La condanna dei dazi americani sulle importazioni cinesi, emessa
questa settimana dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO),
potrebbe aprire una nuova linea d’attacco per l’amministrazione Trump
contro le strutture sovranazionali e le norme che regolano gli scambi
internazionali. Anche se la conclusione del tribunale del WTO
rappresenta dal punto di vista legale una sconfitta per Washington, è
infatti fuori discussione che la Casa Bianca possa decidere di adeguarsi
in un futuro più o meno lontano.
La procedura di arbitrato era scaturita dalla denuncia della Cina
contro l’imposizione di tariffe doganali su beni esportati verso gli
Stati Uniti per un totale di 200 miliardi di dollari. Nel 2018, Trump
aveva preso il primo di una serie di provvedimenti di questo genere per
punire quella che riteneva una condotta commerciale penalizzante per gli
interessi americani e altre pratiche attribuite alla Cina, come il
furto di proprietà intellettuale e il trasferimento forzato di
tecnologia delle compagnie USA operanti in territorio cinese.
L’iniziativa di Trump era sembrata da subito poggiare su basi molto
fragili e il verdetto del WTO lo ha appunto confermato. I dazi si
rifacevano alla sezione 301 del Trade Act del 1974, che assegna al
presidente la facoltà di imporre misure commerciali punitive contro
paesi il cui comportamento viene considerato in violazione degli accordi
commerciali esistenti o che sono comunque impegnati in pratiche
commerciali “scorrette”.
Il WTO si è dunque espresso accogliendo il ricorso di Pechino. Gli
Stati Uniti non hanno infatti dimostrato che le misure adottate
giustifichino una deviazione dalle norme fissate dalla stessa
Organizzazione del Commercio. Nello specifico, le tariffe doganali
americane violano il principio della “nazione più favorita” che si
applica a tutti i membri del WTO. La decisione di far pagare dazi più
alti a un solo paese – la Cina – e non a tutti gli altri risulta dunque
illegale.
Gli esperti di diritto commerciale hanno fatto notare come sia
risaputo che le norme della sezione 301 del Trade Act, ampiamente
utilizzata dall’amministrazione Trump, siano con ogni probabilità
contrarie alle regole del WTO. La sentenza di questa settimana non è
stata perciò una sorpresa. Le reazioni registrate a Washington sono
state tuttavia molto dure e hanno evidenziato sia l’ormai nota ostilità
della Casa Bianca verso questo organo internazionale sia, soprattutto,
la possibilità di un’uscita da esso da parte degli Stati Uniti.
Il responsabile delle politiche commerciali USA, Robert Lighthizer,
ha affermato che la sentenza conferma quanto sostenuto negli ultimi
quattro anni dal presidente, cioè che “il WTO è del tutto inadeguato a
fermare le pratiche cinesi”. Gli Stati Uniti, di conseguenza, “devono
potersi difendere contro i metodi commerciali di Pechino” e
l’amministrazione Trump non permetterà perciò alla Cina di “usare il WTO
per trarre vantaggio dai lavoratori, dal business, dai coltivatori e
dagli allevatori americani”.
Ai toni minacciosi di Lighthizer sono seguiti gli avvertimenti velati
di Trump. Il presidente ha promesso che ci saranno attente valutazioni
della sentenza e possibili provvedimenti riguardo al WTO. Trump ha
chiuso le sue dichiarazioni alla stampa con una frase rivelatrice, cioè
che i giudici dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, con la loro
decisione, “hanno forse fatto un favore” agli Stati Uniti.
Il riconoscimento della legittimità delle posizioni cinesi e
l’illegalità dei dazi americani non faranno in altre parole nulla per
attenuare il clima di tensione internazionale, in ambito commerciale e
non solo. Il governo USA, in altri termini, finirà probabilmente per
sfruttare il verdetto contrario del WTO per intensificare l’offensiva
contro le istituzioni internazionali e il sistema consolidato di norme
che regolano gli scambi commerciali globali.
Questa tendenza era apparsa subito uno degli elementi caratterizzanti
dell’azione dell’amministrazione Trump. A motivarla è la conclusione
che le regole che hanno finora garantito gli equilibri internazionali
danneggiano ormai gli Stati Uniti e favoriscono invece la Cina. Per
meglio dire, quello stesso ordine nato e consolidato sotto la direzione
di Washington, vista l’attuale situazione di crescente competitività e
di declino della posizione internazionale degli USA, non è più in grado
di servire gli interessi americani né tantomeno di impedire l’ascesa
cinese.
Da qui gli sforzi dell’amministrazione Trump per boicottare organi
come il WTO e l’apparato di regole che vengono viste sempre più come un
freno al raggiungimento degli obiettivi degli Stati Uniti. Questa
attitudine, va ricordato, non è soltanto una prerogativa di questo
presidente, ma è condivisa sostanzialmente anche dal Partito
Democratico, come confermano tra l’altro le critiche rivolte da Joe
Biden a Trump per essere “troppo tenero” nei confronti della Cina.
Che i sentimenti anti-WTO siano espressi in maniera più feroce
proprio dal Partito Repubblicano, considerato almeno fino a poco tempo
fa irriducibilmente favorevole al libero scambio di merci, è però la
testimonianza di quanto sia avanzato il processo di abbandono delle
strutture create dopo la Seconda Guerra Mondiale e il conseguente
formarsi di uno scenario fatto di rivalità e competizione selvaggia a
livello internazionale.
La
prossima vittima potrebbe essere così proprio il WTO. D’altra parte,
gli ingranaggi che garantiscono il funzionamento dell’organizzazione con
sede a Ginevra sono già stati compromessi dalla stessa amministrazione
Trump. L’organo che dovrebbe valutare gli appelli dei procedimenti sulle
dispute commerciali è infatti impossibilitato a operare dallo scorso
dicembre, perché gli Stati Uniti hanno deliberatamente bloccato la
nomina di due nuovi giudici che dovrebbero sostituirne altrettanti il
cui mandato è scaduto. Per questa ragione, sempre che il governo USA sia
intenzionato a farlo, l’ipotetico appello americano contro la sentenza
di questa settimana resterebbe inascoltato.
La stampa internazionale ha infine sottolineato i possibili riflessi
della decisione del WTO su altre dispute commerciali che coinvolgono gli
Stati Uniti. In particolare, l’Unione Europea potrebbe vedersi
applicare tariffe doganali da Washington per varie ragioni, come la
mancata apertura del mercato europeo ai prodotti agricoli americani o
l’eventuale imposizione di tasse digitali a carico dei colossi della
tecnologia USA.
Il giudizio generale è che Bruxelles può trarre un sospiro di
sollievo dagli sviluppi di questa settimana, ma, come dimostra la
reazione al verdetto del WTO dell’amministrazione Trump, ciò che
potrebbe accadere a breve è tutt’altro che incoraggiante, vale a dire
un’accelerazione delle aggressive politiche protezioniste che hanno
caratterizzato questi ultimi quattro anni.
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