di Mauro Baldrati
Il
21 agosto, un venerdì, ho scritto una mail – corredata da queste foto –
al Comune di Casalecchio di Reno (BO), all’attenzione dell’assessore
all’Ambiente: “Gentile dottoressa, a Cesenatico, dove mi trovo, nel
parco del Levante ci sono queste postazioni, piccole palestre
all’aperto, molto utilizzate. Perché nel parco Talon, visto che ora è un
insieme di prati, non ne impiantate di simili? Il parco è frequentato
da sportivi, e penso che la cosa sarebbe molto apprezzata.
Cordiali saluti.”
A tutt’oggi non c’è risposta. Ma è normale. Questo comune ha la
caratteristica di non rispondere alle mail. Un anno fa ne ho inviata
un’altra al settore Lavori Pubblici che recitava: “Ma come avete potuto
permettere all’impresa che ha effettuato gli scavi per le canalizzazioni
della fibra di ricoprire gli stessi col cemento e non con l’asfalto?
Ora si sta spaccando, e sarà necessario rifare il lavoro.”
Nessuna risposta. Anzi, il comune ha eliminato i link dei settori
dall’home page, così se qualcuno vuole scrivere o telefonare alla
Cultura, all’Ambiente, deve procurarsi i recapiti per conto suo. È un
segnale. Un segnale di modernità. Infatti l’ente pubblico si ritira, dai
territori, dai cittadini, che probabilmente sono visti come
rompiscatole, portatori di richieste e osservazioni “basse”, che
disturbano il manovratore.
Questa modalità si è estesa a tutto il paese, in tutti i settori.
Visto che siamo tutti scrittori, è arcinoto che gli editori e gli agenti
non rispondono alle mail. Viene da dubitare della loro stessa
esistenza. O meglio, gli agenti talvolta rispondono, specialmente quelli
medi o piccoli, ma chiedono compensi per valutare le opere. Poi, si
vedrà.
E pensare che io, che ho attraversato vari periodi storici, gli anni
Sessanta, Settanta, Ottanta (dei Novanta e 00 cosa si può dire?), ho
avuto la fortuna di conoscere l’era antica in cui tutti rispondevano.
Editori, critici, altri autori. E non con le mail, ma con lettere
scritte a mano o a macchina, affrancate e spedite.
Durante l’adolescenza scrivevo di getto, con una sorta di furore, dei
poemi con la modalità prosa spontanea, che copiavo da Jack Kerouac, uno
dei miei eroi, insieme a Allen Ginsberg e Henry Miller. Un giorno
decisi di spedirne uno a Fernanda Pivano, che aveva tradotto quasi tutti
i beat, e a Mario Praz, che aveva scritto l’introduzione al Tropico del Cancro. Della Pivano ero riuscito a procurarmi l’indirizzo, per Praz scrissi semplicemente sulla busta: Mario Praz c/o Accademia dei Lincei, Roma.
Arrivarono le risposte, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra.
La Pivano scriveva a macchina, Praz con la stilografica, con una
calligrafia chiusa, acuminata. La Pivano diceva che se volevo continuare
a scrivere dovevo rendere le mie emozioni, le mie storie, dopo averle
ripulite dalle scorie intimiste, universali. Così chi leggeva poteva
trovare, nella mia scrittura, emozioni e istanze sue. Per anni quelle
parole mi sono tornate alla mente, mentre cercavo la mia strada. E
ancora oggi le considero un insegnamento importante. Mario Praz scriveva
semplicemente che non capiva i giovani. Ci provava, si impegnava, ma
era inutile. Per lui eravamo dei mondi lontanissimi. Non era affatto
contento di questo. Lo considerava un suo limite, ma non riusciva a
superarlo.
Dunque questa è la situazione. Può peggiorare? Immagino di sì, visto
che sembra non esserci limite al peggioramento. Forse gli editori più
potenti si rinchiuderanno dentro cittadelle fortificate, con guardie
armate all’ingresso, assediate da folle di scrittori inferociti mutati
in zombies. E potrebbe verificarsi un’effrazione improvvisa che
manderebbe tutti nel panico: “È entrato uno scrittore!” Sirene,
guardiani armati di mitra a canna corta che corrono in tutte le
direzioni.
Pertanto,
cari scrittori e aspiranti tali, bisogna prenderne atto, e adeguarsi.
