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16/09/2020

La centrale del riciclaggio? È la Gran Bretagna

Si è sempre un po’ in difficoltà quando bisogna illustrare il carattere criminale del capitalismo, e in special modo della sua sfera finanziaria. Le parole che viene da usare suonano infatti “scontate”, o “vecchie”, rimasugli di ideologie di altri tempi.

Il problema, purtroppo, è opposto: il capitalismo non è mai cambiato, nella sua sostanza criminale. Dunque si è quasi costretti a usare le stesse parole per descrivere gli identici meccanismi, appena riverniciati con una patina di “modernità”.

Viene dunque in soccorso questo articolo di George Monbiot, apprezzato analista di The Guardian, che elenca una serie di “stratagemmi legali” usati in Gran Bretagna e che ne fanno la principale lavanderia del capitale, comunque accumulato. Garantendo a chi lo porta la totale clandestinità.

Non c’è molta differenza con i meccanismi fantasiosi partoriti da una associazione mafiosa che governa un intero Paese. Solo che la Gran Bretagna, e soprattutto la venerata City – seconda o terza piazza finanziaria del pianeta – sono anche al centro dei flussi incontrollabili della finanza globale.

Muore qui ogni luogo comune sulla presunta – molto presunta – onorabilità british, quella per cui un dirigente aziendale o un politico preso con le mani nella marmellata, si dimette prima ancora che qualcuno glielo chieda.

Con grande sconcerto dello stesso Monbiot, che in quella cultura era nato e cresciuto, ora vige a Londra un regime comportamentale radicalmente diverso: qualsiasi merdata fai, aumenti la dose, arraffando più che puoi prima che la tua ora finisca, sotto la pressione di “concorrenti” peggiori di te.

La crisi sistemica è un gorgo che tutto inghiotte. La governance è possibile solo come violenza impunita nei confronti dei più deboli (siano i lavoratori del proprio Paese o intere nazioni), ma nulla e nessuno può “controllare” quel che avviene in aree del potere costitutivamente sottratte alla verifica pubblica. O addirittura “democratica”.

Una frase di Monbiot riassume forse meglio di tutto questa distorsione strutturale: “La City di Londra è un sorprendente esempio di come paradossalmente si possa sfruttare il concetto anglosassone di libertà di informazione per contribuire a creare una difesa, un cerchio per così dire ‘addizionale’, di estrema riservatezza.”

Non c’è bisogno di grandi spiegazioni. La proprietà dei media è di una serie di società, più o meno trasparenti. E il lavoro dei “professionisti dell’informazione” – senza che ci sia alcun articolo specifico nel “codice deontologico” – si svolge senza mai disturbare il manovratore. Tanto meno il proprietario.

Buona lettura.

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Il Regno Unito è una della nazioni più corrotte del pianeta

Da “The Guardian” del 10/09/2020, George Monbiot

Le fortune economiche di una nazione si perpetuano attraverso la corruzione della propria classe politica; da qui alla possibilità che il processo della Brexit possa consolidare la reputazione di Londra come crocevia del riciclaggio di capitali il passo è breve.

Paura, vergogna, imbarazzo: questi freni, oramai non funzionano più. Il governo inglese ha scoperto che può fare lo spaccone, qualsiasi sia il tipo di scandalo in cui venga coinvolto. Nessun ministro ha il dovere di dimettersi, nessuno deve scusarsi, nessuno deve dare alcuna spiegazione.

Mentre cresce la rabbia popolare per la mole di contratti per le più svariate forniture, stipulati senza alcuna gara di appalto dal governo durante il periodo del covid-19 – contratti per svariati miliardi di sterline – quest’ultimo sembra preoccupato solo di trovare un modo per assegnarne ancora.

Non importa se la Deloitte – società privata di consulenze prima nel mondo in termini di ricavi e numero di professionisti – sia stata fortemente criticata per aver ideato, durante il periodo di emergenza da coronavirus, un sistema per la fornitura di dispositivi di protezione al NHS (il sistema sanitario nazionale inglese N.d.T.) assolutamente disastroso, né che i suoi vertici circolino fuori e dentro il governo.

Proprio in questi giorni gli è stata garantita una nuova considerevole commessa per un test sierologico che stabilisca quasi in tempo reale la positività dei soggetti, che verrà distribuito, sembra, all’intera popolazione.

Non importa se in questi contratti, come è stato riportato, alcune delle dotazioni erogate, ad esempio un camice, siano arrivate a costare ai contribuenti fino ad 800 sterline al pezzo.

