Una nuova conferma del carattere orwelliano della compagnia fondata
da Jeff Bezos si è avuta nei giorni scorsi con l’ingresso nel consiglio
di amministrazione di Amazon dell’ex numero uno della famigerata Agenzia
per la Sicurezza Nazionale americana (NSA), Keith Alexander. La scelta
dell’ex generale risponde ad alcune esigenze ben precise dell’evoluzione
di Amazon, non da ultima quella della sorveglianza e del controllo
quasi totale della propria forza lavoro.
Alexander è stato per quasi cinque anni – dall’agosto 2005 al maggio
2010 – il principale responsabile dei programmi di raccolta
indiscriminata di informazioni sulle comunicazioni elettroniche degli
utenti di praticamente tutto il mondo. Le operazioni da regime
totalitario della NSA furono rivelate al mondo da Edward Snowden nel
2013 e, in un riconoscimento tardivo quanto sterile, proprio settimana
scorsa la parte relativa al monitoraggio massivo dei cittadini americani
è stata dichiarata illegale e anticostituzionale da un tribunale
federale.
L’ex generale dovrebbe tornare utile ad Amazon in vari ambiti. Quello
degli appalti militari è uno dei più importanti, perché la compagnia di
Bezos sta appunto concentrando i propri sforzi in questi ultimi anni
sullo sviluppo delle opportunità di business con il governo. Amazon
aveva ad esempio puntato molto su un recente mega-appalto da 10 miliardi
di dollari per lo sviluppo dei servizi “cloud” del Pentagono, ma è
stata alla fine superata da Microsoft, forse anche per le pressioni del
presidente Trump. Le procedure dell’asta tenuta dal Pentagono sono
attualmente al centro di una causa legale intentata da Amazon.
La presenza di una personalità come l’ex generale Alexander ai
vertici della compagnia permetterebbe così di disporre di una sorta di
super-lobbista interno, in grado di muoversi con agevolezza nei meandri
del Pentagono. Inoltre, in uno scambio reciproco di informazioni, la
penetrazione in questo settore consegnerebbe ad Amazon il potenziale
accesso all’archivio di dati raccolti e conservati dal governo,
ovviamente di estrema utilità per il proprio business.
A far notare quanto sia inopportuna la nomina di Alexander nel
consiglio di amministrazione di Amazon è stato tra gli altri lo stesso
Snowden, il quale ha evidenziato come la compagnia offra servizi
internet a circa il sei per cento dei siti web del pianeta. In un tweet,
l’ex contractor della CIA in esilio a Mosca ha ricordato poi che il
generale è stato a lungo personalmente responsabile dei programmi di
sorveglianza di massa della NSA. Dopo avere guidato quest’agenzia, nel
2010 Alexander fu messo anche a dirigere il cosiddetto “cyber command”,
creato in quell’anno con l’obiettivo, secondo il dipartimento della
Difesa, di “assicurare agli USA e ai loro alleati libertà d’azione nel
cyberspazio, negandola al contempo ai nostri avversari”.
L’ex generale è insomma a tutti gli effetti un prodotto del “deep
state” americano, il cui scrupolo primario è la difesa degli interessi
di questo apparato di potere che, sempre più, si sovrappongono a quelli
delle grandi compagnie del settore privato, come appunto Amazon. Le
inclinazioni di Keith Alexander furono chiare, se mai fosse stata
necessaria una dimostrazione, all’indomani delle rivelazioni di
Snowden. A suo dire, anche gli stessi giornalisti che avevano nelle mani
le decine di migliaia di documenti relativi alle pratiche criminali
della NSA avrebbero dovuto in qualche modo essere fermati per impedirne
la divulgazione.
Un altro risvolto ugualmente inquietante della scelta di Alexander da
parte di Amazon ha a che fare con la tendenza della compagnia di Bezos a
istituire al proprio interno dei meccanismi di controllo dei lavoratori
sempre più avanzati e oppressivi. L’ex generale rappresenta peraltro la
punta dell’iceberg di un piano di assunzioni che interessa non solo il
top management.