Ma come? Incazzandosi. Sì, è un sentimento non solo inevitabile, ma
utile. Ma quale tipo di incazzatura? Se non ha sbocchi rischia di
rivolgersi contro se stessi, provocando depressione, rancore, e malattia
che va ad aggiungersi ad altra malattia. Perché è risaputo che gli
scrittori sono quasi tutti dei sociopatici che reagiscono con la
fantasia ai problemi di rapporto con loro stessi e con gli altri.
Migliorano la realtà, senza uscire di casa, senza viverla veramente.
Invece, se proprio non si può fare a meno di perseverare, non c’è che
uno sbocco possibile. Gli editori e gli agenti vi ignorano? Non
continuate a insistere, ad aspettare risposte che non arriveranno. Loro
vi ignorano e voi ignorate loro. Anzi, cancellateli dalle vostre menti,
fate tabula rasa. Nessuna polemica coi vari vincitori dei campielli e
delle streghe, e coi grandi editori che pubblicano certi libri
fetentissimi. E se fossero creature virtuali create dai computer
quantici delle cittadelle fortificate?
Ovviamente detto così, col punto finale, significa qualcosa di molto
brutto. Significa la solitudine, privata e pubblica. Il vuoto,
l’oscurità. Invece bisogna lavorare. Come? Studiando, non solo
scrivendo.
Intanto bisogna capire come hanno fatto, i nostri antenati degli anni
Sessanta, Settanta e Ottanta, a creare un mondo parallelo alternativo.
Infatti questa era la parola: ALTERNATIVA. Quelli della controcultura,
del do it! si organizzavano. Fondavano dei movimenti di
assistenza e di supporto, distribuzione abiti, coordinamenti di
avvocati, giornali autogestiti, teatri, concerti. Il concetto era quello
di fondare cellule alternative sane in un organismo malato, che
diffondendosi potevano guarirlo.
Questa modalità è continuata nei due decenni successivi con l’underground, il do it yourself!
dei punk e della new wave, soprattutto nel campo della musica, che
resta un sistema di comunicazione universale, perché sconta in misura
minore il limite della lingua.
Per cui sarebbe interessante studiare i loro linguaggi, le loro
iniziative, cercando documenti e filmati. Esistono anche dei libri
utili, uno dei quali è il sempre attuale L’orda d’oro.
Ma non basta. Lo studio deve riguardare anche le opere. La ricerca
della propria strada non deve fermarsi. Questo è il punto più delicato.
Non è che il mitico esordiente una mattina scende dal letto, butta le
braccia in alto e grida alè!!! scriverò un libro che spacca!
Magari sì. Magari è nato un nuovo Rimbaud, ma c’è da dubitare
fortemente. Lo studio deve uscire dalle viscere, dallo stomaco, dallo
stato di esaltazione, e guardare i dintorni. Come sono i tempi, i
luoghi, i flussi? Cosa accade dentro il tempo morto, nello spazio
trafitto dalla deiezione umana e dai virus? Anche perché, rispetto agli
antenati, è sorto un nuovo problema. Anzi, IL problema: l’omologazione
di ciò che resta dei lettori. Gli antenati avevano un seguito, un
pubblico. Avevano i cittadini del mondo alternativo. Oggi, sembra che il
pubblico moderno si precipiti negli store per allungare la mano verso
le gigantesche pile dei colibrì e compagnia bella. Quella è la merce che
bisogna comprare. Che deve essere non solo letta, ma piaciuta.
Poi, a quel punto, poiché lo stato delle cose riguarda anche gli
editori minori, che cercano di sopravvivere all’esterno della
cittadella, potrebbe nascere un consorzio di tutela, tipo quello del
Parmigiano. Una gabbia per le copertine uguale per tutti, con libertà di
immagini, di grafica, di titolo e, in basso, la dicitura Editori Alternativi, seguita dal nome dell’editore affiliato al consorzio. Per esempio, Gli Imperdonabili, hanno elaborato un decalogo
con le istruzioni per scrivere narrativa. Si può non essere d’accordo,
si può non adottarlo, ma l’idea di un gruppo di tipi che scrivono in
modalità collettiva è intrigante. Il tutto sotto l’ombrello del
consorzio. Un marchio di identità e di qualità.
È un sogno?
Chissà.
Però sarebbe l’inizio di una costruzione, una fondazione, una macchina da guerra.
E come in ogni guerra è indispensabile studiare anche il Sun Tzu.
L’arte di combattere senza combattere.
Fonte
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