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21/09/2020

Come cambia il trasporto mondiale delle merci

La globalizzazione ha fatto sì che il commercio mondiale avvenisse prevalentemente via nave – il 90% delle merci scambiate – e tramite container. In questa “scatola di metallo” viaggia più della metà delle merci imbarcate, il cui volume è aumentato, per tonnellaggio, di 18 volte negli ultimi 40 anni circa.

Le navi che li trasportano (circa 5 mila) sono divenute sempre più mastodontiche, con le compagnie di navigazione – sempre più esposte finanziariamente – che hanno ordinato ai cantieri bastimenti sempre più grandi, in un gioco al massacro tra vari competitor.

Il circolo vizioso dominante nel settore ha intrecciato una elevata esposizione finanziaria tra banche e shipping, il “gigantismo navale”, noleggi al ribasso (al limite delle spese di esercizio), sfruttamento intensivo della forza lavoro marittima e portuale.

Il container è stato il vettore per il ridimensionamento della mano d’opera sulle banchine insieme all’automazione nelle operazioni di movimentazione portuale ed ha trasformato il milione e seicentomila lavoratori marittimi in veri e propri “forzati del mare”.

La gestione della pandemia si è trasformata in un lucroso affare per i big del settore, in cui vige un regime oligopolistico dominato da tre alleanze che dettano le regole – alla faccia del libero mercato – mentre almeno 250 mila marinai rimangono tuttora “bloccati” sulle navi su cui prestavano servizio, o impossibilitati a tornare in aereo, visti i tagli ai voli, non potendo ancora fare ritorno alle proprie case.

Nonostante il commercio si sia notevolmente ridotto, impattando molto più della crisi del 2007-8, le compagnie marittime – nonostante la posizione finanziaria “scoperta” – stanno aumentando i propri guadagni. Sopperiscono al trasporto aereo, praticamente fermo, che era il tradizionale vettore per la distribuzione del commercio online, in forte aumento.

Aumentano i noli a danno degli spedizionieri e, incidendo sul costo finale dei prodotti, approfittano del basso costo del carburante grazie all’attuale prezzo del petrolio (irrisorio). In generale mettono sotto stress tutta la catena logistica ed ottimizzano la rendita di posizione, sfruttando lo strapotere di cui hanno goduto in questi anni, grazie al laissez-faire degli Stati e delle Organizzazioni Internazionali sugli altri soggetti economici e sulla forza lavoro del settore, così come sul consumatore finale.

Alle multinazionali del mare è stato concesso di tutto anche in Italia: spazi pubblici in concessione per lunghi periodi senza alcuna seria contropartita di investimenti ed occupazione; fare carta straccia delle residuali garanzie di una forza lavoro sempre più precaria, flessibile e senza più standard minimi accettabili per operare in sicurezza, che vive ormai una condizione livellata verso il basso ed allineata a tutti gli altri segmenti della logistica; spacciare per prioritari lavori ciclopici nei porti (dragaggi per aumentare i fondali, ampliamento delle banchine, mezzi di scarico e carico idonei, ecc.).

Sono diventate un potere economico che, per il ruolo rivestito, il potere politico non è in grado di scalfire, ma che può solo assecondare. Ciò a cui stiamo assistendo è una crisi sistemica della governance nel settore mondiale delle merci, in cui emergono con evidenza le vulnerabilità strutturate.

Le quali sembrano poter riconfigurare il settore in maniera differente dagli scenari ipotizzati dagli operatori in precedenza: navi più piccole, tragitti più brevi, rotte in parte diverse ma senza che coloro che ne hanno fin qui tratto profitto – un giro d’affari di 180 miliardi di dollaro all’anno – siano intenzionati a mollare la presa, probabilmente privatizzando ancora di più i profitti e socializzando le perdite.

Non è dato sapere se siamo vicini al “punto di rottura”, in cui saranno di nuovo i lavoratori a dire l’ultima parola, gli unici a poter determinare un piano che non sia la subordinazione totale alle multinazionali del mare. È certo però che i mantra “ideologici” del settore stanno evaporando, così come la “globalizzazione” che abbiamo conosciuto. E si sta trasformando la catena logistica, ma non più di tanto la “catena del valore” ad essa collegata.