Nelle ricerche di personale, talvolta pubbliche, si intravede sempre
più spesso un interesse per candidati con esperienza nell’intelligence
governativa. In due recenti annunci, apparsi sul web e poi cancellati,
Amazon cercava ad esempio analisti da inserire nelle Operazioni di
Sicurezza Globale e nel Programma di Intelligence Globale. Nelle
descrizioni degli impieghi offerti si spiegava chiaramente come
l’interesse era per individui in grado di indagare e informare i massimi
vertici della compagnia su questioni “sensibili” e “confidenziali”, che
includono “minacce legate all’organizzazione dei lavoratori”.
In termini concreti, quello che Amazon cerca in modo sempre più
frequente è una squadra di persone con adeguata formazione ed esperienza
per spiare e controllare la propria forza lavoro, soprattutto in
seguito al diffondersi di scioperi e iniziative di protesta contro le
condizioni imposte negli impianti della compagnia in tutto il mondo e,
negli ultimi mesi, le insufficienti misure di sicurezza per limitare i
contagi da Coronavirus.
Visto il potenziale organizzativo degli oltre 800 mila dipendenti
della compagnia a livello globale, i vertici di Amazon hanno da qualche
tempo creato programmi di sorveglianza che, secondo recenti indagini
pubblicate sui media americani, monitorano anche le attività sui social
network dei lavoratori. Amazon avrebbe cioè istituito un vero e proprio
team dedicato alla lettura, anche in tempo reale, dei post che i
dipendenti di Amazon pubblicano in gruppi privati di Facebook. Questi
commenti vengono metodicamente suddivisi in apposite categorie. Una di
esse riguarda l’argomento “Scioperi/Proteste”.
Le possibilità di connessione e mobilitazione offerte dai social
network sono ben note a Bezos e ai suoi collaboratori ed è precisamente
questo ambito che il reclutamento di personale proveniente
dall’intelligence del governo USA intende rafforzare. Tra dirigenti e
quadri di Amazon figurano già infatti individui che nel loro curriculum
vantano esperienze, tra l’altro, nell’FBI, nell’ufficio del direttore
dell’Intelligence Nazionale e nei servizi segreti dell’Esercito.
D’altra parte, la comunicazione e il coordinamento tra i lavoratori
di Amazon è di fatto impedita all’interno dei centri di distribuzione
della compagnia. Qui, com’è noto, gli addetti sono sottoposti a un
regime pressoché totalitario, sia dal punto di vista della sorveglianza
sia delle prestazioni e della produttività. È inevitabile perciò che
questo isolamento forzato faccia in modo che lamentele e piani di
organizzazione, proteste e scioperi vengano discussi prevalentemente su
piattaforme come Facebook.
In gioco per la più grande e probabilmente più potente corporation del
pianeta non c’è solo la stabilità interna e il controllo del personale,
ma il suo stesso modello di business. La sorveglianza ossessiva e
sistematica dei lavoratori è necessaria cioè a garantire il mantenimento
di un’irreggimentazione virtualmente totale e livelli di sfruttamento
della manodopera da terzo mondo che, in sostanza, sono alla base dei
profitti astronomici di Amazon.
Qualsiasi concessione o deviazione da questo modello è perciò
inaccettabile per la compagnia e il suo vertice assoluto, non a caso
l’uomo più ricco del pianeta. In un clima segnato sempre più da tensioni
e proteste, ma nel quale Amazon continua a espandere i settori in cui
opera, la necessità di controllare i propri dipendenti diventa allora
cruciale e sembra essere uno dei fattori principali che sta determinando
l’intreccio di interessi, metodi e personale tra la compagnia di Jeff
Bezos e le strutture di potere del governo americano.
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