Stati Uniti e Russia sono sembrati avvicinarsi improvvisamente a un accordo sul prolungamento del trattato di non-proliferazione nucleare “New START” nelle scorse ore, dopo che le due diplomazie si sono scambiate segnali di apertura per risolvere temporaneamente la questione prima delle presidenziali americane. Dietro le apparenze restano tuttavia dubbi e ostacoli non indifferenti, legati soprattutto alla buona fede di Washington e alle manovre elettorali del presidente Trump.
Il trattato in questione limita il numero delle “Armi Strategiche” nucleari delle due potenze e, senza un’intesa, scadrà il 5 febbraio del prossimo anno. Firmato ai tempi dell’amministrazione Obama nel 2010 ed entrato in vigore l’anno successivo, il “New START” riguarda appunto gli armamenti “strategici” e le testate nucleari intercontinentali pronte a essere impiegate, mentre non include quelle a breve raggio oppure non operative.
La sorte del “New START” è in forte dubbio a causa delle decisioni prese in questi anni dall’amministrazione Trump di uscire da tutti gli accordi e i trattati precedenti stipulati con Mosca. Già nell’estate del 2019 gli Stati Uniti si ritirarono dal trattato sulle armi nucleari intermedie (“INF”), altro caposaldo delle politiche di disarmo tra USA e Russia. L’eventuale fine anche del “New START” lascerebbe il vuoto totale in questo ambito, accelerando un’ulteriore corsa agli armamenti in un frangente storico già segnato da rivalità e tensioni internazionali crescenti.
A livello ufficiale, il governo americano continua a dirsi disposto a prolungare il trattato in scadenza tra poco più di tre mesi, ma l’atteggiamento che ostenta è quanto meno ambiguo e sono in molti a credere che l’obiettivo di Trump sia di far naufragare il “New START”, per poi attribuirne la colpa al Cremlino.
Gli sviluppi più recenti della trattativa hanno visto la Russia proporre un prolungamento di cinque anni del trattato senza nessuna modifica, come previsto dal testo originale in caso di accordo tra i leader dei due paesi. La Casa Bianca aveva a sua volta cercato di vincolare il rinnovo alla partecipazione della Cina. Pechino dispone però di un numero nettamente inferiore di armi nucleari rispetto a USA e Russia e ha perciò prevedibilmente declinato l’invito di Washington.
Trump si era detto dunque contrario all’ipotesi russa e aveva anzi rilanciato con un’altra proposta inaccettabile per Mosca. Gli Stati Uniti sarebbero stati cioè pronti a firmare una proroga di cinque anni solo se il trattato fosse stato esteso ad altri armamenti in dotazione alla Russia e fuori dal campo di applicazione del “New START”.
Settimana scorsa, poi, il presidente russo Putin aveva dato indicazione al suo ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, di sondare con gli americani una possibile convergenza sull’estensione temporanea di un solo anno senza condizioni, in modo da avere in teoria tutto il tempo per negoziare un rinnovo integrale del trattato.
Anche questa offerta ha avuto vita breve. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien, poche ore dopo l’ha rimandata al mittente con l’accusa che Mosca intendeva solo rinviare la questione a dopo le elezioni americane. L’ipotesi di un prolungamento di un anno è stata tuttavia fatta propria dagli Stati Uniti, a patto che Mosca sia disposta ad accettare un congelamento del numero di tutte le testate nucleari in possesso dei due paesi e, quindi, non solo di quelle coperte dal “New START”.
A questo punto, i dettagli del negoziato sono diventati cruciali. Putin ha in sostanza accettato l’idea del prolungamento di un anno, ma ha tenuto a sottolineare che gli USA non dovranno porre ulteriori condizioni. Come ha spiegato il blog MoonOfAlabama, l’offerta del Cremlino è una sorta di “gentlemen’s agreement” privo di meccanismi di verifica, poiché un qualsiasi eventuale piano di accertamento del rispetto del trattato, come ad esempio ispezioni reciproche, “richiederebbe trattative troppo complicate” in rapporto al tempo rimasto, soprattutto se Washington intende risolvere la questione prima del voto del 3 novembre.