Per questo abbiamo tradotto la seguente inchiesta del Financial Times sul settore: “Coronavirus e globalizzazione. La sorprendente resilienza dell’industria della navigazione” che delinea un quadro esaustivo del settore.

Buona lettura.

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Durante una cerimonia ad aprile, tenendo una piccola ascia in una mano guantata di bianco, la first lady della Corea del Sud, Kim Jung-Sook, ha tagliato le funi che ormeggiavano la HMM Algeciras e ha varato ufficialmente la più grande nave portacontainer del mondo.

La nave, alta come una torre, la prima di una dozzina ordinata dalla compagnia di navigazione HMM, ha le dimensioni di quattro campi da calcio. Se caricati su un treno, i 23.964 container da 20 piedi che può trasportare si estenderebbero per quasi 145 chilometri.

Eppure, nonostante tutto lo sfarzo mostrato al cantiere navale Daewoo quel giorno, il tempismo non avrebbe potuto essere meno propizio. I lockdown globali avevano ormai strangolato l’attività economica negli Stati Uniti e in Europa, che sono i maggiori mercati per le esportazioni asiatiche di prodotti manifatturieri.

Di conseguenza c’è stato un forte calo del traffico di container marittimi, milioni dei quali attraversano gli oceani supportando le catene di approvvigionamento globali e trasportando di tutto, dall’elettronica all’abbigliamento ai rottami metallici alla frutta fresca.

A maggio, quasi il 12% dell’intera flotta globale era inattiva, secondo i dati di Clarksons Research. Decine di migliaia di marinai sono rimasti bloccati in mare.

“Lo shock della domanda è stato ancora più forte che durante la crisi finanziaria globale”, afferma Morten Bo Christiansen, a capo della direzione strategica della danese AP Moller-Maersk, la più grande compagnia di spedizioni di container del mondo. “In ogni modo è stato senza precedenti”.

In un simile contesto, il settore del trasporto di container da 180 miliardi di dollari l’anno avrebbe potuto trovarsi in una condizione pericolosa, soprattutto dato il suo recente record di deboli profitti e sovraccapacità. Eppure, sei mesi dopo che la pandemia ha portato il caos nell’economia globale, molte delle linee di container hanno superato la crisi sorprendentemente bene.

Riducendo i servizi per prevenire la sovraproduzione, finora non solo si sono protetti da un assalto finanziario, ma molti stanno facendo più soldi di prima.

“I vettori hanno imparato una lezione preziosa quest’anno“, afferma Lars Jensen, amministratore delegato di SeaIntelligence Consulting. “A meno che qualcosa non vada orribilmente storto negli ultimi mesi, usciranno dal 2020 con un risultato finanziario decisamente migliore rispetto allo scorso anno, nonostante il lockdown“.

Data la sua posizione al centro dell’economia globale, la performance dell’industria del trasporto di container risuona ben oltre il settore. Alcuni economisti sono arrivati ​​al punto di ipotizzare che Covid-19 potrebbe persino significare la fine dell’era d’oro della globalizzazione, un periodo di cui i container sono stati sia il simbolo che lo strumento. Ci sono anche molti problemi a breve termine ancora da affrontare, compresi i lavoratori marittimi tutt'ora impossibilitati a tornare a casa.

Ma finora l’industria ha dimostrato una notevole capacità di recupero. L’aumento dell’e-commerce gli ha dato una spinta. Si sta anche studiando l’opportunità di viaggi più brevi all’interno delle regioni su navi di dimensioni più piccole e più agili di quelle come HMM Algeciras – un’indicazione che il modello della globalizzazione potrebbe cambiare piuttosto che ritirarsi.

Roberto Giannetta, capo della Hong Kong Liner Shipping Association, afferma che mentre l’ambiente marittimo “cambia rapidamente”, il commercio globale “si è adattato molto rapidamente”.

Capacità ridotta, prezzi più alti

L’invenzione della moderna spedizione di container, negli anni ’50, ha rivoluzionato il commercio internazionale. A quei tempi, i carichi sfusi trasportati in casse di legno, barili e sacchi di dimensioni diverse venivano movimentati da eserciti di portuali. Riducendo la necessità di manodopera e il rischio di furto e danneggiamento, la modesta scatola di metallo ha ridotto i costi e i tempi per lo spostamento delle merci attraverso gli oceani.

