Scrissi un articolo nel merito[1], ma oggi la pubblicazione, e la recensione, degli Atti del Convegno che si tenne all’Università di Roma 3 il 18 ottobre 2018[2] mi spinge a ritornare brevemente su questo aspetto. Perché il problema investe più di un aspetto.
– Il primo (non in ordine d’importanza) è che viene cancellato con un colpo di spugna l’intensissimo lavoro di ricerca e di elaborazione che a partire dai primi anni '70 uno stuolo di compagn* eseguì, sviluppando – anche con aspri scontri con gli ambienti accademici (anche di sinistra), ma non solo – l’impostazione del materialismo storico, che Marx aveva efficacemente applicato alla critica dell’economia politica, criteri idonei ad analizzare in modo politicamente pregnante i legami fra il processo di elaborazione della scienza e il contesto economico sociale, cioè di classe.
– È vero che purtroppo oggi non sembra essere rimato molto di quell’intensissimo impegno, perché nel senso comune (e non solo nell’attività degli scienziati, anche “di sinistra”) sembra avere letteralmente “sfondato” il concetto che l’attività scientifica sia nella sostanza “neutrale”, indipendente dalle vicende sociali: ma questa non è ovviamente una buona ragione per cancellare un pezzo di storia che è stata molto importante, ma soprattutto i suoi risultati molto concreti e attuali.
– Ma ovviamente la ragione ben più fondamentale è che attraverso il dilagante riconoscimento che il “progresso”, tout court, scientifico sia il fondamento vero della nostra società, la base del nostro benessere, si pone un puntello al consenso sociale: chi si preoccupa ormai, per esempio, che le nuove tecnologie forniscano al potere strumenti di controllo sempre più pervasivi di ogni nostro minimo movimento, ogni nostra scelta, con l’intelligenza artificiale forse anche dei nostri pensieri? Non siamo noi stessi supinamente complici per l’ansia di ogni nuova innovazione tecnica? Chi si chiede ormai se scelte diverse fossero state possibili? Perché riuscire a immaginare una società diversa sarebbe un aspetto fondamentale per cercare di progettarla e realizzarla: l’utopia concreta era per lo meno una componente fondamentale di una progettualità di classe.
Senza contare che la Scienza e la Tecnica sono anche alla base delle tecnologie militari sempre più micidiali e incontrollabili[3], nonché della stessa emergenza climatica e ambientale, che non è dovuta solo a un “cattivo uso” della Scienza e dalla Tecnica ma alla loro strutturazione intrinseca acquisita per adeguarsi alle esigenze delle classi dominanti, che di fatto controllano la loro organizzazione e il loro sviluppo.
– Oggi siamo in una strana situazione, i giovani che molto positivamente si mobilitano in milioni per il clima si servono dei risultati scientifici per fare pressione sui politici per un cambiamento radicale, però tendono ad assumere i risultati scientifici come dati assoluti, non hanno il senso né del loro valore circoscritto e relativo (che ogni scienziato serio si premura di specificare nei lavori scientifici), e tanto meno se qualcuno possa avere “pilotato” quelle ricerche e quei risultati. Basterebbe citare le ricerche sui danni alla salute dei telefoni cellulari dove quelle che escludono un nesso sono per lo più finanziate dalle compagnie costruttrici, come “neutralità” non c’è male! Così come questi giovani, quando denunciano la maggioranza delle ricerche che provano l’origine antropica del riscaldamento globale, dovrebbero ricordare che circa la metà degli scienziati lavora per l’industria bellica, che non è certamente climate (né human) friend! Non mi sembra affatto casuale, ma significativo dei condizionamenti sociali imperanti, che negli obiettivi che vennero originariamente lanciati da Greta Thunberg il tema degli effetti deleteri, anche sul clima, delle guerre e delle attività militari fosse totalmente assente: personalmente collaboro integralmente con i Fridays for Future (a Firenze) e so che se questo tema viene portato con il dovuto rispetto per la loro autonomia, viene compreso.
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Non è il caso che riprenda le considerazioni che ho sviluppato due anni fa nel lavoro citato nella nota [1] (e nel lontano 1976 in maggiore dettaglio nel saggio con Arcangelo Rossi, Marxismo e Scienze Naturali[4]). Molto schematicamente, la Scienza non è un’attività meramente conoscitiva che indaga una Natura a sé stante, sempre la stessa e immutabile: piuttosto l’Uomo sociale si rapporta ai fenomeni naturali con modalità molto diverse nei diversi contesti storici e sociali, i quali pongono finalità diverse, che richiedono metodi scientifici nuovi. Non vi è dubbio che la Scienza abbia una base sperimentale, ma la Natura alla quale gli scienziati si rifanno, le finalità con le quali la indagano, i canoni con cui la interpretano, mutano profondamente con il mutare delle condizioni economico sociali, nonché culturali. A mio avviso non serve a molto, per l’interpretazione dei cambiamenti dei paradigmi scientifici (senza negare la legittimità della domanda in una filosofia a mio parere astratta che non mi interessa per i miei scopi), sostenere che Aristotele, Galileo o Einstein si riferiscono a una medesima “natura”, quando concretamente la “vedono” in modi radicalmente diversi, consoni a contesti sociali che hanno mutato radicalmente le mentalità e i rapporti di classe, e proprio questo ha consentito loro di elaborare concetti radicalmente diversi.
