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21/09/2020

Fusione FCA-PSA, esempio di “shopping” francese in Italia

Come si spiega il taglio della cedola di quasi il 50% per gli azionisti FCA (Fiat Chrysler automobiles, la casa del lingotto col passaporto multinazionale) e il balzo in avanti del titolo nel mercato azionario?

Per comprenderlo bisogna capire il valore della fusione di FCA con PSA (gruppo Peugeot che comprende tra gli altri Citroen e Opel), e perciò vi proponiamo quest’intervista a Giuseppe Berta, bocconiano, storico dell’economia con un passato in Fiat e in Confindustria, pubblicata su Industria italiana e curata da Marco de’ Francesco.

Il filo logico è il seguente: FCA annuncia agli azionisti che il dividendo straordinario derivante dalla fusione con la francese PSA (che darebbe vita al quarto polo mondiale del settore) non sarà più di 5,5 miliardi di euro, bensì di 2,9.

In alternativa, gli azionisti riceveranno il 23% (la metà di quelle detenute da Psa, che le dividerà equamente) delle azioni di Faurecia, colosso francese della componentistica con 17,5 miliardi di ricavi, 122 mila dipendenti, presenza in più di 100 paese e ben 1,1 miliardi di investimenti in ricerca e sviluppo.

La nuova società derivante dalla fusione tra FCA e PSA, che si chiamerà Stellantis, avrà più liquidità a disposizione (la parte non divisa con gli azionisti) e un colosso dell’indotto al suo interno. Ecco così spiegato la positiva reazione “dei mercati”.

Ma ecco anche palesate le fregature dell’operazione per l'economia italiana.

Faurecia è la testa della filiera della componentistica francese altamente (e verticalmente) integrata, che entrando nell’operazione si pone come campione almeno europeo della componentistica in grado di «orientare tutta la politica di fornitura di Stellantis, e di disciplinarne i flussi».

Un piano fortemente sostenuto con euro sonanti dal governo Macron, che potrebbe mettere in serio pericolo la costellazione di aziende della componentistica italiana, dall’Emilia-Romagna al Veneto, dipendenti perlopiù dalle subforniture all’automotive tedesca, che nella sua frammentazione non è in grado di esprimere un’impresa come quella transalpina.

In altre parole, l’economia di scala di Faurecia, con il nuovo ruolo nel quarto gruppo mondiale, potrebbe mettere fuori gioco gran parte del comparto del nostro paese, con grave rischio per l’occupazione e tutto ciò che ne consegue in termini economici e sociali.

Come ha scritto il Financial Times, più che una fusione, l’accordo FCA-PSA ha tutta l’aria di essere un take over francese, da inserire all’interno della partita tra Berlino, Parigi e Roma nella nuova conformazione post-Brexit dell’Unione europea.

E se tra Berlino e Parigi si trovano delle convergenze in settori come l’idrogeno, le batterie elettriche o il “cloud”, Roma subisce la voracità dei cugini d’oltralpe senza nessuna capacità di difesa degli interessi, non diciamo dei propri lavoratori (troppa grazia...), ma neanche di quelli industriali.

Un suicidio politico-economico, nel “silenzio” della classetta politico-industriale nostrana. Parola di bocconiano.

Buona lettura.

*****

D: I soci di Fca ereditano, con i nuovi accordi in vista della realizzazione di Stellantis, il 23% di Faurecia, un gigante della componentistica mondiale. È un pericolo, per i supplier italiani?

R: «Sì, e per un insieme di motivi. Infatti, con questa operazione i francesi pongono gli italiani nella posizione di avvantaggiare Faurecia, che non è solo un colosso della fornitura. Molti fanno il paragone con Magnati Marelli, il gioiello dei fari e della componentistica di cui peraltro Fca si è liberata vendendola alla giapponese Calsonic Kansei: Faurecia è di più, è il supplier di primo livello in grado di orientare tutta la politica di fornitura di Stellantis, e di disciplinarne i flussi. È il pivot di una filiera organizzata, quella francese; che non tende a coesistere, ma a sostituire. Non esiste un equivalente italiano di Faurecia, che si troverà in una condizione di assoluto rilievo».

D: Si può dire che il rischio sia quello che Faurecia svolga una funzione di arbitro, che decida ciò che Stellantis deve acquistare e da chi farlo?

R: «Svolge un ruolo importante in fase decisionale. In altri casi i Francesi hanno agito diversamente, ma verso lo stesso obiettivo. Si pensi all’acquisizione di Opel da General Motors: in quel caso, i fornitori tedeschi sono stati compensati da una penale, per andarsene. Qui, invece, i nostri rischiano di abbandonare il campo in silenzio, senza niente in cambio. Il pericolo, per loro, è che siano sostituiti di volta in volta».

D: Di recente, gli accordi sono stati rivisti. Gli Elkann e gli azionisti Fca incasseranno meno del previsto: non più 5,5 miliardi, ma 2,9. In compenso aumenteranno le sinergie, da 3,7 miliardi a oltre 5. Ne pagheranno le spese i fornitori italiani?