Ha scatenato un’enorme espansione del commercio durante la seconda metà del 20esimo secolo. I volumi di container marittimi sono aumentati quasi ogni anno negli ultimi quattro decenni, da circa 100 milioni di tonnellate nel 1980 a 1,8 miliardi di tonnellate nel 2017, secondo le Nazioni Unite. Fino ad ora, l’unica contrazione si  verificata a seguito della crisi finanziaria del 2008-2009.

“Hai difficoltà a trovare un settore che abbia creato collettivamente tanto valore quanto la spedizione di container, perché è lì che si muovono tutti i prodotti di valore“, afferma John McCown, un veterano del settore dei trasporti e fondatore di Blue Alpha Capital, una società di consulenza. “Eppure, per molte ragioni, resta poco prezioso per l’industria stessa. È stato cronicamente sottoperformante, nonostante una crescita incredibile“.

La concorrenza brutale ha reso elusiva una redditività sostenuta e dignitosa. Il settore comprende una flotta di circa 5.000 navi. Dopo il crollo finanziario globale, i vettori hanno continuato a ordinare navi sempre più grandi mentre inseguivano economie di scala, culminando in guerre sui prezzi che hanno eroso i guadagni. Un rapporto McKinsey nel 2018 ha stimato che negli ultimi 20 anni l’industria del trasporto di container ha distrutto 100 miliardi di dollari di valore per gli azionisti.

Il pendolo ora sta oscillando dall’altra parte. Nonostante i timori iniziali sull’impatto del Covid-19, le tariffe di trasporto applicate dai vettori – un barometro chiave dello stato di salute del mercato – hanno ampiamente resistito.

L’indice composito dello Shanghai Containerized Freight Index, un punto di riferimento per i prezzi del mercato spot, ha recentemente raggiunto il massimo da otto anni ed è aumentato di oltre la metà da aprile, il suo punto più basso quest’anno. Ciò è stato determinato da un aumento delle “toccate” tra Shanghai e le coste degli Stati Uniti, nonché sulle rotte verso l’Europa.

Il consolidamento del settore ha portato a tassi più elevati. Dopo il fallimento della coreana Hanjin Shipping, nel 2017, il primo grande crollo nel settore da 30 anni a questa parte, il numero di vettori si è ridotto. Le navi di linea dominanti oggi operano nell’ambito di tre principali “alleanze”, i cui membri condividono lo spazio a bordo e raggruppano le navi in base ai servizi.

“Insieme, queste tre alleanze controllano circa l’85% della capacità sulle rotte commerciali transpacifiche e quasi tutte sulle rotte commerciali dell’Estremo Oriente [verso] l’Europa, con un comportamento molto più razionale [di prima]”, afferma David Kerstens, analista di investimenti presso Jefferies.

Dall’inizio della pandemia, le compagnie di linea hanno parcheggiato parte delle navi, inviato navi per viaggi più lunghi e annullato centinaia di partenze, il che ha ridotto la capacità disponibile.

Questa scelta ha dato i suoi frutti. La divisione oceanica di Maersk ha registrato un aumento del 26% (1,36 miliardi di dollari) su base annua degli utili del secondo trimestre, ante interessi, tasse, deprezzamento e ammortamento, nonostante un calo del 16% dei volumi. Ciò grazie alla gestione della capacità della rete, delle tariffe di trasporto più elevate e costi del carburante inferiori, a seguito del crollo dei prezzi del petrolio.

L’EBITDA del secondo trimestre del rivale tedesco Hapag-Lloyd è cresciuto di sei mesi su un anno, mentre HMM – che ha una storia recente fatta di salvataggi statali – ha registrato nel trimestre un utile operativo per la prima volta in circa cinque anni.

Se l’attuale forza del mercato persiste, Sea Intelligence Consulting prevede un profitto totale del settore compreso tra $ 12 e $ 15 miliardi nel 2020, un sostanziale miglioramento rispetto ai $ 5,9 miliardi dello scorso anno.

