L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso ieri di non adottare alcuna misura cautelare nei confronti di Blue Panorama, EasyJet, Ryanair e Vueling, i quattro operatori del trasporto aereo che nelle settimane precedenti avevano cancellato unilateralmente alcune tratte senza fornire alcuna informazione ai propri clienti, e in più offrendo in cambio soltanto la possibilità di trasformare il biglietto in voucher da riscattare entro un limite massimo di tempo.
L’Antitrust ha interrotto la propria iniziativa perché, come si apprende da una nota, le compagnie hanno ristretto l’utilizzo della causale di cancellazione per Covid ai soli casi dove non era più oggettivamente possibile operare il volo (e non dove non era più ritenuto profittevole), concedendo inoltre la scelta al cliente tra rimborso pecuniario in alternativa al voucher.
Le cancellazioni appena dette sono il primo segno di quella che sembra l’alba di una nuova tempesta per il trasporto aereo, già duramente colpito nell’arco della prima ondata di diffusione del virus.
Era il 3 marzo scorso quando su questo giornale davamo notizia dell’annuncio dell’International Air Transport Association (Iata) del crollo delle rotte aeree, con la richiesta di “sostegno e pianificazione” per la tenuta del settore.
Un primo allarme che evidentemente segnalava il futuro prossimo per l’intero comparto in base alle tendenze assunte dall’evoluzione della pandemia, con i maggiori paesi europei che in capo a pochi giorni avrebbero chiuso le frontiere e vietato l’ingresso ai non residenti.
Come si vede nella foto, il 25 febbraio l’aeroporto di Fiumicino si presentava così, con voli cancellati in serie e pochissimo “traffico umano” a ingolfare i corridoi interni, primi sintomi di una condizione che sembra ripetersi in questi giorni, con voli cancellati, disagi negli aeroporti e carenza di strumentazione necessaria (come i tamponi) per meglio gestire l’eccezionalità della situazione.
A che punto siamo oggi? I maggiori paesi europei come Spagna e Francia, ma anche Belgio e Irlanda, sono alle prese con una riacutizzazione (che non assomiglia affatto al picco) della seconda ondata di coronavirus.
Per il settore aereo, questo significa nuove restrizioni immediate e decrescita generale del volume di passeggeri, sia per lavoro sia per turismo, con tutte le incertezze circa le prospettive per la stagione natalizia, solitamente un punto di massima movimentazione per questa economia.
Non a caso Ryanair la settimana scorsa ha annunciato una drastica riduzione delle attività: il numero di voli previsto nelle condizioni attuali equivale al 40% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (novembre-marzo), il numero delle tratte attive al 65% rispetto alla rete tradizionale, il numero di passeggeri previsti per volo ridotto al 70%, percentuale che secondo il Ceo Michael O’Leary “consente di operare il più vicino possibile al pareggio e ridurre al minimo il cash burn (perdite)”.
Oltre alla riduzioni del numero di aeromobili con base per esempio in Belgio, Germania, Spagna, Portogallo, e alla chiusura di alcune basi in Irlanda e in Francia, O’Leary afferma che i tagli all’operativo invernale siano il frutto della “cattiva gestione del trasporto aereo in Europa da parte di alcuni governi”.
“Il nostro obiettivo – continua – è quello di tenere in attività i nostri aerei, i nostri piloti e il nostro equipaggio, riducendo al minimo le perdite di posti di lavoro. È inevitabile, data l’entità di questi tagli, che questo inverno implementeremo più congedi non retribuiti e condivisione del lavoro in quelle basi in cui abbiamo concordato una riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione, un risultato migliore a breve termine rispetto alla perdita di massa di posti di lavoro".
“Ci saranno purtroppo più licenziamenti per quel piccolo numero di basi dove non abbiamo ancora raggiunto un accordo sull’orario di lavoro e sui tagli salariali dell’equipaggio di cabina, che è l’unica alternativa”.
Ancora brutte notizie dunque per il mondo del lavoro, in una condizione che soprattutto nell’Unione europea si somma alla pessima gestione che a vario titolo le varie classi politiche liberal-liberiste hanno messo in campo.
Lato impresa invece, sul sito del Iata a oggi la situazione per il comparto su scala mondiale è impietosa: nel 2020 le perdite sono state di 84 miliardi di dollari statunitensi, la domanda si è contratta del 66% e nel solo settembre del 2020 ci sono la metà dei voli rispetto allo stesso mese 2019 (-51%). E questo ha tutta l’aria di essere solo l’inizio.
Come per la prima ondata, il trasposto aereo è un fedele riflesso della generale evoluzione della pandemia.
Senza voler creare allarmismi di sorta, tuttavia il cielo sembra farsi sempre più cupo all’orizzonte.
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