31/10/2020
2020: l’Anno del Dragone
Due giorni dopo l’Election Day negli Stati Uniti, in due borse cinesi inizierà contemporaneamente il più grande collocamento di una new entry – IPO, Initial Pubblic Offering – mai vista sul mercato mondiale.
Si tratta di Ant Group, il “braccio finanziario” di Alibaba, fondata dal miliardario cinese Jack Ma poco meno di 20 fa. Si è recentemente ritirato dal management di Alibaba (non dal’azionariato), e possiede ora anche Alipay, la maggiore azienda di pagamento digitale della Repubblica Popolare.
Insieme a WeChat, controllata da Tencent Holdings che detiene il 40% del mercato, Alipay è il leader – con il 55% – del pagamento “senza contanti” attraverso la lettura di un codice QR dal proprio smartphone.
Si possono fare acquisti che alle nostre latitudini solitamente vengono effettuati in contante strisciando il proprio cellulare su un quadrato bianco-nero stampato su un semplice pezzo di carta. Il sistema di pagamento attraverso le carte di credito è stato “saltato” dalla Cina, che è passata direttamente al digitale e ai relativi servizi, divenendone per quantità e qualità il leader mondiale.
Si può pagare con questa modalità un taxi, un pasto, l’affitto o le bollette...
Ant, attraverso le app da lei sviluppate, offre anche la possibilità di acquisti online, l’elargizione di prestiti ed investimenti “a basso rischio” – attentamente monitorati dalle istituzioni – e, dal 2018, anche servizi assicurativi.
Il suo bacino di utenza è attualmente di 730 milioni di persone al mese; ha creato in pratica un “ecosistema” economico per i beni di consumo affiancando il sistema bancario cinese a controllo pubblico, tendenzialmente indirizzato prevalentemente al finanziamento dell’industria statale e di progetti infrastrutturali.
Ripetiamo: 730 milioni di persone, cioè più del doppio di PayPal, che con 346 milioni pure gestisce “big data” di dimensioni impressionanti.
Durante l’ultima festa nazionale dell’acquisto – l’11 novembre – l’app è stata in grado di processare 459 mila pagamenti al secondo, mentre il picco di quelli possibili con Visa è di 65 mila. Non c’è partita.
Il valore dell’azienda, dopo l’IPO, probabilmente permetterà al colosso cinese di raggiungere la taglia di giganti finanziari come Mastercard e JPMorganChase, entrambe oltre i 300 miliardi di dollari.
Questo per dare una idea dell’ordine di grandezza di cui stiamo parlando.
Contemporaneamente, il 5 novembre, a Shanghai – nello Star Market specializzato in titoli tecnologici – ed ad Hong Kong inizieranno ad essere vendute tra il 10-15% delle azioni di Ant Financial Service Group, per un valore che potrebbe sfiorare i 40 miliardi di dollari se, come sembra, la richiesta andasse oltre le previsioni, “costringendo” ad aumentare l’offerta – annunciata a fine agosto – per 34 miliardi di dollari.
A livello retail la raccolta avviene tramite 5 fondi che operano attraverso la app, un metodo innovativo quanto discusso. Gli addetti ai lavori parlano in termini entusiastici di questo evento finanziario, in cui si stima che la quota “base” per potere sperare di aggiudicarsi le azioni è pari a 129.000 dollari, con “piccoli investitori” che fanno di tutto per indebitarsi e raccogliere prestiti per assicurarsi i titoli.
A cosa saranno destinati questi soldi che aumentano la capitalizzazione?
Il 40% in ricerca e sviluppo, il 30% per espandere la base di utilizzo e l’offerta di prodotto, ed un 10% per espandere il business internazionale, considerato che il giro d’affari per ora è concentrato al 95% in Cina, anche se, come sembra, pure il mercato indiano offre ottime prospettive nel settore.
Ci troviamo di fronte ad una operazione non meramente speculativa, perché mira a potenziare i margini di investimento, controllata fermamente da Alibaba, che mantiene 1/3 delle azioni.
Per avere un ordine di grandezza, il record precedente per una IPO era stato stabilito dalla quotazione alla borsa di New York dell’azienda della corona saudita Aramco, nel dicembre scorso, per un valore che sfiorava i 30 miliardi di dollari.