Il rovescio della medaglia è che i clienti interessati a spostare le merci – gli “spedizionieri” – devono pagare di più. Anche se alcune partenze annullate sono state ripristinate, ci sono lamentele riguardo alle difficoltà di ottenere spazio a bordo di navi e navi di linea che addebitano premi per evitare che il carico venga “trasferito” su navi successive.

“È meglio di come è stato nel bel mezzo della pandemia, ma non è ancora eccezionale“, afferma Philip Edge, amministratore delegato della Edge Worldwide Logistics del Regno Unito. “Le tariffe per la spedizione di merci veramente urgenti [dall’Asia all’Europa], sono il doppio di quanto paghi normalmente. È un incubo. Al momento devi prenotare da quattro a sei settimane in anticipo.”

Mentre i critici affermano che le alleanze del settore distorcono la concorrenza, i dirigenti affermano che si ignorano le tensioni finanziarie che le aziende devono affrontare.

“Questo settore non ha recuperato il costo del capitale negli ultimi 10-12 anni, in nessun anno”, afferma Rolf Habben Jansen, amministratore delegato di Hapag-Lloyd, [quindi] "probabilmente perché le tariffe sono state tradizionalmente troppo basse“.

Disordini sindacali

Anche se le linee di container possono continuare a mantenere la disciplina di fornitura che supporta tassi più elevati, potrebbero comunque essere impattate da fattori umani e politici al di fuori del loro controllo.

Quando a gennaio si è imbarcato su una nave portacontainer per lavorare come terzo ufficiale, Martin Li si aspettava di essere in mare solo per quattro mesi. Ma dopo che la pandemia ha impedito agli equipaggi di poter sbarcare, il marinaio, sulla trentina, si è ritrovato bloccato sulla nave, viaggiando ripetutamente tra il Canada e l’Europa senza alcuna idea di quando sarebbe tornato a casa. “Stavamo solo andando avanti e indietro“, dice. “L’operazione non si è mai fermata.”

Il signor Li alla fine è tornato a Hong Kong in agosto. Ma si ritiene che 250.000 persone siano ancora abbandonate in situazioni simili. Le autorità di alcuni paesi hanno impedito lo sbarco dei marittimi per motivi di rischio di infezione. Un altro ostacolo è il fermo delle compagnie aeree internazionali su cui molti fanno affidamento per tornare a casa dopo i viaggi. La maggior parte dei marittimi stimati nel mondo a 1,65 milioni proviene da paesi come Cina, Filippine, Indonesia, Russia, Ucraina e India.

Quella che era già una crisi umanitaria per chi lavorava a bordo delle navi portacontainer comincia ora ad avere implicazioni per le merci che transitano. Secondo l’Organizzazione marittima internazionale, circa il 90% di tutto il commercio è trasportato via mare – più della metà su navi portacontainer. I sindacati affermano che la stanchezza e lo stress emotivo tra il personale aumentano il rischio di errori a bordo.

Avvertendo il potenziale rischio per le catene di approvvigionamento, Fidelity International, un asset manager, ha invitato aziende e governi ad affrontare il problema.

“Sembra che siano diventati un esercito di persone dimenticate“, dice Guy Platten, segretario generale della Camera di spedizione internazionale. “Questo alla fine influenzerà le catene di approvvigionamento.”

Il signor Platten sottolinea i “primi segni” di questa situazione in Australia, dove gli equipaggi si sono rifiutati di lavorare e le navi sono state sequestrate dal governo per aver violato le leggi sul lavoro. “Quello che vedi in Australia... questa è solo la punta dell’iceberg“, dice. “Questo è quello che potrebbe accadere in tutto il mondo“.

Commercio regionalizzato

Il progresso inarrestabile della globalizzazione ha generato navi sempre più grandi per soddisfare una domanda di beni apparentemente inesauribile da parte dei consumatori.

Ma se HMM Algeciras simboleggia l’apice della logistica transoceanica, alcune compagnie di linea stanno ora scommettendo che il commercio futuro potrebbe essere più adatto a navi che non sono così grandi e vantano una maggiore flessibilità e velocità.

