L’Afghanistan è un Paese che immagino attraverso i telegiornali: poche sfumature, con il colore dominante della terra arida. Case distrutte, donne in burka.
La policromia della sua storia cancellata anche nell’immaginario.
Naser non ha ancora 30 anni.
La sua storia inizia nell’Afghanista dei Talebani: la famiglia, legata al precedente governo, in cui gli uomini ricoprivano ruoli amministrativi o nell’ambito delle forze armate, è sorvegliata speciale.
Sua madre è una donna forte, abbastanza colta, solida guida per Naser.
Il ragazzo, cresciuto nel conflitto, comincia la sua seconda vita a 17 anni, quando lascia il Paese per raggiungere l’Europa e costruire un futuro.
17 anni, clandestino verso una terra lontana da tanti punti di vista.
Ho conosciuto Naser qualche anno fa.
Moro, non altissimo ma dal fisico atletico, abile giocatore di cricket, malgrado un’esplosione gli abbia lesionato gravemente l’occhio sinistro
Mi ha stupito subito, di lui, la sua bontà semplice, quella capacità di guardare le cose cogliendone, sempre e soprattutto, le sfumature di bellezza, osservandole con curiosa apertura; il suo entusiasmo quasi infantile per le cose della vita.
Usava parole semplici, ma sapeva esprimere tutta la profondità di pensiero di un ragazzo che ha visto il suo Paese distrutto da lotte di potere, che gli sembravano assurde, se paragonate all’unicità della vita... anche di quella dei potenti.
Ha attraversato il mondo: Inghilterra, Francia, Germania ed infine, Italia; ha conosciuto l’amore e l’ha dovuto lasciare, per il dovere superiore di aver cura della famiglia.
Mi raccontava orgoglioso che era il figlio forte della famiglia e si sentiva destinato ad un futuro importante nel suo Paese: il suo sogno era studiare e diventare Presidente dell’Afghanistan.
Intanto lavorava come mediatore culturale in un CAS vicino Roma, che ospitava oltre 100 persone. Faceva – da solo – il turno di notte e più di una volta si era ritrovato a gestire situazioni di tensione, contando solo sulla sua capacità di mantenere il sangue freddo: “ehi, io vengo dall’Afghanistan, ho visto la guerra, non mi puoi fare paura”.
Alla cerimonia di fine Ramadan, alla Moschea di Rieti, Naser, leader naturale, aveva la responsabilità del servizio d’ordine ed ho ancora ben vivo il ricordo della felicità nei suoi occhi, mentre salutava orgogliosamente quella piccola folla proveniente da tre diversi continenti.
Il futuro presidente era un uomo del popolo!
E lo era davvero.
In tempi in cui si parla di mutualismo, forse non si pensa abbastanza alle forme di solidarietà autorganizzata dei migranti, che talvolta si muovono sul margine opaco fra legale ed illegale.
C’è bisogno di avere un indirizzo da scrivere sui documenti e non sempre è accessibile se non si è perfettamente in regola.
Naser lavora, fa il mediatore, conosce l’italiano e conosce le difficoltà dei suoi connazionali.
E fa ciò che ritiene giusto: aiuta, chi ne ha bisogno, a trovare casa.
Parte una indagine per un presunto racket di case.
Naser, insieme ad altri, riceve l’avviso.
Mi contatta, cerco e trovo un avvocato, ma lui sparisce.
Non posso contattarlo, perché gli hanno sequestrato il telefono.
Riesco a sapere che è in Francia e poi, dopo un po’, arriva il lockdown.
L’ho rivisto pochi giorni fa e mi è arrivato un cazzotto fortissimo allo stomaco.
La prima cosa che mi ha raccontato, dopo aver detto “ciao”, è stato un interrogatorio, durante il quale è stato minacciato, in modo molto convincente, che se non avesse parlato, gli avrebbero sparato e l’avrebbero buttato giù dalla finestra, dicendo di essersi dovuti difendere dal “terrorista”
È agitato. Mi racconta di non riuscire più a dormire.
Gli è rimasta la paura dentro.
Mentre lo ascolto penso alla bestia infame che l’ha minacciato, penso a frasi che tolgono il sonno, a cosa possono scatenare quando sono dette a chi ha negli occhi la morte da quando è nato.
Cerco nei suoi occhi il ragazzo che conoscevo e lui mi dice: “non è più come prima”.
Sembra che il destino gli abbia voltato le spalle.
Ha lasciato il lavoro e, dopo oltre tre anni, ancora non riesce a far arrivare la moglie in Italia e gli hanno detto che deve ricominciare tutto dall’inizio.
Sembrano passati mille anni dalla festa in Moschea, quando in quel suo bellissimo abito blu scommetteva impavido sul suo futuro.
Il tempo di incontrare, in una stanza di qualche questura, un potere piccolo ma feroce, che ha ucciso il futuro Presidente dell’Afghanistan
(A quanto mi risulta, il racket non è stato dimostrato).
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