Prima dell’azienda saudita, il record apparteneva ad Alibaba, con i 25 miliardi di dollari di offerta che rappresentarono la migliore performance nel 2014.
Si tratta di un avvenimento in qualche misura “epocale” perché mostra come l’epicentro della finanzia mondiale si stia spostando sempre più verso la Cina, ora in grado di attirare gli investimenti dei big di Wall Street – Citigroup, JP Morgan e Morgan Stanley saranno tra i maggiori beneficiari dell’offerta – e di mettere direttamente sul mercato, ad Hong Kong o nella Cina continentale, alcuni “fiori all’occhiello” della propria economia, mettendo al riparo giganti digitali delle dimensioni di Netease o JD.com da eventuali ritorsioni sui mercati nord-americani.
Se, per la Repubblica Popolare, Hong Kong rimane uno degli hub finanziari strategici per drenare gli investimenti internazionali e la “seconda scelta” per molti titoli quotati anche a New York, lo Star Market diviene il fiore all’occhiello per quelle aziende tecnologiche destinate ad essere uno degli assi del futuro sviluppo economico cinese.
Dalla sfida per l’auto elettrica agli investimenti per colmare il gap nella produzione di semi-conduttori, la Cina si prepara ad avere un ruolo di leadership, nel mentre sta sperimentando su vasta scala la prima cripto-valuta digitale gestita da uno Stato, sviluppata anche sul modello di “portafogli digitali” di cui Alibaba e WeChat sono stati anticipatori.
È la quarta volta che il record mondiale per una IPO viene stabilito in Cina (4 sulle ultime sette volte).
Ma un altro “evento”, da lì a pochi giorni, potrebbe avere valore epocale. Si tratta del già citato 11 novembre, che sarà un banco di prova per comprendere la fiducia nei consumatori in un quadro di ripresa economica complessiva, che riguardo ai consumi interni ha già avuto un primo test positivo con la settimana di vacanza di inizio ottobre.
Insieme allo sviluppo tecnologico, e alla “transizione ecologica”, proprio i consumi interni dovrebbero essere uno dei perni dell’economia cinese.
L’11 novembre era già la più grande giornata di shopping on line al mondo – ha superato il Black Friday già nel 2013 – ed una fonte di guadagno per i due principali attori del commercio in linea: Alibaba che l’ha lanciata nel 2009 e JD.com che l’ha ripresa insieme ad altri attori, nel solco della tradizione di una giornata dedicata a “farsi un regalo”, “shuangshiyi”.
In 24 ore ha fatto guadagnare alla sola Alibaba 27 miliardi di euro. La giornata è una “vetrina” per quelli che sono stati definiti i “villaggi Taobao”, dal nome dei 4.000 centri situati prevalentemente nella Cina “rurale”, che hanno sviluppato una precisa specializzazione produttiva in seguito alla possibilità di vendere i propri prodotti on-line, senza ulteriori intermediazioni nella catena del valore.
Una caratteristica molto simile a quello che è il mercato agricolo, dove sono i piccoli produttori a vendere direttamente – su mercati giganteschi – a ristoratori o rivenditori, oppure attraverso una serie di “gruppi d’acquisto solidale”, in cui i lavoratori migranti delle campagne fanno da cerniera con gruppi di consumatori urbani. Tra l’altro in questo ambito di rapporti si va sviluppando un sistema di agriturismi e di fiere di campagna che contribuiscono a connettere questi due mondi.
Così, mentre gli USA saranno alle prese con un passaggio di poteri che si annuncia tutto meno che pacifico, e una disastrosa situazione sanitaria in via di peggioramento (81.457 nuovi contagi il 28 ottobre, 1.016 morti ed un sistema sanitario prossimo al collasso); con la “seconda ondata” di contagio che investe il Vecchio Continente senza che vi sia un minimo segnale di inversione di tendenza, con inevitabili conseguenze economiche catastrofiche a medio termine. la Cina ha invece sconfitto il virus, è in piena ripresa economica, ha raggiunto i suoi obiettivi di “società moderatamente prospera” e si candida ad essere il centro del mondo che sorgerà dopo il flagello pandemico.
Il 2020 rimarrà nella Storia come l’Anno del Dragone.
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