R: «Quanto alla doccia fredda per gli azionisti di Fca, era nell’aria. Perché, se è vero che il Covid-19 ha colpito tutti e ha danneggiato tutti i carmaker occidentali, bisogna ammettere che la posizione di Psa, in questo periodo terribile, è ben diversa da quella di Fca. Psa ha retto, e non è neppure finita in rosso. Fca ha invece sperimentato una caduta più pesante di quella media di mercato. Dunque, in questo momento, è in uno stato di estrema debolezza. Tuttavia, i soci Fca sono stati compensati con le quote Faurecia. Quanto ai fornitori italiani, soprattutto ora che è emersa la notizia di questa compensazione, direi che il rischio è davvero consistente. Come si è detto, sul campo di battaglia ci sono due filiere, quella francese, completamente integrata, e quella italiana, che non lo è. E Faurecia sarà partecipata non solo dai soci di Psa, ma anche da quelli di Fca. Pariteticamente. Questo rafforza il ruolo pivot di Faurecia».

D: In tutto questo, c’entra qualcosa il “Plan de soutien à l’automobile. Pour une industrie verte et compétitive”, il piano varato dal governo francese dal quale si evince che Parigi intende diventare il Paese leader in Europa per l’auto elettrica?

R: «Certo che c’entra. Anzitutto perché, a differenza del piano italiano, è una cosa seria. E poi perché annuncia al mondo, apertamente, la posizione della Francia in quanto Stato. Nel documento, il governo di Parigi dice tre cose: anzitutto, che l’automotive è un pilastro fondamentale per la strategia industriale francese; in secondo luogo, che nel settore Parigi ha mire espansionistiche sostenute dall’esecutivo: si intende sfidare il colosso tedesco proprio nel comparto in cui la Germania è la potenza continentale, e si vuole farlo approfittando della transizione al green; infine, si dice che i maggiori gruppi francesi, Renault e Psa, sono chiamati a produrre in casa le tecnologie più importanti per la trasformazione. In un certo senso, c’è un ordine di scuderia, che riguarda tutti gli operatori economici di comparto, che si sentono sostenuti direttamente da Parigi – che peraltro mette sul piatto otto miliardi. Si guarda all’interessa della Francia. Questo, ovviamente, non può non riguardare la partita della fornitura. Dall’altra parte c’è l’equivalente piano italiano, che si è tradotto in incentivi già consumati ad agosto e in un prestito senza vere condizioni di 6,3 miliardi a Fca. Una cosa al ribasso, ed è indiscutibile che i nostri operatori si sentano più abbandonati che sostenuti».

D: Fin dall’inizio, la fusione tra Psa e Fca è apparsa sbilanciata a vantaggio dei francesi. Eppure, quando l’operazione è stata annunciata, molti osservatori hanno parlato di “fusione alla pari”.

R: «La vera natura dell’operazione è emersa gradualmente. Un po’ di prudenza, all’inizio, c’è sempre, soprattutto in relazione a vicende così importanti e complesse. Oggi, comunque, il Financial Times, e cioè uno dei più antichi e autorevoli giornali economico-finanziari del mondo, parla tranquillamente di “take over” (conquistare, prendere il controllo, impadronirsi) francese. Ora la situazione sembra evidente a tutti, e di giorno in giorno appare sempre più chiara».

D: Non alla politica italiana, però.

R: «No, è vero. All’inizio, tutte le dichiarazioni del governo erano orientate all’ottimismo; ora, i commenti più recenti del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli sembrano più cauti. Si sottolinea l’importanza di monitorare gli effetti della fusione; e si utilizzano frasi un po’ di circostanza, come quella rilasciata al Corriere della Sera, per cui bisogna guardare al più, e non al meno. Ma, nella sostanza, non si prende posizione, e non si dice nulla».

D: Eppure ultimamente i segnali che portano nella direzione di un vero e proprio predominio francese, soprattutto in termini di fornitura, non mancano.

R: «Certo, si pensi al fatto che la nuova Punto sarà prodotta in Polonia su piattaforma Psa, nello stabilimento di Thychy, insieme a Ypsilon e 500. E poi, in generale, Fca è pronta a razionalizzare la rete di fornitori in Italia e Polonia per la componentistica delle auto di segmento B (le utilitarie di fascia più alta), quello più diffuso nel nostro Paese. Tecnicamente questo accade perché, nell’ottica della fusione con Psa sarà necessario procedere a una razionalizzazione dei centri di costo e delle catene di fornitura. Fca ha già scritto una lettera ai supplier coinvolti, invitandoli a cessare immediatamente ogni attività di ricerca, sviluppo e produzione onde evitare ulteriori costi e spese. Però, a seguito delle ultime notizie, tutto ciò sembra, per i fornitori italiani, una strada in salita e irta di ostacoli» .

D: Eventuali danni ai fornitori italiani si verificherebbero a medio o lungo termine?

R: «Direi di no. Potrebbero avverarsi con una certa rapidità. Si tenga presente che la parte francese intende realizzare le piattaforme tecnologiche entro il 2023, ed è quello il termine a qui la catena della fornitura sarà integralmente ristrutturata. Da quel momento, i supplier italiani, se lo schema che abbiamo individuato è quello giusto, potrebbero soffrire parecchio».

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