Per ricordare sommariamente cose evidentemente lontane anni luce, ma estremamente vive e vitali negli anni '70, questa problematica si sviluppò in scontri vivacissimi tra il 1974 e il 1976 quando apparvero alcuni volumi emblematici: da un lato quello di Ludovico Geymonat con i suoi collaboratori, Attualità del Materialismo Dialettico[5], e dall’altra parte in diretta polemica il volume di Marcello Cini, Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio, L’Ape e l’Architetto[6], il cui titolo si richiamava esplicitamente al famoso paragone di Marx per sottolineare un punto di vista storico materialista genuinamente “marxiano”. Si sviluppò un dibattito molto acceso, ci furono commentatori italiani, tra cui Lucio Colletti e Giorgio Bocca, che trovarono la tesi della non neutralità della scienza addirittura “intollerabile” e cercarono di smontarla con una serie di banalità sconcertanti, del tipo “i corpi cadono sotto l’azione della forza di gravità sia nei paesi socialisti sia nei paesi capitalisti”[7], o come Enrico Bellone scrisse sul Manifesto con intenzionale politicizzazione “se anche 200.000 metalmeccanici si radunano in Piazza San Babila, non cambia il valore dell’accelerazione di gravità” (che fra l’altro è anche sbagliato concettualmente, ma significativo di quella vis polemica).
Mi sembra opportuno ricordare che la contesa centrale – fra marxisti – era e rimane fra materialismo dialettico e materialismo storico, esteso all’analisi dell’attività e della produzione scientifica: ma non è certo questa la sede per approfondire il problema. Come materialista storico, e scienziato e storico della scienza, il punto centrale è il Rapporto storicamente e socialmente determinato che l’Uomo stabilisce con la Natura nelle diverse formazioni economico sociali (con A. Rossi ci siamo ispirati alle astrazioni storicamente determinate discusse dal marxista un po’, ingiustamente, dimenticato Galvano della Volpe): l’Uomo come essere sociale si rapporta alla Natura in forme storicamente determinate, la struttura sociale condiziona i paradigmi scientifici. Come scriveva nel 1976 Marcello Cini ne L’Ape e l’Architetto, “Entra in crisi la concezione che considera la scienza e la tecnica strumenti neutrali di progresso della società, indipendentemente dai rapporti sociali”.
Vorrei sperare che questi concetti e queste vicende non dovranno essere riscoperte fra 50 anni!
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La Vita di Galileo di Bertold Brecht non è certo un’opera né storica né scientifica, ma riconosco in molti passi il conoscimento di come le mutate condizioni sociali e di classe abbiano portato a vedere la natura in modi radicalmente diversi:
E il gran risucchio d’aria che s’è levato da tutto questo, non rispetta neppure le vesti trapunte d’oro dei principi e dei prelati; e mette in mostra gambe grasse e gambe magre, gambe uguali alle nostre, insomma. È risultato che i cieli sono vuoti: e a questa constatazione è scoppiata una gran risata d’allegria.Note
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Ma di recente alcuni Padri del Sant’Uffizio si sono, direi, scandalizzati di una cotale immagine dell’universo, al cui paragone quella in cui abbiamo creduto fin qui non è che un’immaginetta da porre intorno al vezzosissimo collo di certe fanciulle; e si preoccupano all’idea che, visti a così smisurata distanza, i preti e gli stessi cardinali ci facciano la figura di tante formiche. Non ci sarebbe da stupirsi se l’Onnipotente finisse col perdere di vista anche il Papa!
1. A. Baracca, “Attualità di Marx. Che cosa possiamo dire di nuovo sulla Scienza dal punto di vista del materialismo storico?”, Marxismo Oggi, 5 settembre 2018, https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/saggi/278-attualita-di-marx-che-cosa-possiamo-dire-di-nuovo-sulla-scienza-dal-punto-di-vista-del-materialismo-storico.: pubblicato anche su cartaceo, Marx Ventuno, n. 1-2, 2018, pp. 175-2005.
2. Donatello Santarone (a cura dii), Il sogno di una cosa. Marx duecento anni dopo, https://www.edizioniconoscenza.it/prodotto/quaderno-n-6-il-sogno-di-una-cosa-karl-marx-duecento-anni-dopo/. Recensito sul Manifesto da Francesco Marola, 24 settembre 2020.
3. A. Baracca, “Scienza e Guerra”, Cotropiano, 6 dicembre 2019, https://contropiano.org/news/scienza-news/2019/12/06/scienza-e-guerra-0121609; e https://www.sinistrainrete.info/estero/16606-angelo-baracca-scienza-e-guerra-prosegue-la-discussione.html.
4. Angelo Baracca e Arcangelo Rossi, Marxismo e Scienze Naturali, Bari, De Donato, 1976.
5. E. Bellone Enrico, L. Geymonat, G. Giorello e S. Tagliagambe, Attualità del Materialismo Dialettico, 1974 Editori Riuniti, Roma.
6. G. Ciccotti, M. Cini, M. De Maria, G. Jona Lasinio, L’Ape e l’Architetto, 1976, II ed., Franco Angeli, Milano 2011.
7. Citato da Giorgio Parisi, “La lotta contro l’ortodossia”, in L’Ape e l’Architetto, cit., p. 299.
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