Non importa se siano stati emessi contratti multimilionari a società cosiddette “dormienti” e assolutamente poco trasparenti.

Le assegnazioni di contratti di forniture a società sconosciute, senza darne avviso pubblico, senza alcuna trasparenza o gara di aggiudicazione sembra essere diventata la norma.

Quello che suona ancora più strano è che gran parte delle ditte che hanno beneficiato di questa estrema “generosità” sono strettamente collegate a figure apicali del governo di Sua Maestà Britannica.

Ogni settimana che passa Boris Johnson somiglia sempre di più a Giorgio I (Re d’Inghilterra dal 1714 al 1727), sotto il cui regno, attraverso la corruttela dei politici dell’epoca, vennero guadagnate enormi fortune, soprattutto grazie a contratti monopolistici per forniture di tipo militare.

Qualsiasi pretesa di onestà fiscale o di trasparente obbligo di rendicontazione è stata abbandonata. A chi importa quando ci sono ancora quattro anni di governo da sfruttare ed il supporto di una stampa prezzolata?

Il modo in cui il governo maneggia il denaro pubblico sembra un aperto invito alla corruzione. Anche se è difficile dimostrare la corruttela di queste persone, la cornice entro la quale viene dispensato tutto questo denaro invita sicuramente a questa percezione.

Quando si mettono in connessione le parole “corruzione” e “Regno Unito” i più tendono a rispondere con rabbia e shock. Si pensa che la corruzione sia qualcosa che risiede all’estero, e infatti se si dà una scorsa agli elenchi pubblicati da “Transparency International” o dal “Basel Institute” *, il Regno Unito sembra essere uno dei Paesi più puliti al mondo.

In realtà è falso, lo si deve solo ai criteri molto stringenti utilizzati deliberatamente dalle due organizzazioni.

Come sottolinea Jason Hickel (antropologo ed autore che ha fra l’altro insegnato alla London School of Economics) nel suo libro “The Divide”, l’ammontare del furto perpetrato da esponenti della finanza nei confronti delle nazioni più povere varia tra i 20 ed i 40 miliardi di dollari l’anno.

Sono un sacco di soldi, e danneggia fortemente il benessere e la democrazia di quei paesi.

Queste cifre vengono però oscurate se si pensa all’ammontare dei flussi illeciti di denaro organizzati da multinazionali o banche nei confronti delle nazioni più povere del pianeta; secondo il gruppo di ricerca Global Financial Integrity, si stima che più di mille miliardi di dollari l’anno defluiscano illegalmente da queste nazioni per mano degli stessi personaggi, attraverso un circuito che si serve di un mix di evasione fiscale e di trasferimenti illeciti di denaro fra corporations.

Questa banda di “prenditori” si affida alla riservatezza di regimi complici, che quasi sempre hanno poco o nulla a che fare con la democrazia, per trasferire e nascondere il denaro depredato.

Secondo l’indicatore dei paradisi fiscali maggiormente scelti dalle corporations, pubblicato da Tax Justice Network (un gruppo di pressione attivo nel combattere l’evasione e l’elusione fiscale), i tre Paesi che hanno maggiormente facilitato questi illeciti sono le Isole Vergini, le Bermuda e le Isole Cayman; tutti possedimenti britannici.

Jersey, una ex colonia, è solo settima nella lista. Tutti questi luoghi sono di fatto satelliti della City of London, storica capitale finanziaria del Regno Unito nonché sede della Borsa e delle banche.

Secondo la stessa associazione, la City trae vantaggio da “attività losche... ed allo stesso tempo è in grado di permettere al governo inglese di affrancarsi da eventuali scandali”.

La City di Londra è un sorprendente esempio di come paradossalmente si possa sfruttare il concetto anglosassone di libertà di informazione per contribuire a creare una difesa, un cerchio per così dire “addizionale”, di estrema riservatezza.

Il Regno Unito sembra essere la principale nazione nel mondo dedita al riciclaggio di capitali.

In un devastante articolo, Oliver Bullough (autorevole giornalista di The Guardian) ha svelato quanto sia diventato facile nascondere, in questo Paese, capitali guadagnati in modo illegale e con meccanismi fraudolenti semplicemente sfruttando i “buchi” delle leggi che regolano il mondo delle corporations: non c’è nessuno che controlli i dettagli di queste ultime quando vengono create ed inserite nei sistemi.

