Molta compagneria, anche in assoluta buona fede, non comprende l’accanimento ostile con cui ci occupiamo di Unione Europea, e in generale di “istituzioni” continentali, individuando lì – più ancora che in quelle “nazionali” – la vera sede del “potere politico” attuale.
Sappiamo che il problema è di categorie interpretative, spesso rimaste ferme a quelle antiche (pre-anni ‘70), in cui “il capitale” è alternativamente un “mostro onniscente” che controlla tutto, oppure un ectoplasma buono per far retorica a buon mercato.
E le “nazioni” – a loro volta – sarebbero ancora quelle degli Asburgo e dei Savoia, dunque da “superare” senza chiedersi che cosa le stia superando. “Nuovismo” sul piano intellettuale astratto, per così dire.
Non è insomma ancora diventata “senso comune”, tra chi ritiene di essere comunista o peggio “di sinistra”, quella visione che identifica la trasformazione del capitale in multinazionale. E meno ancora si riconosce la capacità del capitale, a questo stadio di sviluppo, di dar vita a “istituzioni sovranazionali” che assumono molte delle competenze degli Stati-nazione (politica monetaria, politiche economiche e di bilancio, politica estera, ecc).
È questo il “trasferimento di sovranità” in corso da almeno un trentennio e che rende ridicola ogni discussione sul cosiddetto “sovranismo”, come se fosse una questione ideologica anziché un rapporto di potere. Perché, banalmente, “sovrano” è quel potere che non ne ha altri “al di sopra” di sé.
Proviamo allora ad aiutare la discussione con una notizia semplice, presa da IlSole24Ore, organo di Confindustria, dal titolo molto “tecnico” ma dal contenuto facilmente spiegabile anche in parole di uso comune: Banche, sconto Bce da oltre 70 miliardi sulla leva finanziaria.
Scrive l’inviata Isabella Bufacchi: “I depositi delle banche (private, ndr) presso le banche centrali dell’eurosistema (Banca d’Italia, Bundesbank, ecc, ndr), cioè le riserve, e anche le monete e banconote, non concorreranno al calcolo del leverage ratio fino al 27 giugno 2021”.
“E chissinefrega”, potrebbe dire il non addetto ai lavori. Sbagliando.
“L’impatto di questa decisione – scrive ancora Bufacchi – considerata un ulteriore allentamento monetario, è pari ad un aumento dello 0,3% sul leverage ratio dello scorso marzo su base aggregata pari al 5,36%: in totale fanno oltre 70 miliardi”.
Uscendo dai tecnicismi, la Bce “fa uno sconto” alle banche private pari a 70 miliardi. Un grazioso regalo, a fondo perduto (ma cosa sono 70 miliardi per chi li stampa in tipografia, come nella Casa di carta?), soltanto per quelle banche private che hanno accesso ai depositi della Bce o che vi trattengono parte delle loro riserve.
Una cifra piccola, su scala europea, di cui nessuno si accorgerà. Ma che si aggiunge a molte altre dello stesso tipo, e su dimensioni molto maggiori, che la stessa Bce ha “regalato” sempre alle banche durante gli anni – ormai parecchi – di quantitative easing, deciso a suo tempo da Mario Draghi quando era al vertice dell’istituto di Francoforte.
Per esempio. In aprile la stessa Bce aveva deciso di accettare come “garanzia” per i propri finanziamenti liquidi (soldi freschi contro titoli di Stato o prodotti finanziari derivati) anche titoli classificati come junk. Spazzatura.
Che significa? Che le banche e altri “investitori professionali” potevano liberarsi di pezzi di carta pagati a prezzo pieno (tipicamente 100, euro o dollari) ma diventati invendibili (prezzo pari o vicino a zero), e fare di nuovo il pieno di liquidità per condurre i loro affari – finanza speculativa, in borsa o over-the-counter – senza quel “peso”.
È come se un privato cittadino, per avere un mutuo dalla banca, offrisse in garanzia una casa crollata o bruciata, ottenendo una valutazione da casa appena ristrutturata o nuova. Comodo, vero?
Ecco. Se voi provate ad andare a proporre questo scambio ad una banca, quelli chiamano la neuro e vi fanno fare un tso immediato. Se lo fa una banca con la Bce, invece, ottiene il finanziamento richiesto.
Se dunque scriviamo che l’Unione Europea e le istituzioni relative sono un potere politico che fa lotta di classe, lo scriviamo avendo presenti questi meccanismi (ed altre decine che, con la crisi, vengono escogitati di continuo sotto la formula “misure non convenzionali”), complessivamente definiti da Joseph Stiglitz – ex presidente della Banca Mondiale e premio Nobel per l‘economia – socialismo per ricchi.
Basta infatti volgere lo sguardo alle politiche sociali, che si fanno in tutto il mondo grazie alla spesa pubblica, per vedere che qui – invece – di regali non ne vengono fatti. Anzi, ogni volta che viene preso in considerazione il debito pubblico (la spesa dello Stato genera debito, se contemporaneamente calano il Pil e le tasse), da quelle stesse istituzioni europee (e la Bce è parte integrante della Troika) giunge l’ordine o il “consiglio” di tagliare quella spesa. Ossia tagliare sanità, istruzione, servizi sociali, trasporti locali, ammortizzatori e sussidi sociali, e soprattutto le pensioni.
Dovrebbe insomma essere un po’ più chiaro perché diciamo che se non si “rompe” l’Unione Europea non c’è speranza per i lavoratori di nessuno dei paesi che la compongono. Mentre, se si “rompe” in uno degli anelli, ovviamente di una certa dimensione e importanza, allora si crea una possibilità per tutti.
Buona riflessione...
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