blocco ha avuto successo nel liberalizzare gli scambi finanziari all’inizio del secolo, usando la regolamentazione per infrangere i monopoli degli scambi nazionali. Ha fallito, però, nella costruzione di gruppi di capitali compatti, internazionali, come quelli in Inghilterra e Stati Uniti.

L’emissione delle azioni societarie ed il valore dei fondi di investimento, stando ai dati riportati dal New Financial, sono cresciuti più velocemente nei paesi dell’Unione Europea che nel Regno Unito, tra il 2015 ed il 2019. D’altra parte, invece, Londra domina sugli altri piani di mercato. Possiede il 43 percento del mercato globale del commercio estero, e metà del mercato degli scambi, di cui il resto è per lo più spartito tra New York e l’Asia.

Negli scorsi anni, Bruxelles ha cercato di progredire rispetto alla costruzione di un’”unione dei capitali di mercato”, ma le assistenze finanziarie professionali lamentano il fatto che le proposte scarseggiavano in cambiamenti, politicamente complessi, ma logisticamente necessari, come l’armonizzazione delle insolvenze e delle leggi sulla sicurezza.

Thomas Wieser, portavoce della politica economica europea, che di recente ha condotto un’ispezione sull’unione dei mercati, ritiene che l’UE debba essere ancora più ambiziosa.

“Fino ad adesso ci sono state solo tre nazioni dell’UE con capitali finanziari compatti e stabili: Regno Unito, Svezia e Olanda. E il più importante ha lasciato l’UE”, afferma. “Il modo per realizzare l’unione dei capitali di mercato è rendere l’Europa un polo ancora più attrattivo, per mettere a profitto capitali – e ciò non può essere realizzato attraverso qualunque politica discriminatoria venga introdotta contro il Regno Unito.”

Una parte centrale delle proposte presentate dalla Commissione, nei prossimi giorni, sarà costituita da un nuovo tentativo di standardizzare le modalità con cui i supervisori faranno rispettare le normative dell’UE per il mercato finanziario, e di discutere se assegnare una maggiore responsabilità su questo argomento a livello europeo. I funzionari affermano che ciò è quanto mai necessario, data la natura multipolare del sistema finanziario dell’UE post-Brexit, con una serie di poli di media importanza.

Nicolas Véron, dell’Istituto Peterson per l’Economia Internazionale di Washington, afferma che l’UE deve andare avanti, dando priorità ai suoi disegni per una cosiddetta unione bancaria, che miri a rafforzare e ad integrare (forse unificare) il settore bancario del continente.

Egli sostiene che la recente decisione dell’UE di puntare sull’emissione massiccia e centralizzata di debito, promossa dalla commissione all’interno dei piani per la ripresa post-Covid 19, rappresenta un decisivo passo in avanti verso una “condivisione di rischio finanziario” transnazionale, andando ulteriormente a supportare la causa dell’integrazione finanziaria.

“Morale della favola è che abbiamo ancora un sistema finanziario frammentato”, continua Véron. “Un’unione del capitale finanziario implica un unico spazio finanziario, che non si può avere senza unione bancaria.”

Ciò presuppone che l’UE converga su un’agenda coraggiosa, che metta da parte gli interessi locali. Alcune delle più importanti aziende che recentemente sono approdate in centri finanziari come Amsterdam si mostrano scettiche.

“Sarebbe molto complicato creare un mercato finanziario che funzioni adeguatamente se cinque o sei giurisdizioni combattono fra loro per ogni minuzia”, afferma Enrico Bruni, responsabile della Tradeweb per i mercati dell’Europa e dell’Asia, che adesso opera nella città olandese in seguito al voto sulla Brexit.

“C’è bisogno di uno di uno sforzo molto chiaro e coordinato che parta dal livello politico più alto dell’Europa”.

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