Ed eccoci all’ennesima puntata della crociata contro il mondo del
lavoro. Se qualche giorno fa le bellicose intenzioni contro i lavoratori
erano emerse dalle parole del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi,
ora è il turno del Ministro Gualtieri che ci mostra la posizione di
questo Governo riguardo al mercato del lavoro e agli ammortizzatori
sociali.
La sostanza del discorso di Bonomi
era, nella sua semplicità, una vera e propria dichiarazione di guerra,
riassumibile pressappoco così: gli ammortizzatori sociali, ossia tutto
quell’insieme di misure di sostegno al reddito per coloro che si trovano
in una condizione di disoccupazione,
sono ancora troppo legati all’idea della conservazione del posto di
lavoro. Occorrerebbe quindi passare a un sistema che abbia l’obiettivo
di permettere all’azienda di sbarazzarsi con maggiore facilità dei
lavoratori ritenuti non più necessari. Il lavoratore che perda il
lavoro, dunque, nella proposta di Confindustria, dovrà rimettersi sul
mercato del lavoro e, magari, formarsi per ridiventare utile al sistema
produttivo.
Proprio a questa filosofia sembra ispirarsi il Ministro dell’Economia Gualtieri nelle sue recenti dichiarazioni.
Ma per capirne il significato riavvolgiamo il nastro e partiamo dalla
realtà attuale degli ammortizzatori sociali in Italia. Durante il lockdown, conil ‘decreto Cura Italia’ e il ‘decreto Rilancio’,
il Governo aveva esteso sostanzialmente a tutte le aziende la
possibilità di far ricorso ai trattamenti di integrazione salariale, la
cosiddetta cassa integrazione normalmente limitata a
determinati settori produttivi e ad aziende con più di 15 dipendenti.
Ricordiamo che la cassa integrazione è quell’istituto consistente in
un’erogazione di denaro da parte dell’INPS in caso di crisi aziendali
sostitutiva dello stipendio, e che consente di mantenere il posto di
lavoro fino a ripresa ordinaria dell’attività produttiva. Accanto
all’estensione della cassa integrazione, era stato poi introdotto il blocco dei licenziamenti per
giustificato motivo oggettivo. In questo modo si perveniva a una sorta
di accordo: non licenziate i lavoratori e il Governo vi sosterrà
aiutandovi a pagare gli stipendi.
Con il recente ‘decreto agosto’, però,
le cose cambiano profondamente. Da un lato, la scadenza del divieto di
procedere al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo
viene resa, in un certo senso, mobile. Con il ‘decreto Rilancio’ di
maggio, infatti, il divieto di licenziamento era valido fino alla data
del 17 agosto 2020. Con il nuovo decreto, invece, viene stabilita la
regola che sarà impossibile procedere a questo tipo di licenziamento
fino all’esaurimento delle diciotto settimane di cassa integrazione
previste dalla legislazione vigente. Ciò implica che nel mese di
novembre 2020 il divieto di licenziamento comunque cesserà definitivamente per tutte le imprese.
Nel decreto di agosto viene
introdotta, inoltre, una clausola per la quale le aziende che vorranno
accedere alla cassa integrazione (per un periodo ulteriore rispetto alle
prime nove settimane) dovranno pagare una contribuzione aggiuntiva.
Tale contribuzione sarà pari al 9% della retribuzione che sarebbe
spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, per quelle
aziende che abbiano fatto registrare riduzioni di fatturato, nel periodo
gennaio-giugno 2020 rispetto allo stesso semestre del 2019, inferiori
al 20%. Per le aziende che, invece, non hanno subito alcuna riduzione di
fatturato, la contribuzione aggiuntiva è pari al 18%.
A questo punto ci si potrebbe
interrogare sul perché di questi paletti alla cassa integrazione.
Trovare una risposta, purtroppo, è facile: senza denari non si cantano messe. E, a dispetto delle fanfare con cui sono stati accolti gli strumenti europei del Recovery Fund e
del SURE, il prestito destinato proprio a finanziare la cassa
integrazione, è evidente che questi ultimi costituiscono strumenti del tutto insufficienti a sostenere le economie dei Paesi così profondamente colpiti dalle conseguenze della pandemia. Insufficienti e legati a
pesanti condizionalità riassumibili con la solita solfa: austerità e
riforme a favore del capitale. Ed ecco che per finanziare gli interventi
di integrazione salariale è necessario trovare risorse aggiuntive.
Ma questa novità ha dato una bella
idea all’attuale compagine di Governo: perché non sfruttare l’occasione
per rendere sistematica la contribuzione aggiuntiva per poter usufruire
della cassa integrazione? E allora ecco la proposta di
Gualtieri: “stop alla cassa integrazione generalizzata e gratuita per
tutti come durante il lockdown”. Dal 2021 si paga. E, per quel che
riguarda una più generalizzata riforma degli ammortizzatori sociali,
l’obiettivo è quello di investire sulle “deficitarie politiche attive
del lavoro”.
In altri termini, dopo aver messo
sostanzialmente la parola fine sul blocco dei licenziamenti con il
‘decreto agosto’, Gualtieri si impegna a realizzare la seconda parte
della lista dei desideri di Confindustria: disincentivo a utilizzare la
cassa integrazione e maggiori risorse dedicate alle politiche attive. Se
è vero che il disincentivo all’uso della cassa integrazione sarebbe
legato a un contributo a carico delle imprese, e questo in qualche modo
sposterebbe in piccola parte l’onere dell’istituto dalla collettività al
capitale, allo stesso tempo è evidente che le imprese non avendo alcun
obbligo di far ricorso alla cassa integrazione in caso di crisi
aziendale e potendo ricorrere al licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, sarebbero incentivate a sbarazzarsi della forza lavoro in
eccedenza puntando poi, nella fasi di ripresa, a riassunzioni molto
convenienti di altri lavoratori formati a spese della collettività
tramite le promesse politiche attive del lavoro.
A differenza della cassa integrazione, queste politiche non
comportano la continuità del rapporto di lavoro e, anzi, servono a
fornire ai lavoratori una formazione in funzione delle necessità delle
imprese senza alcuna garanzia occupazionale, lasciando così all’impresa
un enorme margine di flessibilità nella determinazione dei livelli
occupazionali di periodo in periodo.
E così, mentre si piccona, pietra dopo
pietra, il sistema degli ammortizzatori sociali disincentivandone l’uso
e favorendo di fatto il ricorso ai licenziamenti, ci si lega a un
futuro di ulteriore austerità e di maggiore precarietà del posto di
lavoro. Il tutto con l’obiettivo di rendere i lavoratori sempre più
ricattabili e scaricare su di loro il peso dell’incertezza derivante
dalle conseguenze della crisi economica in atto.
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