L’amministrazione Trump nella sua ultima risposta ha invece lasciato intendere di voler complicare la situazione proprio come temeva il Cremlino. Il dipartimento di Stato ha così elogiato la disponibilità russa e in seguito dichiarato che i diplomatici USA sono pronti a incontrare le proprie controparti per finalizzare un “accordo verificabile”. Il riferimento a un qualche dispositivo che permetta di “verificare” quanto concordato è precisamente l’elemento in grado di far saltare la trattativa.
In poco meno di due settimane è infatti impossibile giungere a un risultato come quello auspicato da Washington. Secondo il direttore della pubblicazione Arms Control Today, Daryl Kimball, applicare un limite massimo “verificabile” anche al numero di “testate non operative implica la fissazione di regole relative al conteggio [delle armi stesse], ai metodi di monitoraggio e alle dichiarazioni congiunte”. Nessuno di questi fattori può essere considerato “un dettaglio trascurabile” e per definire ognuno di essi servirà “più tempo di quello che manca alla scadenza del trattato”.
In altre parole, solo per verificare la quantità di testate che i due paesi hanno nei loro depositi, cioè non operative ed escluse dal “New START”, potrebbero volerci mesi o anni, per non parlare delle modalità con cui i rispettivi incaricati sarebbero chiamati ad accertarsene. Se gli USA si impunteranno perciò su un’estensione che preveda condizioni diverse da quelle attualmente scritte nel trattato e, soprattutto, sul fatto che esse siano “verificabili”, il prolungamento del “New START” rimarrà un miraggio.
Come spiegato in precedenza, potrà al contrario andare in porto quanto accettato da Putin, ovvero un’estensione del trattato a tutte le testate nucleari solo se basata su un semplice impegno dei due paesi, lasciando poi campo libero alle trattative per una versione definitiva nei prossimi mesi. La posizione attuale dell’amministrazione Trump, sostiene ancora il blog MoonOfAlabama, “non ha alcun senso” e sembra “semplicemente una manovra per incolpare la Russia quando scadrà il tempo per arrivare a un’estensione del trattato”.
Che le sensazioni delle due diplomazie dietro le quinte siano meno positive di quanto sostengono i giornali in questi giorni è possibile dedurlo da svariati segnali. Il ministero degli Esteri russo ha ad esempio sostenuto di non avere ancora ricevuto una risposta ufficiale all’ultima proposta di prolungamento del trattato, così che le reazioni a essa del governo americano sono state dedotte solo dai “commenti letti sui social media”. Settimana scorsa, poi, Lavrov aveva ammesso pubblicamente che il governo russo riteneva non ci fossero prospettive per un accordo con Washington sul “New START”, soprattutto per l’impossibilità di discutere con “il linguaggio degli ultimatum”.
Anche se il trattato dovesse alla fine essere rinnovato provvisoriamente, è tutt’altro che certo un accordo a lungo termine nei prossimi mesi. Tra le questioni che resteranno comunque irrisolte per gli Stati Uniti, oltre allo spostamento degli equilibri militari a favore di Mosca, c’è infatti il nodo della Cina. Gli USA ritengono cioè che i trattati sulla non-proliferazione sottoscritti in passato con la Russia, di cui il “New START” è l’ultimo superstite, impongono delle limitazioni che non consentono al Pentagono di tenere il passo della militarizzazione di Pechino.
Ciò che gioca a sfavore del controllo delle armi nucleari è in definitiva sempre il declino della posizione internazionale degli Stati Uniti, costretti da una dottrina strategica “a somma zero” a cercare di contrastare l’evoluzione multipolare degli equilibri mondiali con un’ulteriore rovinosa corsa agli armamenti. A farne le spese sono così i rimanenti trattati sulla limitazione delle testate nucleari, col risultato di far salire vertiginosamente il rischio di una conflagrazione globale dalle conseguenze incalcolabili.
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