Nel 2014, Zim, una compagnia di navigazione israeliana, ha cancellato la sua rotta dalla Cina alla costa occidentale degli Stati Uniti perché non poteva competere con i grandi vettori. Ma sulla scia della pandemia ha lanciato un nuovo “servizio accelerato” che trasporta le merci più velocemente, spostando le merci dai magazzini di Shenzhen al porto di Los Angeles in due settimane: approvvigionando un mondo che in gran parte sta a casa.

“Abbiamo individuato una necessità“, afferma Nissim Yochai, vicepresidente esecutivo di Zim per il commercio transpacifico. “Questa esigenza è cresciuta a causa del virus”.

L’accelerazione nell’e-commerce sta influenzando la spedizione di container. Gli articoli ordinati online dai consumatori occidentali a fornitori asiatici vengono in genere trasportati nel ventre degli aerei, un metodo molto più veloce che via mare. Ma la messa a terra della maggior parte della flotta aerea globale significa che è stato necessario spedire più articoli.

Un altro fattore contro navi sempre più grandi è che il traffico di container sulle rotte intra regionali dovrebbe crescere più rapidamente rispetto alle tre principali rotte est-ovest – transpacifica, transatlantica e Asia-Europa – che insieme rappresentano circa i due quinti di tutto traffico container.

Arriva quando molte aziende rivalutano le loro catene di approvvigionamento dopo che il coronavirus ha esposto le vulnerabilità nel modo in cui le merci sono prodotte e distribuite. Uno studio del Global McKinsey Institute ha rilevato che le aziende potrebbero trasferire un quarto del loro approvvigionamento di prodotti globali in nuovi paesi nei prossimi cinque anni.

Paesi come Vietnam, Cambogia, Laos e Bangladesh stavano già costruendo forti settori manifatturieri, un riflesso di manodopera a basso costo e aziende che cercavano di evitare i dazi statunitensi sui beni cinesi. L’aumento dei livelli di reddito dovrebbe significare che queste nazioni avranno un maggiore appetito per i prodotti manifatturieri.

“La regione intra-asiatica sembra essere il mercato che attira sempre più attenzione da parte delle compagnie di navigazione“, afferma Antonella Teodoro, analista di MDS Transmodal.

Significherà più navi che si fermeranno nei porti del continente e viaggeranno per distanze più brevi, invece di caricare completamente in Cina e salpare per l’ovest. I porti regionali più piccoli spesso non dispongono di infrastrutture adeguate per le navi più grandi, mentre anche sulle rotte principali potrebbero esserci rendimenti di dimensioni inferiori.

“Abbiamo più o meno raggiunto il limite [sulle dimensioni della nave]”, afferma Jensen di SeaIntelligence.

Mentre l’elettronica di consumo più piccola significa che TV e computer occupano già meno spazio, la composizione delle merci all’interno dei container potrebbe evolversi ulteriormente.

Un’area che dovrebbe rivelarsi fertile è il carico deperibile, che si prevede abbia sofferto meno dell’impatto del Covid-19 rispetto ai prodotti manifatturieri, secondo la società di consulenza per la ricerca marittima Drewry. Si prevede un’espansione media annua del 3,7% fino al 2024 nei container refrigerati, o “reefers”, rispetto al 2,2% per il carico secco.

“Frutta fresca, carne – tutto ciò che necessita di cure speciali a bordo del viaggio – questo è l’uovo d’oro di qualsiasi compagnia di linea“, afferma Peter Sand, economista dell’associazione marittima internazionale Bimco, “dove le tariffe di trasporto sono elevate”.

A Hong Kong, Giannetta afferma che la pandemia significa che “sarà necessario prendere in considerazione diverse catene di approvvigionamento per evitare le interruzioni complete che abbiamo visto durante le prime fasi di Covid-19“.

Suggerisce che queste tendenze si vedano già attraverso la “produzione regionalizzata” e gli “acquisti online“.

“Quando è iniziata la pandemia, non sono riuscito a trovare i miei prodotti preferiti di pasta di marca italiana“, dice. “Poi ho iniziato a vedere le confezioni di pasta in arrivo [sul mercato] che erano in cinese, che non sapevo nemmeno leggere”.

Ora, aggiunge Giannetta, può acquistare di nuovo la pasta spedita dall’Italia, ma deve ordinarla online.

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