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17/10/2020

Scuola - Adesso arriva anche il caro-mensa. I “prenditori” battono cassa ai Comuni

In questo tormentato inizio dell’anno scolastico, un altro problema si sta presentando alle famiglie degli alunni che, lì dove c’è il tempo pieno, usufruiscono della mensa. Infatti i costi dei pasti delle mense scolastiche hanno subito rincari del 25%.

Ad annunciarlo in una intervista all’agenzia AGI, è Massimiliano Fabbro, presidente di Anir Confindustria, l’associazione nazionale imprese della ristorazione nata a giugno di quest’anno. Le imprese del settore fatturano circa 32 miliardi di euro l’anno e occupano circa 800mila lavoratrici e lavoratori, ma la componente femminile è ampiamente maggioritaria. È un settore dove i contratti part time e precari e le basse retribuzioni sono la norma e non l’eccezione. I big di questo settore sono spesso grandi cooperative e società emiliane come Camst o Cir Food, poi ci sono anche multinazionali come la Sodexo francese o aziende venete come La Serenissima.

L’aumento del costo delle mense scolastiche, secondo Confindustria, è dovuto al fatto che i contratti tra le aziende della ristorazione e i Comuni – che sono committente unico per quanto riguarda le mense scolastiche – sono pluriennali e sono stati stipulati tutti prima della pandemia, ma non tengono quindi conto delle nuove problematiche legate al Covid. “Risalgono tutti al 2019 e anche prima, quando l’utenza era molto più ampia”.

Oggi moltissime scuole hanno ridotto o addirittura eliminato il momento del pasto e “la conseguenza è che le aziende della ristorazione si sono ritrovate a preparare un numero nettamente inferiore di pasti ma con gli stessi costi di un anno fa. Va da sè” annuncia Fabbro “che per rientrare nel budget abbiano aumentato i prezzi“.

Il servizio, secondo il dirigente confindustriale, consta di due voci: “quella relativa al personale e quella delle materie prime. I lavoratori incidono per il 60% sul prezzo finale e, al diminuire dei volumi di utenza, il numero dei lavoratori addetti alla produzione, alla preparazione e al servizio diminuisce di poco”.

Ovviamente in questo argomentare appare del tutto assente qualsiasi riferimento alle bassissime retribuzioni delle addette e degli addetti alle mense scolastiche. E cosi’ “l’appaltatore per restare in equilibrio economico deve aumentare il prezzo”.

Non solo. Fabbri ci tiene a precisare che sarebbe andata peggio se il lunchbox (il confezionamento dei pasti in monporzioni, ndr) fosse diventato realtà per la maggior parte della scuole anziché per poche realtà come è adesso. “Il lunchbox era stato un diktat del Miur poi rettificato. I motivi sono vari e vanno dalla minore qualità organolettica alla minore sicurezza igienico-sanitaria fino ai problemi economici: ovvero costa di più perché le aziende devono dotarsi di apparecchi per la sigillatura e per il packaging. Il tutto avrebbe comportato un aumento del 30%“.

Quale soluzione avanza la Confindustria? Ovviamente – e come di consueto – il ricorso ai soldi pubblici. “Innanzi tutto il comune potrebbe farsi carico di questo aumento. Hanno la capienza economica per far fronte a questo incremento perché durante i mesi del lockdown non hanno più avuto costi che avevano già stanziato. Quanto ai costi di sanificazione hanno un budget dedicato di circa 75 milioni di euro. Quindi quei soldi risparmiati potrebbero destinarli a coprire gli aumenti senza chiederli alle famiglie. Alcuni comuni lo fanno, altri no, sono scelte politiche”, osserva Fabbro. In secondo luogo “bisogna imboccare la strada della rinegoziazione dei contratti, con nuove condizioni di fornitura che prendano in considerazione la riduzione degli utenti e gli oneri a carico delle imprese”.

E se non è possibile mantenere il prezzo attuale? La palla, secondo Confindustria, torna “al comune che deciderà se farsi carico o no dell’aumento”.

E poi, come al solito, scatta il mix di ricatti e furberie da parte dei prenditori. Infatti per Fabbro: “Di fronte a questo crollo delle utenze – alcune giustamente legate a problemi di spazi altri invece a una semplificazione dell’amministrazione scolastica – la prospettiva è di ulteriori aumenti del prezzo e di una pioggia di licenziamenti collettivi a fine cassa integrazione. Con ricadute occupazionali e sociali considerando che le donne rappresentano il 90% della forza lavoro della ristorazione scolastica”.

Il dirigente della Confindustria omette poi di affrontare anche un altro dettaglio. Sul piano dei risparmi sui costi, i suoi affiliati già avevano cominciato a “lavorare sui margini” ma con effetti decisamente indesiderati. La scuola è iniziata da meno di un mese eppure i Nas dei carabinieri hanno già sequestrato o sospeso ben 21 imprese di catering assegnatari della gestione mense presso gli istituti scolastici per rilevanti carenze igienico sanitarie e strutturali. Sono stati sequestrati anche oltre 900 chili di derrate alimentari (carni, formaggi, frutta ed ortaggi, olio) per l’assenza di tracciabilità e perché custoditi in cattive condizioni sanitarie e in ambienti inadeguati nonché destinati all’impiego nelle pietanze sebbene di qualità inferiore a quanto previsto.

La soluzione secondo noi? Le mense scolastiche tornino nelle mani della gestione diretta comunale e mettano fine al verminaio degli appalti e del massimo ribasso. Ne gioverebbero gli alunni, la qualità del servizio e le condizioni di lavoratrici e lavoratori sottoposti a livello di sfruttamento e bassa retribuzione scandalosi. Certo i prenditori, italiani e multinazionali, che sui pasti dei nostri ragazzini hanno costruito le loro fortune ci rimarrebbero male. Ma prima o poi la festa per i soliti noti deve finire.

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