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16/09/2020

Medio Oriente - Questa volta Abramo ha ucciso il figlio

L’hanno chiamato con un nome biblico evocando il padre di tutti i popoli: Abramo. Ma l’evocazione appare del tutto eccessiva, perché gli accordi siglati a Washington tra Israele, Emirati e Bahrein hanno ucciso il figlio che più di altri aveva diritto e necessità di aiuto e protezione: il popolo palestinese.

Inutile dire che per Trump (per il quale qualcuno propone addirittura il Premio Nobel per la Pace, ndr) si tratta una “giornata storica”, che segna “l’alba di un nuovo Medio Oriente” ha detto rivolgendosi all’israeliano, Benjamin Netanyahu, e ai ministri degli Esteri di Emirati e Bahrein, Abdullah bin Zayed Al-Nahyan e Abdullatif al-Zayani, arrivati a Washington per partecipare alla cerimonia.

Israele si è impegnata a sospendere l’annessione dei Territori Palestinesi della Cisgiordania, ma il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha specificato di aver semplicemente deciso di “ritardare” l’annessione come parte dell’accordo con Abu Dhabi.

E mentre alla Casa Bianca si celebravano gli Accordi di Abramo, dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati due razzi e sono risuonate le sirene di allarme nelle città israeliane di Ashkelon e Ashdod; ci sono stati due feriti causati dalle schegge. “Gli accordi di normalizzazione tra Bahrein, Emirati e l’entità sionista non valgono la carta sulla quale sono scritti”, ha commentato un portavoce di Hamas, subito dopo il lancio dei missili, ribadendo che il popolo palestinese “continuerà la sua lotta fino a che non avrà ottenuto tutti i suoi diritti”.

Gli accordi di Abramo sono stati annunciati dalla Casa Bianca con una nota congiunta il 13 agosto come una “svolta diplomatica storica che farà avanzare la pace” e al contempo “sbloccherà il grande potenziale nella regione”. L’obiettivo di Washington e Tel Aviv è che ad Abu Dhabi seguano le altre petromonarchie del Golfo, inclusa l’Arabia Saudita che è il vero burattinaio dell’operazione.

Tra i paesi del Golfo, solo il Qatar e, per ora, il Kuwait tengono le distanze dall’accordo con Israele. Il primo è impegnato in un braccio di ferro a tutto campo con le altre petromonarchie. Il secondo, fino ad adesso, fa sfoggio di coerenza con l’identità nazionale araba.

La decennale rivalità con l'Iran e le ambizioni della Turchia nella regione, spingono le ricche ma deboli petromonarchie a stringere alleanze ieri impossibili con Israele.

Lo scorso 9 settembre la Lega Araba aveva respinto una bozza di risoluzione presentata dai palestinesi, in cui veniva condannato l’accordo annunciato il 13 agosto, relativo alla normalizzazione delle relazioni tra Israele ed Emirati Arabi Uniti.

I paesi arabi hanno ribadito il proprio sostegno alla causa palestinese e si sono impegnati a perseguire gli obiettivi stabiliti con l’Iniziativa di Pace araba del 2002, tra cui una soluzione a due Stati basata sul principio di “una terra per la pace”, senza, però condannare esplicitamente l’accordo Trump, come veniva richiesto dai palestinesi.

Della Lega Araba fanno parte 22 paesi arabi: Algeria, Bahrein, Comore, Gibuti, Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Kuwait, Yemen, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Palestina, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Siria, Tunisia.

In una riunione a Ramallah a cui hanno partecipato tutte le organizzazioni palestinesi, è stato costituito un comitato che guiderà la “resistenza globale” contro l’occupazione israeliana, con l’obiettivo di difendere i diritti legittimi della popolazione palestinese. Per le organizzazioni palestinesi riunitesi a Ramallah, il comportamento di alcuni paesi arabi a favore della normalizzazione con Israele è una “pugnalata alle spalle”.

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