Letteralmente puoi chiamare la tua società Mickey Mouse, registrare l’indirizzo su Marte e cavartela così. Bollough ha scoperto nel sito di Companies House diversi titolari registrati con nomi quantomeno di “fantasia”. E così, sorprendentemente troviamo ”Xxx Stalin” o ”Mr Mmm Xxxx” o indirizzi del tipo “Mmmmmm, Mmm, MMM”.

Un’inchiesta ha determinato che circa 4.000 businessmen, secondo le informazioni inserite in rete, erano al di sotto dei due anni di età.

Creando false identità, questi personaggi titolari di compagnie britanniche sono in grado di partecipare a pieno titolo al “lavaggio”, per usare un’iperbole, a tutti gli effetti a “livello industriale”, di guadagni sporchi, senza alcun timore di essere rintracciati.

Anche quando il sistema britannico di registrazione delle corporations fu reso pubblico e ci si rese conto che era strumentale a qualcosa di losco e fu praticamente riconosciuto come sistema di riciclaggio di denaro sporco (accadde durante il ben noto “scandalo della Danske Bank”), il governo chiuse un occhio.

Un nuovo e destabilizzante libro del giornalista del Financial Times Tom Burgis, dal titolo Kleptopia, racconta di un flusso globale di denaro sporco e degli omicidi e dei rapimenti che si resero necessari per sostenerlo. Indagando con caparbietà trovò che il flusso di questo denaro – anche se si originava in Russia, Africa o Medio Oriente – passava comunque per Londra.

Ovviamente gli omicidi ed i rapimenti non succedevano qui: i nostri banchieri hanno fedine penali immacolate e le mani curate dalle migliori estetiste.

La NCA (acronimo di National Crime Agency, l’agenzia nazionale per il crimine) stima che il riciclaggio di denaro sporco costa circa 100 miliardi di sterline inglesi l’anno. Ma rende molto di più.

Un altro problema è che con il denaro approdano nel nostro Paese anche gli organizzatori di tutto questo, sfuggendo alle conseguenze dei loro crimini, accolti da un sistema cosiddetto di “golden visa”. Ossia visti “speciali” rilasciati con troppa disinvoltura a personaggi non proprio trasparenti; un sistema a cui si sta opponendo da tempo la UE.

Di fatto è un tappeto rosso steso a favore dei più ricchi.

Le definizioni mainstream del termine “corruzione” non sono aderenti a personaggi del genere. La corruzione infatti viene sempre associata alle persone semplici, modeste; altro dai cleptocrati stranieri che sono i clienti di rapinatori più potenti di stanza a Londra.

Il sistema corrotto che vige altrove è alla base del benessere di questo Paese. Quando si inizia a capire questo, l’affermazione dell’autore di Gomorra, Roberto Saviano, per cui “Il Regno Unito è la nazione più corrotta del pianeta”, comincia ad avere senso.

Queste “attività” perpetuano il concetto di spoliazione coloniale: un mezzo con il quale un ingente numero di ricchi viene espulso dai paesi più poveri per approdare nelle mani di un ristretto gruppo di super-ricchi.

Il benessere britannico, grande ma assolutamente iniquo, non paritario, è stato costruito proprio sul concetto di appropriazione coloniale: terra e lavoro rubati in Irlanda, America ed Africa. Esseri umani abusati attraverso la schiavitù, la gran parte in India.

Proprio come prendemmo le distanze dalle piantagioni di schiavi nei Caraibi, pensando in qualche modo che quella roba nulla aveva a che vedere con noi, così ora abbiamo il dovere di prendere le distanze dal crimine organizzato britannico, la maggior parte del quale opera ancora nella regione Caraibica.

Più si acquisisce conoscenza del problema più ci si rende conto di cosa si tratta: l’enorme rapina perpetrata è l’asse su cui ruota tutta la politica inglese.

Una Brexit senza accordo, l’opzione che sembra preferire Boris Johnson, verosimilmente cementerebbe il ruolo globale del Regno Unito nel panorama del crimine organizzato. Quando i deboli vincoli della UE saranno rimossi, con un governo che sembra completamente disinteressato a mostrarsi affidabile, il messaggio che il Regno Unito invierà al resto del pianeta sarà ancora più chiaro: per lavare il vostro denaro, venite da noi!

* organizzazioni internazionali non governative che si occupano della corruzione, non solo politica, ed il cui sforzo è dedicato alla prevenzione e alla lotta di quest’ultima e ad altri crimini finanziari.

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